giovedì 11 febbraio 2010

Infernal affairs ( Andrew Lau , Alan Mak , 2002 )

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Identità smarrite e ritrovate

Sta tutto nel solco del grande cinema noir HKese tracciato da John Woo prima e da Johnny To poi questo film firmato dalla coppia Lau-Mak: la infinita guerra tra triadi e polizia stavolta si gioca a colpi di infiltrati e di colpi bassi in una Hong Kong affascinante, sfarzosa , patinata (forse anche troppo), fotografata con una bravura tecnica impressionante.
I boss reclutano giovanotti da infiltrare nella polizia attraverso l'accademia, istruendoli quasi come  potrebbe fare un sergente dei Marines; la polizia risponde con la talpa di cui nessuno conosce l'esistenza se non l'unico adibito a mantenere il contatto.
Yan e Ming, poliziotto vero uno , infiltrato della mafia l'altro ,sembrano proprio le due facce di una stessa medaglia che giacciono però su due barricate diverse, svolgono il loro lavoro egregiamente al servizio del boss  e del sovrintendente Wong; è la solita vita segnata , ingessata, dalla quale non è possibile liberarsi.
Quando il sospetto serpeggerà da entrambe le parti, i due si troveranno ancora sulla stessa barca decisi a difendere il proprio ruolo e la vita agendo con scaltrezza spinti dalla forza della disperazione.
Yan perderà il contatto che per lui vale più della sua vita, essendo il depositario della sua identità e pensando di avere di fronte l'unica sua salvezza, finirà nelle spire di Ming, il finto poliziotto, che vuoi per ambizione , vuoi forse per un rigurgito di dignità e di libero arbitrio sembra volere saltare il fosso e tornare al suo ruolo di poliziotto vero. Ma l'affare è infernale, appunto. Un piccolo, insignificante particolare che scoprirà Yan svelerà ai suoi occhi e, di conseguenza a quelli di Ming , che la via ormai è stata tracciata ed abbandonarla sarà impossibile.
Un finale incalzante con una bella dosa di tensione porterà a una conclusione che ,se da un lato appare drammatica , dall'altro dimostra come forse, in fin dei conti, è vero che non bisogna abbandonarsi alle bizze del destino.
Giocando molto sulla ambiguità dei ruoli che si tramuta in una ambiguità di personalità tale da portare alla confusione più totale riguardo alle proprie esistenze, la storia risulta bella, ben costruite, molto al limite con sovrapposizioni e intersezioni che confondono dapprima, ma che affascinano poi: il poter decidere il proprio destino è sempre stato uno degli aneliti maggiori dell'uomo, per farlo Yan e Ming dovranno pagare un prezzo altissimo. 
Il ritmo non è di quelli vorticosi cui siamo abitutati nel cinema di Hong Kong, il film procede a strappi con lunghi momenti di riflessione che impone la condizione bifronte dei protagonisti, c'è spazio per gli affetti, inevitabilmente strappati e logorati , ma soprattutto è la richezza di pathos ed emozioni che sovrasta tutta la struttura del film, che si avvale di momenti bellissimi, quali la quasi resa dei conti sul terrazzo del grattacielo con Hong Kong sullo sfondo  e il momento di disperazione dipinto sul volto di Yan nel momento in cui si accorge di essere rimasto solo.
La schiera di stars dona un notevole valore aggiunto al film: Tony Leung nei panni di Yan è eccellente nel suo essere professionale e tormentato dalla voglia di tornare ad essere una persona reale , Andy Lau che interpreta Ming  è bravissimo nel dare sostanza a quello che sembra alla fine un autentico dramma esistenziale e Anthony Wong sul quale probabilmente non si scriverà mai abbastanza, vista la sua eccezionale poliedricità  che deriva da una espressività prorompente.

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