venerdì 30 aprile 2010

Ne te retourne pas ( Marina De Van , 2009 )

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Gli strappi ricuciti dell'anima e della mente

Dopo lo straordinario esordio con Dans ma peau , Marina De Van attinge a piene mani allo star system affidando il ruolo di protagonista a due fra le più acclamate attrici del cinema francese per raccontare una storia che si allontana (ma non del tutto) dallo strazio corporeo dell'opera prima , indagando invece sul marasma interiore , tanto simile alla schizofrenia e ai disturbi della personalità senza però mai assurgere francamente a patologia conclamata.
Jeanne è una scrittrice di biografie di successo  che stanca di raccontare degli altri , decide di lanciarsi nel romanzo autobiografico, con risultati pessimi; l'editore rifiuta il suo lavoro considerandolo brutto.
La donna, spinta a scrivere il libro dalla sua voglia di conoscere alcuni buchi neri della sua infanzia, inizia a dare segni di malessere interiore: vede cambiare tutto intorno a lei, madre, marito e figli compresi, ha frequenti crisi di amnesia ed in ultimo subisce una cronenberghiana trasformazione nel suo aspetto fisico. 
Convinta che il suo preoccupante stato trovi origine in qualche episodio dell'infanzia , intraprende un viaggio verso Lecce dove probabilmente troverà risposte ai suoi dubbi.

mercoledì 28 aprile 2010

Vacation ( Hajime Kadoi , 2008 )

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Pena di morte e dintorni

Una cupa riflessione sulla pena di morte e sulle dinamiche interiori di chi per professione è costretto ad applicarla; questo è fondamentalmente il nucleo del film di Hajime Kadoi che con delicatezza, senza facili ed eclatanti proclami , con la giusta dose di drammaticità, seppur non completamente scevra di qualche luogo comune, racconta una storia che è quella della solitudine, del rimorso e della paura di un condannato a morte, detenuto modello cui le gurdie riservano un timido comportamento benevolo; ma è anche la storia di solitudine e di rassegnazione di una guardia carceraria e di una giovane donna con piccolo figlio al seguito che cercano una unione che lenisca le loro inquietudini.
L'intreccio tra le tre vite offre momenti di buon cinema in cui disegni a colori fanciulleschi si uniscono a tavolozze in bianco e nero, specchio della monocromaticità del carcere , abbracci mortali segnano la vita per sempre, anche se portano con sè vantaggi immediati , rumori di passi nel corridoio che anticipano il vitto o più tragicamente la fine, una lettura della Genesi che , seppur con qualche accenno di retorica di troppo, dovrebbe spalancare le porte della vita celeste.

martedì 27 aprile 2010

Sesso e filosofia ( Mohsen Makhmalbaf , 2005 )

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Niente sesso e filosofia da strapazzo

La soglia dei cinquanta anni sembra essere diventata il luogo della rivisitazione della vita, quella che una volta varcata permette di guardarsi indietro con spirito saggio e critico: a questo imperante postulato non sfugge neppure John, insegnante di danza e artista nello spirito, che nel giorno del fatidico compleanno decide di chiamare a raccolta le quattro donne che ha amato e abbandonato; è il momento di dare un connotato alla sua iperfagia sentimentale che lo ha portato alla solitudine completa, in una macchina ricolma di cinquanta candele accese ed una coppia di suonatori ambulanti nei sedili posteriori a fare da colonna sonora.
L'incontro nella sua scuola di danza diviene quindi il pretesto per una lunga elucubrazione sull'amore e sulle quattro muse che hanno segnato la sua esistenza; e qui il film da il meglio di se in un coacervo di danze, musiche e colori all'interno del quale viene sviscerata la filosofia di John: l'amore non è eterno, anzi estremamente fugace, se non si autoalimenta muore, ergo la fedeltà è una mera convenzione sociale e gli attimi di felicità che ne derivano sono infinitesimali rispetto alla vita, concetto rafforzato dal cronometro che l'uomo tiene costantemente tra le mani pronto a farlo partire nei momenti felici.

martedì 20 aprile 2010

I cattivi dormono in pace ( Akira Kurosawa , 1960 )

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Rivisitazioni  Cinematografiche
Corruzione e potere

Il grande banchetto nuziale che apre il film funge da prologo attraverso il quale vengono raccontati gli antefatti e presentati i protagonisti, ed è uno dei momenti più belli di tutta la pellicola: essere catapultati nel mezzo di una storia di avidità, corruzione, potere e morte che funge da filo conduttore, mostrando gli aspetti più feroci e più tragici di personaggi privi di ogni etica, assetati solo del denaro e del potere.
La vendetta escogitata da Nishi, il novello sposo della figlia del suo grande capo, presidente dell'ente nazionale per la ricostruzione, può finalmente scattare: placare il suo desiderio di giustiza per il padre, costretto al suicidio cinque anni prima da quegli stessi burocrati corrotti con cui ora lavora da anni.
La vendetta passa attraverso Yoshiko, la mansueta e sfortunata figlia di Iwabuchi, la donna sposata per poter finalmente entrare nei meccanismi del sistema di corruzione e fare esplodere tutto.
Ma Nishi scoprirà a sua spese che il suo animo non è malvagio al punto di desiderare il male più assoluto per i corrotti che indussero al suicidio il padre e il suo amore vero per la moglie risulterà un altro ostacolo al compimento della vendetta.

Betty ( Claude Chabrol , 1992 )

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Caduta all'inferno senza ritorno

Sulla traccia segnata da un racconto di Simenon, Claude Chabrol mette in scena un altro di quei drammi borghesi che con tanta lucidità rappresenta nei suoi film.
La storia è quella di Betty, giovane donna allontanata e ripudiata dalla famiglia dell'alta borghesia parigina del marito perchè colta in flagrante adulterio.
Nel suo vagare notturno la giovane si imbatte in una serie di personaggi che delineano con efficacia lo squallore della sua esistenza, fino a quando, come una sorta di samaritana, si prende cura di lei una donna che vive in  esilio dorato in un albergo a Versailles.
Giocando , a volte con qualche sbavatura, con una serie di flashback sovrapposti, Chabrol ci disegna la personalità di Betty , fin da quando è una fanciulla, mostrandone le fragilità e il senso di inquietudine derivante da una difficile accettazione del suo ruolo femminile, votato,sin dall'età precoce, alla sofferenza. Più volte nel raccontarsi Betty si definisce una puttana, una poco di buono, una perenne insoddisfatta carica di una forza autodistruttrice che non trova mai pace.
Lo stato catatonico, alimentato dall'alcool , in cui versa nel suo stato di abbandono trova solo una parziale attenuazione grazie a Laure, la donna che decide di prendersela sulle spalle, mossa da compassione e con cui Betty trascorre gran parte del suo tempo raccontando e analizzando la sua vita.

lunedì 19 aprile 2010

Protégé ( Derek Yee , 2007 )

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Un film in sospeso, con pasticcio annesso

Nick vive sotto copertura ,come infiltrato da anni ,tra i trafficanti di eroina guidati da Lam, da cui ha ottenuto piena fiducia al punto di esser eletto come suo successore in ragione delle condizioni di salute del boss in continuo peggioramento.
Muovendosi tra raffinerie, spedizionieri e  contatti d'affari, Nick conosce ormai alla perfezione il mondo del traffico di droga dell'estremo oriente, meno forse conosce la condizione dei tossicodipendenti, per cui quando si imbatte in una sua vicina di casa ,con figlioletta al seguito, che fa uso di eroina, il suo duplice ruolo di infiltrato-trafficante subisce qualche colpo basso che gli crea non pochi problemi morali.
Giunto alla fine del suo compito, gli rimarrà solo da consumare una vendetta e un'opera di salvataggio estremo.
Rimanendo costantemente sospeso tra action movie e film di denuncia, il film finisce per non essere nè l'uno nè l'altro: dopo qualche attimo iniziale movimentato e con un ritmo da pellicola d'azione, il film si cala nell'aspetto sociologico , in cui onestamente riesce a dare il peggio di sè: ovvietà continue, stereotipi a non finire, frasi sentite , da anni ormai, all'infinito ed interpretazioni  psicologiche piuttosto dozzinali.
Perfino il finale un po' ruffiano ,con tanto di piccolo angelo salvatore, non giova per nulla, anzi non fa altro che amplificare un senso di assoluta incompiutezza e di sciatta confusione.

sabato 17 aprile 2010

Fulltime killer ( Johnnie To , Wai Ka Fai , 2001 )

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Killer tosti a confronto

In un vorticoso e movimentato rincorrersi tra Kuala Lampur e Singapore, Corea e Hong Kong, facciamo subito conoscenza dei due eroi di giornata, due killer tanto spietati quanto efficienti, ognuno col suo modus operandi: il giapponese O , taciturno, meticoloso, attento a tutte le precauzioni possibili e il cinese Tok, spavaldo e gigione nelle sue azioni, che porta a termine i suoi lavori come farebbe un mattatore di teatro, amante del cinema d'azione e che non risparmia citazioni.
Il loro rincorrersi trova un punto di incontro in Chin , ragazza taiwanese che lavora in una videoteca di film giapponesi e che  come secondo lavoro fa le pulizia a casa di O. L'incontro (intuiremo poi neppure casuale) con il vulcanico Tok è di quelli che lasciano il segno: rimanendo fedele alle passione per le citazioni cinematografiche, quest'ultimo si presenta a Chin con tanto di maschera di Bill Clinton sul volto.
La gara tra i due killer può quindi avere inizio e si concluderà solo all'ultimo fotogramma, dopo averci furbescamente ingannato.
Impegnato nella caccia ai due killer troviamo l'agente Albert Lee, cui l'ingrato compito porterà solo guai, compresa la beffa finale.
Alternando con sapienza momenti di azione purissima ad altri da commedia brillante, Johnnie To dirige un film non tra i suoi migliori, ma che la sua parte la fa e bene fino in fondo. Il confronto tra i due killer, che è anzitutto uno scontro di personalità e di caratteri, è molto ben condotto, con un ritmo costante ed un tono quasi giocoso; lo stesso finale , abbastanza prevedibile a dire il vero, si tinge di pirotecnico (non solo metaforicamente) e mette il suggello ad una lunga rincorsa fatta di abilità balistica, cialtronaggine e rivalità amorosa.

venerdì 16 aprile 2010

Sotto la sabbia ( Francois Ozon , 2000 )

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La difficile accettazione della perdita

Marie e Jean sono sposati da venticinque anni, vivono una esistenza agiata e durante una vacanza al mare , lui scompare mentre fa il bagno.
La vita di Marie rimarrà fossilizzata a quel momento, rifiutando la sua nuova condizione: suo marito, per lei, è sempre lì, ci parla , la accarezza, mangia e prende il te con lei.
Le circostanze in cui è avvenuta la sparizione non sono indagate, il dubbio che di fuga si tratti rimane, lo sguardo di Jean nelle scene iniziali del film lascia intendere un suo qualche disagio di coppia, ma tutto ciò passa in secondo piano di fronte al rifiuto di Marie di accettare la morte e la sua solitudine.
Anche quando i fatti sembreranno indirizzare la soluzione del mistero, lei si aggrapperà disperatamente ad una immagine lontana, quasi una visione, pur di continuare a rimuovere il dolore della perdita-abbandono.
Tutto il film gira intorno alla figura di Marie, al suo fragile modo di vivere la tragedia, ai suoi desideri e ai suoi sogni, alla sua vita sociale  che lei intende ancora da coniugata, anche quando cede alle lusinghe  di un uomo che si infatua di lei. 
Quello che invece traspare spesso, quasi mai  detto, è l'angoscia per una spiegazione dell'evento che non riesce a trovare, un motivo che darebbe una ragione e probabilmente una tranquillità interiore alla donna che invece , in mancanza di ciò, continua a nascondere la testa sotto la sabbia, come lascia alludere il titolo.

L'angelo ubriaco ( Akira Kurosawa , 1948 )


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Rivisitazioni cinematografiche
L'acquitrino della condizione umana

In una Tokyo appena uscita annientata dalla seconda guerra mondiale, le periferie appaiono come la materializzazione dell'inferno: in questo contesto Kurosawa ambienta L'angelo ubriaco, dolorosa lente di ingrandimento posata su un paese e su un popolo distrutto e annichilito, in cui la forza propositiva di un medico burbero e ubriacone, guaritore di corpi e di anime, getta un raggio di luce umanistica che rischiara l'immondo acquitrino intorno a cui si svolgono gli eventi narrati.
Il dottor Sanada combatte la sua battaglia contro la tubercolosi e le malattie infettive che trovano  terreno fertile in una popolazione allo stremo, in cui si iniziano ad affacciare i paladini del malaffare e i delinquenti.
Missione quasi impossibile salvare il boss Matsunaga dalla TBC e redimerne l'anima, turbolenta e orgogliosa, sprezzante della morte, forse perchè molto simile alla sua. L'incontro-scontro tra i due è il filo conduttore di tutta la pellicola, accanto al quale si muovono personaggi collaterali, ma tutti chiusi nella loro disperazione.
Il declino del boss malato, scavalcato nelle gerarchie malavitose, abbandonato, è tumultuoso nonostante la strenua resistenza imposta dal medico,ed il finale tinto di un cupo pessimismo, in cui sembra percepirsi una totale sfiducia del regista nelle capacità di redenzione dell'uomo , appare più come un angosciato lamento sulla stupidità umana.

Happiness ( Todd Solondz , 1998 )

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Storie cattive di una umanità alla deriva

Uno dei film più cattivi e sferzanti sulla famiglia americana, sul suo stile di vita, sull'umanità intera alla deriva: questo regista indipendente, sbattendosene altamente delle major e del perbenismo stille e strisce, racconta con perfide cesellature uno spaccato così autenticamente americano in cui la famiglia, motore portante dei destiini umani per molti, è dipinta come un covo di bassezze e di aberrazioni senza fondo.
Tutto si svolge intorno ad un nucleo famigliare in disfacimento, percorso da smanie sessuali , da nevrosi e da vizi che sfociano nel patologico.
La carrellata di personaggi della provincia del New Jersey è ricca e ce n'è per tutti i gusti: la giovane disadattata eternamente infelice ed incapace di dare un senso alla propria esistenza che non trova nulla di meglio da fare che farsi abbindolare da un suo allievo russo dei corsi per immigrati, ladro di professione, illusorio oggetto di una improvvisa passione; la sorella scrittrice e stanca della sua vita da intellettuale fallita, sessualmente insoddisfatta al punto di accettare le avances telefoniche di una voce che le riversa sopra volgarità e desideri perversi; la terza sorella sposata ed apparentemente realizzata che vive però con un uomo, psicanalista e pedofilo, che se la spassa con gli amichetti del figlio dodicenne, a sua volta spasmodicamente interessato a riuscire nella sua prima eiaculazione; i genitori delle sorelle, in fase di separazione, annoiati e stanchi col loro carico di frustrazioni e rabbia; un sessuomane che trova sfogo con telefonate oscene in cui immagina di possedere le donne, eiacula sui muri ed usa il seme come colla per attaccare le cartoline; una obesa sessuofoba, vicina di casa di quest'ultimo , che arriva ad ammazzare il portiere che l'ha violentata e che , scherzo del destino troverà come amico solo il sessuomane della porta accanto.

giovedì 15 aprile 2010

Basta che funzioni ( Woody Allen , 2009 )

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Ritorno rigenerante a Manhattan

Verrebbe quasi da urlarlo a squarciagola: Woody Allen è tornato!
Ponendo fine ad una parentesi europea che ha lasciato fin troppe ombre, il taumaturgico ritorno a New York City , tra palazzi in cortina, negozietti di ebrei e caffè nel Village, ci regala un film che sembra un autentico ritorno al passato, con tanto di già piacevolmente visto, condito in più dal sarcasmo e dal disincanto di chi ormai può legittimamente atteggiarsi a grande vecchio del Cinema.
Gettando nell'arena il suo alter ego Larry David, autentico clone del Woody Allen attore, ci racconta la sua visione del mondo in ottica newyorkese come fossimo in un teatro, con l'attore , fra megalomania pontificatoria e logorrea irrefrenabile, che si rivolge direttamente al pubblico.
La vita di Boris, ebreo newyorkese, un tempo illustre fisico, ora zoppo per un comico tentato suicidio, separato dalla moglie, maestro di scacchi per ragazzini che sistematicamente insulta e disprezza, racchiude in sè tutte le nevrosi che la maggior parte dei personaggi craeti dal regista possiedono; attraverso il racconto, spesso in soggettiva, degli eventi della propria vita, Boris diventa un cantore delle fragilità umane, con l'immancabile ipocondria in prima linea, viste con occhio cinico e sprezzante e condite da una incipiente misantropia, diretta conseguenza di una a tratti esilarante arroganza culturale.

mercoledì 14 aprile 2010

Departures ( Yojiro Takita , 2008 )


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La morte e l'ultimo viaggio

La preparazione ai viaggi che pubblicizza l'annuncio non è quella di una agenzia turistica, come ingenuamente crede Daigo Kobayashi, ma ormai il passato di violoncellista è alle spalle, l'orchestra sciolta e il prezioso strumento rivenduto; il presente ,nella città di provincia dove è nato e dove è tornato con la moglie, offre poche possibilità, tra cui quello strano annuncio.
Daigo capisce presto che il lavoro, ben remunerato, è quello di accompagnare il defunto verso l'ultimo viaggio, mediante il rito della vestizione e della composizione del cadavere, e, nonostante un iniziale sbigottimento, accetta ponendosi sotto l'ala protettrice di Shoei Sasaki, maestro becchino con grande esperienza alle spalle che lo svezzerà insegnandogli l'arte di questo rito laico, preambolo della cremazione.
In questa nuova attività Daigo sembra abbandonare quella forma di inadeguatezza che lo porta a presentare spesso a se stesso i propri limiti, quasi a monito a non travalicarli; il trovarsi a contatto così direttamente con la morte nei suoi aspetti più vari lo rende quasi realizzato, anche se in fondo al suo essere rimane un conflitto paterno irrisolto, iniziato con l'abbandono quando aveva solo sei anni; i luoghi della sua infanzia sembrano riproporre di tanto in tanto la figura paterna, così assente e così disprezzata dal giovane, ma nonostante ciò sempre presente sotto forma di un sasso che nasconde però il volto.
Ed è così che dapprima il conflitto con la moglie mansueta che però gli rimprovera un simile lavoro e poi quello paterno troveranno una soluzione forse un po' ovvia, ma senz'altro credibile in un finale impregnato di melodramma sincero, in cui l'ultima vestizione assurge a rito conciliatorio.

martedì 13 aprile 2010

I Sette Samurai ( Akira Kurosawa , 1954 )




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Il Cinema e niente altro

Esistono pochi film nella storia del Cinema che sono universalmente conosciuti ed apprezzati fino al punto di diventare pilastri insostituibili della Settima Arte, e I Sette Samurai è senz'altro uno di questi. 
Personalmente è stato il mio primo impatto con Kurosawa, avvenuto in età giovanissima, e per tale motivo, nonostante le ripetute ri-visioni, serbo per questa opera una sorta di rispetto e devozione assoluti, al punto che fino ad oggi ho sempre evitato di scrivere qualsiasi cosa su di essa, soverchiato da una sorta di rispetto reverenziale. Al di là del ricordo personale che indubbiamente tende a mitizzare quella che fu la prima magica visione, posso senza dubbio affermare che questo rimane per me l'emblema più puro del Cinema: in  tre ore di pellicola è racchiusa tutta la magia del Cinema epico, quello in cui avventura, azione e sentimenti si fondono a formare una creazione armonica perfetta.
Partendo da un modello che evoca chiaramente il grande western di John Ford, Kurosawa crea un'opera che è la quintessenza del film d'azione, divenendo essa stessa insostituibile  modello di tanta cinematografia; ma all'interno di un impianto avventuroso incastona accenni all'amicizia, al rispetto, alla coesione come mezzo per avere successo nella ribellione ai soprusi, alle differenze sociali così nettamente esplicate nel confronto samurai-contadini, alla sofferenza di chi è eternamente piegato alla violenza e alla sopraffazione.
L'ardua impresa dei sette samurai di difendere il misero villaggio di contadini dall'imminente assalto dei predoni per solo senso di giustizia, diviene quindi una operazione eroica nella quale ognuno dei sette mostra il proprio volto e la propria coscienza e li investe di una nobiltà che fino ad allora aveva difettato nelle loro vite, restituendo loro però anche una amara sconfitta ben enunciata da Kambei Shimada, il leader del piccolo manipolo di soldati di ventura, nelle ultimissime battute del film.

lunedì 12 aprile 2010

It's only talk ( Ryuichi Hiroki , 2005 )

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Depressione e tenerezza

E' un piccolo gioiello questo lavoro del giapponese Ryuichi Hiroki, tratteggiato con tenerezza e durezza, che affronta in modo diretto, a volte quasi cattivo, la storia di una donna in stato di profonda depressione esistenziale, seguita alla morte dei genitori.
Yuko ha ormai passato da un pezzo i trenta anni, gli ultimi dei quali passati fra continui ricoveri in ospedali psichiatrici per curare la sua depressione; sin dai primi momenti del film ci appare con lo sguardo tipico di chi ha la vita tormentata e vacua , alla ricerca di improbabili rapporti sociali veicolati dalla rete.
La vediamo quindi interagire con un uomo che si autodefinisce "pervertito" e cha la coinvolge in giochini sessuali a metà tra l'esibizionismo ed il feticismo, quindi con un ex compagno di università che soffre di disfunzione erettile e che quindi rifiuta le sue offerte, è poi la volta di un giovanotto delinquente affetto da disturbi della personalità con cui si abbandona ad infantili giochi nel parco vicino casa ed infine con un cugino, in crisi con la moglie e con l'amante che si piazza in casa sua. 
Yuko sembra trovarsi a suo agio in questo tourbillon che le gira intorno, ma nella realtà , il suo è solo un patetico tentativo di essere accettata da persone che da parte loro le caricano addosso il loro bagaglio di frustrazioni e problemi; lei da parte sua pur di ricevere compassione e credibilità dagli altri stravolge gli eventi che portarono alla morte i genitori e finge un benessere che invece non le appartiene.
Quando capisce che ognuno dei pianeti che le ruota attorno trova il suo posto e la sua dimensione e che a lei non rimane che un presente amaro contrapposto ad una serie di ricordi belli e teneri ormai passati, non può fare altro che abbandonarsi al  pianto silenzioso e liberatorio, immersa nella vasca del bagno pubblico.

domenica 11 aprile 2010

Loft (Kiyoshi Kurosawa , 2005)

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La mummia e uno scialbo Kurosawa

Reiko, una scrittrice di successo in crisi di ispirazione ed in preda a strani sintomi , Yoshioka , solitario antropologo-archeologo , una mummia millenaria ripescata dal fondo di una palude e un'oscura presenza che si aggira in cerca di qualcosa; su questo quartetto si impernia tutto il film di Kiyoshi Kurosawa, ambientato in una campagna dominata da una grande foresta , in cui sorgono la casa dove Reiko decide di trasferirsi per ritrovare l'ispirazione e un'altro misterioso edificio all'interno del quale Yoshioka custodisce con cura maniacale il corpo mummificato di una donna vissuta circa 1000 anni prima e recuperato dal fondo della palude limacciosa.
L'inizio del film crea una atmosfera bella, che lascia presagire fenomeni incombenti e che in lunghe sequenze fatte solo di immagini e pochissime parole incute un crescente senso di attesa.
Purtroppo però ad un preambolo indubbiamente ben costruito, non segue uno sviluppo della storia all'altezza: nel momento in cui la mummia comincia a dare segno della sua presenza con piccoli ma strani fenomeni e sulla scena compare una giovane donna che abitò in precedenza la casa di Reiko e di cui si erano perse le tracce, il film vira verso un molto poco avvincente percorso, in cui non mancano momenti di tensione troppo artefatti per essere veri, oltre che molto poco originali.

martedì 6 aprile 2010

Che ora è laggiù ( Tsai Ming-liang , 2001 )

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Taiwan-Parigi : l'angoscia supera oceani e continenti

Tra Parigi e Taiwan si muovono le esistenze esplorate e filmate da Tsai: Shiang-chyi vaga nelle buie strade della capitale francese, siede nei bistrot, visita il cimitero, consuma le sue cene nella camera d'albergo, vomita copiosamente nella toilette sollecitata da cibi nuovi e troppi caffè; Hsiao-kang cambia l'ora a tutti gli orologi posizionando le lancette sul fuso orario di Parigi, continua a vendere gli orologi come ambulante, combatte con la madre ossessionata dalla morte del marito e in dolorosa attesa del suo ritorno come nuova entità, ciba l'enorme pesce dell'acquario con gli scarafaggi e urina nelle bottiglie e nelle buste pur di non recarsi al bagno. 
Esistenze alienate, giunte in contatto per pochi fugaci attimi, il tempo della compravendita di un orologio che abbia il doppio fuso orario, ma sufficienti a creare un legame invisibile che trasvola oceani e continenti. 
Ogni contatto è fugace , quasi casuale e sempre doloroso: lo è quello del ragazzo con la prostituta in macchina, lo è quello della ragazza a Parigi con la donna Hkese che nel momento in cui il contatto diventa fisico viene respinta ed è tragicamente mortificante quello della madre, al culmine della sua ossessione, che si masturba  al termine di una macabra messinscena davanti la foto del marito morto.
L'ideale ponte che unisce Parigi a Taiwan è solcato da disperazione, isolamento , esistenze strappate e mai ricucite per intero.

Castaway on the moon ( Lee Hae-joon , 2009 )

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Solitudini a confronto

Premessa fondamentale: non lasciarsi fuorviare dalla locandina che indirizza subdolamente verso la commedia idiota e ridanciana, confermando ancora una volta come la scelta dei manifesti per i coreani sia guidata da idee assolutamente balsane. 
Per fortuna la visione rende giustizia a questo film che, miscelando sapientemente commedia e dramma con estrema leggerezza e anche con un tocco di superficialità, risulta una lieta e gradevole sorpresa.
Inizio con Kim che vola giù da un ponte sul fiume Han e ,da mancato affogato, si ritrova su un'isola che sembra sperduta ma che invece giace nel mezzo del fiume, con Seoul lì ad un passo. Da bravo naufrago Kim mette da parte la sua iniziale autocommiserazione, l'idea di riprovare il suicidio con metodi più sicuri, gli impulsi depressivi e , come un Robinson Crosue coreano, inizia la sua nuova esistenza lontano da tutto e da tutti, seppur così tremendamente vicino a quella città e a quella vita che lo ha condotto alla disperazione. Il bisogno stuzzica l'ingegno e Kim saprà costruirsi la sua nuova vita iniziando ad apprezzare tutto ciò che il fiume gli butterà sulla riva.
Dall'altra parte del fiume Kim una ragazza che vive relegata in una stanza da tre anni senza mettere mai piede fuori, la cui vita sociale è fatta solo di chat e di mondi virtuali e bugiardi, grazie al suo hobby di fotografare la luna si accorge casualmente, grazie al potente teleobiettivo, della presenza dell'uomo sull'isola. Spinta dalla curiosità, qualche crepa inizierà a screpolare la sua vita da hikikomori e giungerà a stabilire un contatto con l'uomo grazie a messaggi nelle bottglie e a scritte sulla sabbia.

Unknown pleasures ( Jia Zhang-ke , 2002 )

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La generazione del cambiamento

Come fu per Platform, anche stavolta Jia Zhang-ke, trova ispirazione per il titolo del suo film da un brano musicale che fa da colonna sonora , ripetuto svariate volte all'interno della storia; quando uno dei protagonisti chiede il significato di quella canzone, Qiao Qiao , aspirante rockstar locale, sentenzia: "Significa che puoi fare tutto ciò che vuoi". In effetti il senso della canzone non è proprio quello, ma l'interpretazione data spiega molto bene l'ambiente e le storie di vita dei tre giovani protagonisti nella città di Datong, anche questa nella stessa provincia della città natale del regista.
Anche qui, trama praticamente assente, se non nello scorrere di esistenze travagliate e al tempo stesso vuote, prive di slancio reale, pietrificate nell'abbrutimento della provincia cinese in marcia verso le trasformazioni e il progresso.
I tre giovani passano il loro tempo senza un minimo di accenno di vitalità, sebbene il desiderio apparente di una vita diversa faccia spesso da filo conduttore dei loro discorsi e dei loro gesti; la popolazione esulta per l'assegnazione delle Olimpiadi a Pechino e loro guardano con indifferenza e fastidio. Anche quelli che sono i rapporti personali di affetto, se non di amore, risultano statici, immobili, immodificabili. La metafora dell'autostrada in costruzione, via di salvezza dall'abbandono in cui vivono i protagonisti, si scontra pesantemente con la presa di coscienza triste e disperata che nulla potrà cambiare. Quello che emerge per tutto il film è un isolamento emozionale dal quale è difficilissimo uscire e che rende i protagonisti schiavi del loro spazio e del loro tempo.

lunedì 5 aprile 2010

Platform (Jia Zhang-ke , 2000)

Giudizio: 10/10
I dieci anni che cambiarono la Cina

E' il decennio che va dal 1979 al 1989 quello che racconta Jia Zhang-ke, attraverso la storia di un gruppo di giovani attori di Fenyang, villaggio del nord della Cina, città natale del regista stesso. Sono gli anni in cui sotto la guida di Deng Xiaoping la Cina iniziava a muovere i primi passi, quasi impercettibili, verso l'uscita dall'isolamento e il boom economico che l'ha investita negli anni 2000.
E' un film in cui raccontare la trama è compito quasi arduo, essendo tutto così fossilizzato intorno alle vicende di un gruppo di giovani del Gruppo Culturale Contadino che vediamo in apertura rappresentare canzoni propagandistiche inneggianti al grande timoniere Mao e subire nel corso degli anni i cambiamenti dovuti all'iniziale privatizzazione e agli influssi occidentalizzanti e modaioli.
I giovani, guidati dal burocrate di partito depositario della purezza della linea culturale, vivono il ruolo di avanguardia con enfasi, con l'occhio però rivolto alle mode che con qualche anno di ritardo arrivano dall'occidente e nello stesso tempo calati nelle realtà tipiche dei ventenni, fatte di amori tormentati , difficoltà famigliari e ribellione.
I dieci anni che idelamente scorrono nell'arco delle due ore e mezzo della pellicola, sembrano però passare quasi senza traccia, quasi si fosse ingabbiati in uno spazio-tempo immutabile. Le grandi passioni, la voglia di fuggire da realtà opprimenti e monotone, il viaggio inteso come liberazione, sono ben descritti nelle frequenti trasferte del gruppo, trasformatosi nel frattempo in un complesso musicale che sposa la breakdance, il pop e il rock che hanno preso il sopravvento sulle canzoni propagandistiche e sulla tradizione. La canzone Platform , da cui il titolo del film, diviene così il manifesto di una generazione , in attesa su una piattaforma appunto di un fantomatico treno che conduca lontano.

venerdì 2 aprile 2010

L'intendente Sansho ( Kenji Mizoguchi , 1954 )

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Rivisitazioni cinematografiche
Un 'opera monumentale


Basata su una leggenda medievale, poi rielaborata negli anni, e divenuta racconto tradizionale giapponese, Sansho the balif è probabilmente l'opera più famosa e più (giustamente ) osannata di Mizoguchi, un autentico monumento cinematografico che entra a pieno diritto nella ristretta cerchia di lavori da salvare in caso di disastro nucleare. La tragica epopea della famiglia del governatore rimosso ed esiliato per le sue idee ed i suoi provvedimenti troppo illuminati per l'XI secolo nipponico, attraverso la diaspora, il tentativo di ricongiungimento, la caduta in schiavitù ed il drammatico finale, è una magnifica messa in scena della brutalità umana e dell'amministrazione della giustizia attraverso il potere, riflessioni non certo nuove per il regista , ma che qui appaiono veramente ammantate di quel linguaggio universale e senza tempo che le rendono sublimi. 
Le vicende narrate si svolgono nell'arco di un decennio, ed il regista riesce con enorme bravura a manipolare anche gli inevitabili flash back, fondendoli con la narrazione presente, e mostrano le tristi e drammatiche vicende di Zushio e Anju , fratello e sorella, figli del governatore che ha fatto della loro educazione e nel trasmettergli dei saggi principi uno dei suoi motivi di vita, caduti in schiavitù dopo essere stati strappati alla madre, a sua volta relegata lontano da loro in un bordello, e al servizio del truce intendente Sansho, dove la loro dignità sarà per dieci anni calpestata.
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