domenica 10 gennaio 2010

Center stage ( Stanley Kwan , 1992 )


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Cinema nel cinema e un ritratto che commuove

Ruan Ling-yu è stata la prima diva del cinema cinese muto, vissuta nei primi tre decenni del 900 e morta suicida all'età di soli 25 anni. Con una strabiliante quanto riuscitissima operazione Stanley Kwan costruisce un film imperniato sulla leggendaria figura, con inserti documentaristici e backstage nel quale si vedono regista ed attori che discutono sulla figura di Ruan.
Come tutti i divi di ogni epoca , anche Ruan influenzò in maniera notevole non solo l'ambiente cinematografico, ma soprattutto i costumi e la vita della Shanghai degli anni 30, grazie alla sua grandissima personalità che nascondeva però un alto grado di fragilità.
Kwan ne tratteggia la figura con grandissimo stile ripercorrendo la sua vita artistica sui vari set e ne scolpisce in modo sublime la personalità, la sensibilità, gli amori, le sue idee rivoluzionarie avvalendosi di una incommensurabile Meggie Cheung e di uno spaccato dell'epoca preciso e circostanziato.
L'ancora bigotta società dell'epoca mal sopportava la fervente ideologia dell'attrice e le sue relazioni amorose che facevano scandalo, minando la già fragile personalità della donna; il mondo della celluloide , seppur ancora agli albori, già lasciava presagire le difficoltà nei rapporti interpersonali e il chiacchiericcio che lo avrebbe poi dominato negli anni a venire ad ogni latitudine, ma nonostante questo la figura di Ruan passa sulla storia del cinema come una purissima meteora destinata a lasciare una traccia indelebile.

Grazie a spezzoni recuperati dagli archivi vediamo la vera Ruan nelle sue performance artistiche e la bravura della Cheung nel riproporsi nei suoi ruoli lascia allibiti, ma è nella descrizione della sua personalità che il regista fa centro in pieno: emerge una figura di donna sensibile, apparentemente sempre padrona di se stessa ma che nel suo intimo è lacerata da emozioni, da domande e da dubbi.
Stilisticamente il regista di Hong Kong confeziona un'opera bellissima, ricca di eleganza , di pathos e di un impatto visivo meraviglioso con una regia quasi perfetta (solo qualche inserto di backstage è sembrato un po' forzato) in cui predominano colori netti e decisi e che offre alcune sequenze da antologia come quella del party nel sottofinale in cui si incastonano dei rapidi flash in avanti della storia.
Cinema nel cinema, quindi, e come spesso avviene quando ciò viene fatto da mani sapienti, il risultato è toccante: una figura, quella di Ruan Ling-yu, che non si dimentica facilmente così ricca di eroismo, di tristezza e di melodramma.
Maggie Cheung è la fuoriclasse assoluta di questo film, che l'ha imposta al mondo con il premio ottenuto a Berlino; accanto a lei, tra gli altri, Carina Lau e Tony Leung Ka Fai, bravi, ma assolutamente oscurati dalla inarrivabile Cheung.

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