venerdì 12 marzo 2010

Unagi - L'anguilla (Shohei Imamura , 1997)

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L'anguilla, metafora del ciclo della vita

Le lettere sono chiarissime e inequivocabili, circostanziate, così come quello che vedono gli occhi di Yamashita di ritorno anzitempo dalla pesca: l'adulterio della moglie, colta dal marito in palese flagranza e la tempesta di coltellate che affonda nel corpo della donna. Ma quelle lettere potrebbero non essere mai esistite , se non nella mente del marito geloso che non tollera il tradimento. La macchina da presa insozzata dal sangue che sgorga furioso dalle ferite inferte chiude il prologo di questo bellissimo lavoro di Shohei Imamura.
Un inizio duro che immerge subito nel dramma di un uomo che ritroviamo otto anni dopo in libertà condizionata sotto la sorveglianza di un bonzo, in un piccolo villaggio ai margini di una palude. In carcere Yamashita ha allevato una anguilla che di fatto è l'unico tramite che ha col mondo dei vivi.
L'animale non è scelto a caso: tutto il film vive sul ruolo metaforico dell'anguilla, che, con la sua vita circolare che la porta a nascere all'equatore e a tornare a vivere nella melma stagnante, prima di intraprendere di nuovo l'ultimo viaggio per deporre le uova, rappresenta la ciclicità della vita umana e degli eventi che la determinano.
Nella vita di Yamashita compare una donna che lui salva dopo un tentato suicidio; un altro essere problematico, combattutto tra vitalità e abbandono e che trova subito nell'uomo che la prende a lavorare con sè  nel salone di barbiere , un appiglio alla vita; ma lui conserva la sua diffidenza da misantropo, ancora incredulo di come abbia potuto uccidere colei che amava più di ogni cosa e conservare nelle mani il calore del corpo martoriato dalla sua rabbia cieca.

Nel finale convulso e votato ad un clima da commedia farsesca, in cui l'uxoricida darà la libertà alla amata anguilla e in cui si affaccia prepotente il costante triangolo tra amore-morte -nuova vita che nasce, un mesto e moderato ottimismo affiora , rappresentato da quella merenda che Yamashita finalmente accetta dalle mani di Keiko.
Imamura fu allievo di Ozu in alcuni film girati dal Maestro nei primi anni cinquanta e si vede benissimo, grazie all'attenzione spasmodica concentrata sulla figura umana, per lo più in stato di disagio sociale e ancora più in una regia scarna ed essenziale ma curatissima che si avvale di potenti metafore e di un occhio che descrive accuratamente senza essere invadente.
La ciclicità del racconto e la riflessione sulla possibilità della redenzione, non solo sociale, ma soprattutto interiore, fanno di questo film una storia di dolore, passione e tormento , descritta sommessamente e che alla fine indica una possibile via d'uscita.
Notevole l'interpretazione di Koji Yakusho, divenuto poi attore feticcio di Kiyoshi Kurosawa, nel ruolo di Yamashita, soprattutto per la sua straordinaria capacità quasi amimica di rappresentare il dolore e il rimorso.

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