venerdì 5 febbraio 2010

Dogville ( Lars Von Trier , 2003 )

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Sembra il Monopoli , ma è Dogville


Una veduta dall'alto di Dogville, minuscolo villaggio ai piedi delle Montagne Rocciose, apre il film e ti trovi di fronte ad un tabellone di un gioco da tavola stile Monopoli: case , vie e giardini sono solo delle striscie bianche perimetrali sul fondo nero; indubbiamente un approccio sorprendente: niente scenografie, attori che vagano su una sorta di palcoscenico teatrale parcellizzato e con arredi nulli o quasi ed una voce narrante onnipresente che descrive ciò che non si vede ma che dobbiamo sapere e che si erge a faro nella nebbia.
E' così che Lars Von Trier , il più dissacrante tra i registi, ci immerge nella sua storia ambientata negli anni della grande depressione americana; il Dogma sembra alle spalle, ma non dimenticato, semmai evoluto nella sua essenzialità: voler fondere teatro e cinema in un unicum è operazione che solo un tipo alla Von Trier poteve mettere in piedi, assolutamente libero da vincoli canonici classici cinematografici.
A Dogville, in piena notte, giunge Grace bella e giovane ragazza misteriosamente inseguita da alcuni gangster : Tom, una sorta di filosofo  esistenzialista nonchè membro più autorevole della comunità, la sottrae nascondendola ai malviventi, la presenta alla ristretta popolazione che si prende  due settimane 2 di tempo per decidere se accettarla o meno; secondo Tom è una prova per mettere in luce la capacità di accettazione della comunità intera; dal canto suo Grace si renderà utile al villaggio aiutando le varie famiglie.
Passate le due settimane la ragazza sarà accettata e l'integrazione sembra filare via liscia almeno fino a quando la polizia non la accuserà di essere una rapinatrice affiggendo la sua foto con tanto di "wanted".
Grace potrà rimanere ma a patto che raddoppi la sua opera divenuta ormai servile e si pieghi passivamente ad ogni angheria, nonostante il filosofeggiare di Tom; il calvario prevede uno stupro, violenze psicologiche, incursioni notturne nella sua casa, vessazioni di ogni tipo, una tentativo di fuga fallito con tanto di stupro (nuovamente) ed un ritorno a Dogville accusata di furto, accusa che la ridurrà in schiavitù, con tanto di collare, catena e peso da trascinare , e in oggetto di sopraffazione e di sfogo sessuale da parte di tutti gli uomini del villaggio.
La comunità ormai ha deciso: ora se ne deve andare, a maggior ragione dopo che Grace ha cantato in faccia a tutti le loro colpe, ma il pusillanime e meschino Tom, sedicente innamorato di lei, non trova nulla di più degno da fare che consegnarla ai gangster.
Quando tutto sembra condurre verso l'ennesima (metaforica ) crocefissione , come per la Emily Watson di Le onde del destino, la vendetta scatterà spietata e lucida.
Un film grandioso indubbiamente, nella forma e nella sostanza in cui Von Trier non risparmia il suo veleno ancestrale contro l'umanità priva di ogni solidarietà, meschina, brutale perfino in uno schifoso villaggio di montagna.
La figura di Grace si erge a quella di un martire: lei che fuggiva da un mondo che temeva e che disprezzava , si ritrova in una comunità bieca, all'apparenza accogliente e composta di persone semplici, che non tarda a far sentire l'olezzo nauseabondo che emana.
Pessimismo e sfiducia trionfano con i toni cari al regista danese, acre e pungente come sempre, ed estrapolando i momenti del film si disegna una società americana che ha perso ogni briciolo di dignità, opinione questa che ha attirato non poche critiche al regista, il quale però , occorre dirlo, va ben oltre: è il genere umano tutto che ormai è alla deriva, incarognito dall'egoismo e dalla falsità.
Colpa e vendetta, egoismo e solidarietà, sopraffazione e violenza nelle forme più disparate agitano la coscienza, tristemente certi che nulla cambierà: tutto ciò viene violentemente e con cattiveria estrema sbattuto in faccia a chi guarda il film e la scelta "teatrale" ,che indubbiamente tende ad incupire ancora di più, si presta ad amplificare tutto l'impianto.
La stessa Grace, emblema dei valori positivi, vacillerà pesantemente finendo col cedere dopo essersi domandata: "Se Dogville non esistesse, il mondo sarebbe migliore?". La risposta sta nella sua atroce vendetta vista come giusta punizione per chi ha colpe enormi da pagare; una vendetta che ha il sapore della ribellione che le eviti di soccombere in maniera definitiva. Forse, caro Lars, sarebbe da chiedersi se potrebbe mai esistere una Dogville se il mondo fosse migliore....
Magnifica Nicole Kidman nel ruolo di Grace, spettrale nella sua magrezza e nel suo pallore, che offre una interpretazione stupenda, profonda, totale, ricchissima di pathos; molto bravi anche gli altri attori tra cui spiccano tre celebrità Hollywoodiane (Ben Gazzarra, Lauren Bacall e James Caan) e un sempre intenso Stellan Skarsgard , già visto in Le onde del destino

2 commenti:

  1. Però non è fusione di cinema e teatro... E' un osso di cinema. Osso di seppia. Ma tanto - e solo - cinema.

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  2. noiosissimo e sopravvalutato. gli preferisco carmelo bene.

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