martedì 9 febbraio 2010

Il boss ( Fernando Di Leo , 1973 )

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Rivisitazioni cinematografiche

Mafia, politici e poliziotti corrotti

Ultimo episodio della trilogia del milieu di Fernando Di Leo, film che, grazie al contributo di alcuni importanti cineasti che gli hanno decretato citazioni a josa, hanno subito una meritatissima rivalutazione, Il boss si distingue dagli altri due per una maggior impronta sociale e politica, cosa che gli ha procurato non pochi problemi all'epoca della proiezione nei cinema, inserita in un contesto di noir crudo.
Lanzetta è un sicario efficente e spietato al soldo del boss Don Giuseppe,  cui viene affidato il compito di sterminare una famiglia  avversaria radunata in un cinema per una prurigionsa proiezione di un film porno.
I sopravvissuti alla strage ovviamente cercheranno vendetta e rapiranno la figlia di Don Giuseppe, ragazza ribelle e disinibita che ben accetta la ripassata che le da tutta la banda al completo, durante la prigionia.
In un avvincente e incalzante incedere fatto di vendette continue, tradimenti, controtradimenti, iniziative di politici e poliziotti corrotti, colpi di scena che in un attimo ribaltano certezze acquisite, si arriva alla finale resa dei conti in cui il tradimento e la lotta per il potere spadroneggeranno, lasciando alcune porte aperte ad un possibile sequel che mai arriverà.
Una Palermo tutt'altro che luminosa ed assolata fa da palcoscenico alle guerre tra mafiosi in cui stavolta Di Leo inserisce pesantemente politici e poliziotti corrotti ,che di fatto appaiono come i veri manovratori delle fila, connotando il film quasi come una pellicola di denuncia.
La figura del killer solitario e inevitabilmente legato al suo ruolo rimane il filo conduttore anche in questo lavoro, un ruolo che vacillerà solo per un attimo sotto le lusinghe della bella e vivace figlia del bos mafioso, prima che i proiettili facciano tornare le cose nel giusto binario.
Ed è proprio la figura di Rina, figlia del boss così anticonformista ,che introduce l'aspetto sociale nella storia, lei tipico prodotto della cultura giovanile ribelle post 68 contro una società che invece è rimasta molto tradizionalista e conformista e che mal digirisce a tutti i livelli l'impulso alla libertà intesa in senso lato propugnata dai giovani dell'epoca.
Non sfugge comunque , anche qui , come nei precedenti lavori di Di Leo il clima cupo che sembra derivare da certo Melville, un clima in cui c'è spazio solo per la violenza, per gli spietati , per il tardimento e la vendetta.
Bella l'interpretazione di Henry Silva nel ruolo di Lanzetta, una figura che sembra costruita proprio per lui , con quel volto spigoloso e quasi amimico nella sua glacialità.

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