martedì 11 gennaio 2011

Il tempo che resta ( Francois Ozon , 2005 )

Giudizio: 8/10
Aspettando la morte


Ancora un riflessione sulla morte, vissuta sulla propria pelle stavolta e non sotto forma di abbandono. Il tempo che resta , come risultato si avvicina più a Sotto la sabbia che a Il rifugio , gli altri due capitoli che hanno per tema la perdita, l'abbandono e la morte, in quanto Ozon riesce con la consueta grazia e forza al tempo stesso a raccontare una storia che parla della preparazione e dell'accettazione della dipartita, in cui morte ed infanzia si intecciano quasi a dimostrare una continuità finalistica.
Romain è un giovane fotografo di moda che scopre a soli 30 anni di avere un cancro che gli concede scarsissime possibilità di sopravvivenza , anche sottoponendosi alla chemioterapia; decide di rifiutare ogni tentativo e di attendere la fine. La prima reazione istintiva è quella di nascondere il tutto senza informare nessuno e con un gesto dettato dall'egoismo e dall'istinto di sopravvivenza allontana da se la famiglia e il suo compagno; si confiderà solo con la nonna  perchè, come dicono entrambi, sono simili l'uno all'altra.
I ricordi dell'infanzia e del suo rapporto con la sorella, dei primi turbamenti omosessuali e la richiesta fatta da una donna che lavora in un bar di prestarsi come surrogato del marito per fini riproduttivi scalfiscono la durezza di Romain che sembra trovare un motivo per poter degnamente chiudere la sua esistenza, affrontando la morte con maggiore serenità.
Finale un po' troppo carico di simbolismi, in cui l'uomo , mentre il sole tramonta sul mare,si abbandona sulla spiaggia.
Il film , va detto , sa emozionare e anche angosciare, grazie alla bravura di Ozon che schiva facili pietismi e lacrime gratis, preferendo la silenziosa sofferenza e il ricordo come cardini di un consuntivo della vita, affronta ancora una volta il tema della riproduzione come eredità personale che si dona al mondo , non nascondendo il problema della paternità nelle coppie omosessuali e descrive con momenti non privi di lirismo l'avvicinarsi del momento finale, laddove l'uomo e il bambino si toccano, dove morte ed infanzia si rincorrono, lì sulla spiaggia dove il film inizia e finisce.
Qualche momento lascia un po' a desiderare (vedi l'incursione nei sotterranei del gay bar, assolutamente fuori ogni logica filmica e il continuo fotografare di Romain quasi a vole fissare le ultime immagini) , ma nel complesso il film è bellissimo e mostra il volto più poeticamente valido di Ozon, capace di disegnare un dramma senza i contorni del melodramma e dei luoghi comuni, con uno stile molto misurato che sa però fare centro in pieno.
Bravo nel ruolo di Romain Melvil Poupaud che sa ben mostare nei gesti e nel corpo l'idea di morte che si avvicina, addirittura commovente la piccola ma fondamentale apparizione di Jeanne Moreau nel ruolo della nonna, in un frammento del film che risulta senz'altro il più bello e profondo.

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