giovedì 16 settembre 2010

Il fiore del male ( Claude Chabrol , 2002 )

Giudizio: 7/10
La colpa e gli scheletri negli armadi


"Facciamo finta di niente e tutto si sistemerà"; queste parole pronunciate alla fine del film sono la giusta chiosa all'ennesimo racconto di Chabrol sui vizi e le virtù (pochissime) della media borghesia francese di provincia. E sono parole che ci stanno benissimo a decretare lo stile di vita della famiglia vivisezionata dall'occhio severo e freddo del Maestro francese che imbastisce un finto thriller per gettarci in faccia un ritratto in nero, cupissimo di quel ceto sociale agiato che dietro una robusta patina di perbenismo nasconde armadi stracolmi di scheletri che fanno sentire i loro sinistri scricchiolii nel corso degli anni , rammentando anche alle generazioni nuove il loro passato, che, per quanto sepolto, di tanto in tanto torna ad affacciarsi.

Stavolta siamo in Aquitania, terra di vini, e la famiglia è di quelle che occorre l'albero genealogico davanti per capirne gli intrecci e le generazioni: Francois e Michelle sono fratellastri, figli l'uno di Gerard , l'altra di Anne, si amano e fanno poco per nasconderlo anche perchè i genitori sono impegnati in politica lei, con tanto di accompagnatore factotum nonchè, si intuisce amante , al seguito, e a sollazzarsi con giovani fanciulle lui, astioso nei confronti della moglie per la sua scelta di darsi alla politica; su tutti incombe la vecchia zia, portarice sana della tragedia nella linea famigliare.
Con la scusa di un volantino insultante sulla famiglia, fatto circolare in prossimità delle elezioni, Chabrol trasforma l'indagine in una descrizione di vecchi episodi, intrecci,omicidi irrisolti, mechinità, incesti e quanto di più turpe possa percorrere le radici famigliari, gettando sulla schermo una disamina sulla colpa e sull'espiazione che troverà nel finale la giusta collocazione, alla maniera del regista però, con la famiglia allegramente riunita per la vittoria alle elezioni e con qualche scheletro che è definitivamente uscito dall'armadio.
L'impianto del lavoro è quello tipico di Chabrol: grande pacatezza, disagio crescente, istinto di sopravvivenza nel nome del conformismo e dell'ipocrisia che si fanno largo in una narrazione che sembra votata al thriller, ma che invece vuole solo scoperchiare gli sporchi sepolcri, frettolosamente imbiancati.
C'è da dire che forse in questa occasione Chabrol è più meditativo e meno pungente del solito, e a livello di ritmo narrativo la cosa si nota, ma è tale la sua capacità di raccontare mantenendo le distanze che a conti fatti il film intero ne risente poco: la sua non è critica sociale aprioristica, bensi cruda descrizione di come sia possibile, in nome della conservazione dello status e della posizione sociale, tramandare per generazioni, gettandovi sopra tonnellate di sabbia,  rancori e brutalità.
La morte sopraggiunta pochi giorni orsono, ci toglie un grandissimo del Cinema, un'altro di quelli ,come era il suo connazionale Rohmer, capace di scrutare con l'occhio vigile di chi vuole carpire segreti e misteri dell'animo umano; la sua opera, sterminata, ci lascia capolavori autentici e mancherà quella sua immensa vitalità cinematografica che fino all'ultimo lo ha sorretto.

4 commenti:

  1. A mio avviso non è tra i lavori di Chabrol più validi; in taluni frangenti fatica un po' ad andare avanti, oltre che essere un po' troppo ermetico (nei significati). Anche prendendo in considerazione solo gli ultimi lavori ha fatto decisamente di meglio (Grazie per la cioccolata e La damigella d'onore ad esempio)

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  2. I due lavori che citi sicuramente sono megliori di questo, che comunque ha la sua validità soprattutto nella struttura filmica.

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  3. mi piacciono molto i piani-sequenza iniziali e finali, ma resta un film "minore" a mio avviso, in fondo è una sorta di remake aggiornato di a doppia mandata. grandissimo chabrol cmq, che ci ha da poco lasciati...adieu maestro!

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  4. Senz'altro Monsier, non è tra i migliori, anche prendendo in considerazione soltanto gli ultimi. Hai i suoi pregi, come tutti i film di Chabrol, che son sicuro ci mancheranno molto.

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