mercoledì 30 giugno 2010

Isabella ( Pang HoCheung , 2004 )

*****
Manca il coraggio a Pang

E' una Macao che con paura e speranza si avvicina all'handover del 1999 , quella che fa da sfondo storico, aspetto non trascurabile, ad una storia di forti legami strappati prima , ricuciti e tenacemente tenuti assieme poi, in cui un padre inconsapevole, puttaniere e tutt'altro che irreprensibile, consuma , a sua insaputa, l'incesto con la figlia che non aveva mai conosciuto, la quale pur di poter trovare un legame, ora che la madre è morta, non si crea scrupoli a conquistare il padre col sesso.
Va subito detto che questo preambolo incestuoso passa senza lasciare traccie pesanti su tutta la storia, anche perchè scopriremo poi che forse le cose non sono come sembrano.

lunedì 28 giugno 2010

All about Ah Long ( Johnnie To , 1989 )

*****
Il trionfo del melodramma

E' questo il film che ha messo definitivamente in luce Johnnie To come regista, spianandogli la strada verso una filmografia tra le più importanti e strabilianti del Cinema moderno. E' un film che molti, ad una lettura superficiale, stenteranno a collocare all'interno dell'universo cinematografico del Maestro hkese, troppo distante dalle tematiche grandiosamente trattate nei lavori successivi.
Ma a ben guardare All about Ah Long è un lavoro grondante melodramma fino all'ultimo fotogramma , e il melò, come sappiamo, permea le opere di To ben più di quanto non si possa pensare.
Lo spirito esageratamente drammatico, quasi sublimato, che emerge dalla pellicola è quindi un concentrato dell'animo melodrammatico che il regista ha sempre infuso sapientemente nei suoi lavori.
Tipico dramma famigliare, vissuto però per larga parte su ritmi e su situazioni da commedia, nasconde al suo interno un parossismo di sentimenti che può anche confondere: la storia di Ah Long e del suo figlioletto di 10 anni che vivono da soli , disordinatamente , ma in piena allegria fino a quando a Porky (il bambino) non si spalancano le porte della pubblicità televisiva, è un momento di cinema realista che si cala nella realtà della Hong Kong lontana dal trionfo di luci e di spirito occidentale.

domenica 27 giugno 2010

The eye ( Oxide Pang, Danny Pang , 2001 )

*****

Rivisitazioni cinematografiche
L'occhio che vede gli spiriti

La ri-visione di The eye conferma quelle che furono le prime impressioni : una buona idea, ottime capacità visive dei fratelli Pang , grazie ad una regia che tecnicamente si fa apprezzare, sviluppo della storia molto zoppicante , nonostante un indubbio concentrato di tensione.
Il cinema orientale ha sfornato da allora decine e decine di lavori incentrati su storie di fantasmi più o meno vendicativi, spesso film di scarsa qualità, ed in questo The eye si contraddistingue in quanto nel complesso va valutato come un film buono, soprattutto riguardo alle capacità dei registi nell'offrire una pellicola dal buon impatto visivo, che si avvale , soprattutto all'inizio, dell'immagine sfocata (proiezione degli occhi ancora convalescenti della protagonista) per infondere un senso di inquietudine e di suspance.

sabato 26 giugno 2010

Basilicata coast to coast ( Rocco Papaleo , 2010 )

*****
I due mari della Lucania

Dopo aver mostrato buone doti di attore, Rocco Papaleo passa dietro la telecamera e dirige questa commedia road movie , in cui esprime il suo orgoglio lucano con estrema sincerità.
La storia narra le vicende di uno strampalato gruppo musicale composto da quattro amici, ognuno con la sua gerla di esistenze problematiche sulle spalle , che per raggiungere la sede di un festival musicale, decide di imbarcarsi in un viaggio a piedi sulle strade della Basilicata, percorrendola da un mare all'altro.
Inutile dire che il gruppo richiama alla memoria l'Armata Brancaleone con tanto di carretto trainato da un cavallo al seguito ed occasionali compagni di viaggio, tra i quali una giornalista di una tv parrocchiale che dovrebbe fungere da cantore delle gesta del gruppo.
Sebbene l'obbietivo di raggiungere il festival venga comicamente fallito, la settimana di vagabondare porterà comunque una serie di eventi a lieto fine (anche troppi a dire il vero) che saranno la conclusione di afflizioni varie.

venerdì 25 giugno 2010

Postmen in the mountains ( Huo Jianqi , 1999 )

*****
La parabola sull'esistenza

E' il finire degli anni 80 , nella remota provincia cinese dello Hunan, quando assistiamo al passaggio di consegne tra padre e figlio nel ruolo di postino: l'ultimo viaggio per l'uno, il primo per l'altro lungo le 200 miglia di sentieri, da percorrere a piedi per la consegna della posta negli sperduti villaggi di montagna. Ma soprattutto è un viaggio nel rapporto  che lega padre e figlio,  un percorso che serve ad entrambi per poter finalmente esprimere a se stessi e all'altro tutto ciò che gli eventi della vita non avevano consentito.
E' anche un avviamento alla vita del giovane, sotto la saggia guida del padre visto con attentissimo occhio morale, ma è soprattutto un dipinto a tinte bellissime dell'amore che lega padre e figlio, un amore silenzioso fatto di sguardi pietosi e rassicuranti, di rispetto e di tenerezza.
Intorno, la Cina tradizionale, quella contadina delle risaie, lontana anni luce da quella sfavillante di inizio millenio che spesso fa da sfondo ai registi della  Sesta Generazione, un paese legato con profondissime radici alla sua cultura e alla natura, che vive del lavoro duro ma che, come dice il padre "ha una speranza" .

Visage ( Tsai Ming-liang , 2009 )

*****
Cinema nel cinema e omaggio alla memoria

E' un'opera bellissima e complessa l'ultimo lavoro del Maestro taiwanese, un film che per molti versi è rivoluzionario, essendo il primo che il regista gira quasi interamente in Europa , con finanziamenti europei , con cast e maestranze in larga parte francesi. Nonostante ciò, e va detto con estrema chiarezza, il nucleo della poetica di Tsai non cambia di una virgola, rimanendo aderente a se stesso e al suo profondo spirito asiatico, al punto che le numerose autocitazioni sembrano volere affermare con forza l'assoluta continuità con i precedenti lavori.
La dedica che furbescamente Tsai pone nel finale ( "A mia madre") completa la quadratura del cerchio sul film: la memoria e l'omaggio alla madre morta durante la lavorazione del film impregna tutta la pellicola, ma non solo: la memoria e l'omaggio si estendono al grande Cinema con lo stralunato dialogo tra il regista e uno degli attori della storia in cui vengono citati Pasolini e Fellini, Welles e Murnau, Dryer e Antonioni.

venerdì 18 giugno 2010

Sorgo rosso ( Zhang Yimou , 1987 )

*****
L'opera prima di Zhang Yimou

E' il film d'esordio alla regia per Zhang Yimou, quello che sarebbe ben presto diventato uno dei cineasti più famosi e premiati della Cina; con questo lavoro, dal fortissimo impatto visivo, vinse l'Orso d'Oro a Berlino e diede inizio ad una filmografia ricca di grandi lavori, in una epoca in cui le autorità cinesi erano senz'altro meno tenere con la censura.
In effetti la storia raccontata, ispirata al romanzo di Mo Yan, ha ben poco da preoccupare l'attenta censura, presentandosi come una epopea contadina-nazionalista, ammantata di tradizioni e di usanze in vigore negli anni 20-30,in cui si narra di una giovane donna data in sposa per avidità di denaro dai genitori ad un vecchio lebbroso, proprietario di una distilleria.
Il vecchio morirà misteriosamente prima di poter consumare il matrimonio, così la giovane e bella Nove Fiori si ritroverà proprietaria della distilleria e con un nuovo marito che un po' con il coraggio e un po' con la prepotenza la fa sua.
Quando però i giapponesi invadono la Cina, quello che sembrava un quadro idilliaco si trasforma in una tragedia incombente che lascerà macerie fumanti.

domenica 13 giugno 2010

Mahjong ( Edward Yang , 1996 )

 *****
Sarcasmo e critica sociale

E' una Taipei frammentata, sfrenata, a tratti alienata quella che Edward Yang racconta in questo amarissimo film carico di sarcasmo e di lungimiranza.
Le gesta di un gruppo di scapestrati giovinastri , unite a quelle di emigranti della nuova generazione, dalll'altissimo valore profetico, provenienti dall'Occidente nella Cina Nazionalista lanciata verso il capitalismo e avamposto dell'ondata migratoria    a senso invertito che si produrrà nel XXI (come vaticinia uno dei protagonisti verso la fine del film), diventa lo specchio col quale il regista descrive una comunità, priva di ogni slancio umano,governata solo dall'interesse e dal bieco tornaconto, una disamina attenta, cupa e altamente drammatica, che sfocia nell'inevitabile dramma personale di chi fa della strategia dell'imbroglio e del malaffare l'unico valore della propria vita.
" In questo mondo, nessuno sa quello che vuole" si sente ripetere spesso nel film, perchè tutti vogliono una vita facile ma nessuno fa nulla che non siano espedienti e strategie truffaldine. Neppure l'amore trova spazio, anzi, un bacio può fare perdere la testa, far crollare un mondo finto intriso di machismo e chi è incline al sentimento è uno sconfitto e dlieggiato.

venerdì 11 giugno 2010

The sun also rises ( Jiang Wen , 2007 )

*****
Frammenti di grande Cinema

Sette anni dopo il bellissimo Devils on the doorstep, Jiang Wen torna ad offrirci un lavoro di quelli che lasciano il segno, di tutt'altra pasta rispetto al precedente, ma senz'altro con una dose di originalità in più.
Se in Devils on the doorstep il suo sguardo curioso e a volte scanzonato, narrava del dramma della guerra in forme assoltamente atipiche che fondevano il dramma col sorriso, in The sun also rises crea invece un caleidoscopico puzzle di immagini e colori e lo immerge in una situazione quasi fiabesca per raccontare un flusso  di emozioni legate alla condizione umana.
Il film possiede una assoluta incoerenza di linearità di narrazione che se  sul momento può disorientare un attimo, con l'ultimo segmento,che vuole essere un antefatto e che sistema ogni pezzo al suo posto, acquisisce la sua completa finitezza. Probabilmente sta proprio in questa struttura filmica originale ad incastro uno dei  pregi maggiori del film: i vari segmenti (quattro) si affiancano tra loro quasi casualmente, si rincorrono e alla fine, in un epilogo magnifico da tutti i punti di vista , si ricongiungono a dare organicità al racconto.
Ed è così che storie fatte di donne che impazziscono nel ricordo del marito, di palpeggiamenti pruriginosi, di campi di rieducazione convergono in un episodio finale che rimette con geometrica precisione tutto al suo posto.

lunedì 7 giugno 2010

Lettere da Iwo Jima ( Clint Eastwood , 2006 )

*****
La guerra vista con lo specchio

Con Lettere da Iwo Jima, uscito poco dopo Flags of our fathers e suo corrispondente speculare, Clint Eastwood compie un miracolo cinematografico tale da farlo assurgere in maniera definitiva nell'Olimpo del Cinema: raccontare lo stesso episodio bellico prima dalla parte dei vincitori, nonchè suoi connazionali, poi , come, specchiandosi nella tragedia, dalla parte dei vinti, i giapponesi.
Questa operazione, geniale già di per sè,merita ammirazione per il solo fatto di averla ideata, se poi il risultato sono due film bellissimi, questo lo è di più, allora la grandezza raggiunta dal vecchio Clint è quasi commovente, soprattutto perchè non di film di guerra in senso stretto si tratta, bensì di una storia a due facce di uomini in lotta per la sopravvivenza.
Il film è quasi maniacalmente il riflesso di Flags of our fathers, con la descrizione degli stessi piccoli episodi che fanno la storia delle battaglie visti dall'altra parte della trincea: le paure, i dolori, le promesse sono le stesse, e poco importa se la ritualità della guerra e il senso dell'onore sono vissuti in modo diverso; gli uomini rimangono minuscoli ingranaggi di una macchina infernale che non si arresta di fronte a nulla, quello che per quei soldati è l'essenza della vita, non trova spazio nella valutazione dei piani di battaglia.

domenica 6 giugno 2010

Flags of our fathers ( Clint Eastwood , 2006 )

 *****
 Gli eroi non esistono

La battaglia di Iwo Jima è stato uno degli episodi più drammatcici e sanguinari della Seconda Guerra mondiale, rimasto impresso nell'immaginario collettivo americano e non solo, soprattutto per la famosa fotografia che mostrava alcuni marines issare la bandiera stelle e strisce in cima alla collina che domina l'isolotto.
Il figlio di uno dei soldati, attraverso un libro e le testimonianze, ha dimostrato come di foto-patacca si trattasse, conseguente ad un grottesco retroscena; l'episodio diviene il filo conduttore del film di Clint Eastwood, che lungi dall'essere il "reazionario" che certi critici raccontano, solo per il fatto che vota repubblicano e perchè rimembrano il personaggio dalla pistola facile fautore della giustizia fai da sè di 25 anni fa, affronta l'argomento spogliandolo di qualsivoglia retorica militaresca, alternando delle realistiche immagini di guerra , anche molto crude , alla riflessione sull' esssenza dell'eroismo.
I soldati che compirono quel gesto, quelli sopravvissuuti visto che alcuni morirono poco dopo, furono usati dalla retorica patriottisca e dalla propaganda , etichettati subito come "eroi", rimpatriati repentinamente e mandati in giro per il paese a pubblicizzare i "buoni della guerra" con i quali l'America cercava di far fronte alle enormi spese militari.

Vita di O-haru , donna galante ( Kenji Mizoguchi , 1952 )

 *****
Rivisitazioni cinematografiche
La punizione e la caduta per chi infrange la legge

Con Vita di O-haru inizia la fase finale dell'opera di Kenji Mizoguchi, quella che ha donato al Cinema immensi capolavori e al regista la fama e i premi anche al di fuori del Giappone, imponendolo come uno fra i più grandi registi di tutti i tempi.
Seguendo la storia della vita di una donna dell'inizio del XVII secolo che parte dalla corte imperiale di Kyoto, presso cui il padre di O-haru presta servizio come samurai, e si dipana nell'arco di alcuni decenni con la progressiva caduta fino alla misera condizione in cui la troviamo  all'epilogo della vicenda, Mizoguchi non solo dipinge un affresco grandioso del Giappone feudale, domninato dai signorotti locali, ma mette sotto la lente d'ingrandimento sia i costumi e la rigidissima gerarchizzazione della società e sia la condizione della donna, ridotta a pure merce di scambio o ad oggetto di piacere estemporaneo.
Come nei lavori che seguiranno, anche qui O-haru si macchia del peccato gravissimo di cedere alla passione amorosa, in barba alle rigide leggi della classe sociale e della casta, motivo per cui, una volta scoperto il suo amore con un paggio di corte, l'esilio con infamia ,per lei e la sua famiglia, diviene l'inizo di una punizione che le leggi rigidissime basate sulle convenzioni sociali impongono; a questo faranno seguito  eventi che la porteranno ad essere dapprima concubina con il solo scopo di generare l'erede del signore locale, quindi una volta allontanata dal clan, cortigiana, protetta di personaggi biechi e infine , ormai cinquantenne, prostituta da strada al culmine del degrado.

Where a good man goes ( Johnnie To , 1999 )

 *****
Il bravo uomo va dove lo porta la redenzione

Il consueto diluvio apre il film e ci consegna subito, senza fronzoli, il filo conduttore della storia: Michael, balordo da quattro soldi appena uscito di galera spunta dalla pioggia e si ritrova a fare a bastonate con tre tassisti; dalla finestra dell'albergo che gestisce ,Judy e il suo figlioletto Tony, osservano la scena e poco dopo, quel soggetto poco raccomandabile bussa alla porta in cerca di una stanza.
L'incipit, come spesso avviene nei film di To, contiene già tutte le informazioni che ci occorrono per poter seguire il dipanarsi della vicenda.
Michael oltre che gangster da quattro soldi, sembra nato per attirarsi guai addosso e Judy, è spesso costretta ad assistere alle irruzioni della polizia nella stanza del suo ospite.
Ma Judy, con titpica sensibilità e intuito femminile capisce anche che quell'uomo cafone e rissaiolo nasconde nel suo profondo un cuore tenero, per cui l'iniziale avversione diviene quasi una complicità.
Michale da parte sua inizia a scrollarsi di dosso la scorza da duro e da gangster cane sciolto e fallito e  asseconda le intuizioni della donna, mostrando i suoi lati meno deprecabili: è un processo di lento avvicinamento che appare per l'uomo una sorta di redenzione e per la donna la scoperta di qualcuno che si insinui nella sua austera solitudine.

sabato 5 giugno 2010

Vibrator ( Ryuichi Hiroki , 2003 )

 *****
Esistenza fragile e amore impossibile.

L'ottima impressione destata da It's only talk ha reso necessario un approfondimento dell'opera di Ryuichi Hiroki , che proprio con questo Vibrator ha iniziato ad ottenere riconoscimenti meritati anche al di fuori della madre patria.
E' un lavoro che si muove sulla stessa lunghezza d'onda del seguente, risultando forse meno duro, ma pur sempre angosciante in alcuni momenti.
E' la sera di S.Valentino e Rei, tormentata dalle voci che la perseguitano e la flagellano, vaga per il piccolo supermarket alla ricerca di vino (bianco e tedesco); la sua esistenza è di quelle fragili, che si dibatte tra anoressia, insonnia e insicurezze; il soliloquio iniziale, sussurrato e tutto interno alla sua mente imprime subito il segno sulla storia. Vorrebbe avere anche lei, forse, un fidanzato con cui festeggiare, ma alla fine conclude che si tratta solo di stupidaggini; quando nel negozio entra un giovanotto biondo platino, Rei è mossa da improvvisa attrazione, carnale e fisica.
Il giovane è un camionista che gira per il Giappone col suo camion giallo e che , sotto una nevicata che dona poesia , accoglie la ragazza nel suo piccolo mondo su quattro ruote fatto di coperte , di cuccette e di parcheggi.

giovedì 3 giugno 2010

Zen ( Banmei Takahashi , 2009 )

 *****
La storia di Ehiei Dogen

Eihei Dogen , monaco buddhista del tredicesimo secolo, fu il fondatore della scuola Zen Soto giapponese, diretta discendenza del buddhismo praticato in Cina.
Seguendo il filo biografico e spirituale del monaco, il giapponese Benmei Takahashi dirige questa pellicola per certi versi quasi scolastica con intento pedagogico che si presenta  però con una confezione ben fatta e che indubbiamente suscita un interesse che va oltre l'aspetto cinematografico puro.
Le vicende narrate seguono quelle della vita del monaco che , come vediamo all'inizio, riceve una sorta di investitura morale dalla madre morente e che ritroviamo anni dopo in pellegrinaggio verso la Cina alla ricerca della vera essenza del buddhismo.
Ritornato in patria, venerato dal suo ristretto manipolo di seguaci, si pone come fondatore di una dottrina buddhista che fa della meditazione la precipua attività: presto la nuova scuola farà proseliti, nonostante l'avversione di altre sette, e la sua figura assumerà l'aura della santità, capace di convertire prostitute e potenti signori della guerra.

Da quando Otar è partito ( Julie Bertuccelli , 2003 )

*****
Tre donne e pietose menzogne incrociate

Opera prima coi controfiocchi questa della regista francese Julie Bertuccelli, già aiuto regista di Kieslowski , Tavernier e Ioseliani ( e si vede) che dirige un film straordinario , ricco di poesia e scolpito con grande finezza.
Una donna che racconta di tre donne , legate  indissolubilmente tra di loro e ad una presenza maschile impalbabile e invisibile; storia ambientata nella Georgia di inizio millennio dove spinte nostalgiche e faticose modernizzazioni convivono.
Eka che si muove con le fattezza della matriarca, Marina la figlia vedova col marito morto in Afghanistan con l'armata rossa e Ada , la figlia di quest'ultima, vivono assieme nella vecchia casa di Tbilisi che trasuda di  nostalgia della Francia da ogni angolo; l'unico uomo della famiglia , Otar è emigrato a Parigi, e muore in seguito ad un incidente sul lavoro.
La vecchia mamma che attende con ansia ogni giorno notizie per lettera o per telefono del figlio, viene tenuta all'oscuro della tragedia dalle altre due donne, che con compassionevole pietas continuano a scrivere false lettere, consentendo alla anziana donna di nutrire ancora quella vitale nostalgia per il figlio che la anima.

martedì 1 giugno 2010

Nomad ( Patrick Tam , 1982 )

*****
Generazione allo sbando

E' questo il terzo film di Patrick Tam, lavoro che si impone come uno dei capisaldi della New Wave cinematografica HKese, di cui il regista è senza dubbio uno degli esponenti di punta. Stilisticamente perfetto, con scelte cromatiche e di ripresa assolutamente originali, sostenuto da una regia straordinaria, il film narra la storia di una generazione di ventenni votata al nulla, avviluppata intorno all'edonismo modaiolo, priva di qualsiasi riferimento: uno scorrere quotidiano del tempo scandito da approcci sessuali e da ignavia, comune alle generazioni post adolescenziali.
I quattri protagonisti della storia, che si ritrovano quasi per caso a percorrere lo stesso sentiero esistenziale, provengono da classi sociali diverse, hanno background famigliari lontani tra loro, vivono esperienze segnate da perdite o da amori andati al vento; l'unica cosa che li accomuna è una deriva lenta in cui c'è spazio solo per le infatuazioni sentimentali.
L'elemento che si insinua subdolamente ma che farà deflagrare tutto è un quinto giovane , qualcosa in più che un amico di Kathy ,una delle due ragazze del gruppetto, un giapponese che ha abbandonato la Red Army nipponica, formazione estremistica e che ora è braccato dai suoi ex compagni; la sua presenza porterà al drammatico finale che sembra uscire da un altro film, risultando , probabilmente, il momento più bello di tutta la pellicola.
Condividi