lunedì 17 gennaio 2011

La regina dei castelli di carta ( Daniel Alfredson , 2009 )

Giudizio: 4/10
Fine della storia ( per fortuna...)


Terzo e (per fortuna) ultimo capitolo della trilogia del Millennium, la storia comincia dal medesimo punto in cui si era interrotta con la seconda parte; stesso regista, stessi attori (ovviamente) e , ahimè, stesso risultato scadente , perfettamente in linea con l'episodio precedente.
Da una parte la storia di Lisbeth, sopravvissuta ad una pallottola nel cervello e prossima al processo per tentato omicidio del padre Zalachenko, anche lui miracolosamente sopravvissuto alle accettate della figlia, ma non alla decisione dei suoi vecchi compari di una sezione deviata dello spionaggio, che seppur vecchi decrepiti trovano il modo di farlo fuori e di rimettere in piedi una struttura che anni prima, all'ombra dei palazzi governativi, gestiva la spia russa.
Per completare l'operazione manca solo da uccidere anche Lisbeth, unica testimone di soprusi compiuti  su di lei solo per coprire il traffico di spie.
In mezzo il giornalista che vuole pubblicare notizie che salverebbero Lisbeth e farebbero tremare il Paese ed il fratellastro di Lisbeth, fuggiasco  che per tutto il film non fa altro che ammazzare poveri malcapitati.
Un coacervo di situazioni e storie insomma che corrono confusamente ognuna per conto suo dando l'impressione di confusione e di una assoluta incoerenza narrativa: la spy story che si confonde con le peripezie della giovane senza riuscire a capire un nesso che diviene sempre più flebile, una storia di sofferenza personale che sembra non avere mai fine e che funge solo da traino emotivo ad un filo logico che si fa sempre più flebile e sottile, trovate che stemperano quel clima plumbeo e di austerità tipicamente nordico (e che era il pregio del primo film) in favore di situazioni sempre più simili a filmacci spionistici di quart'ordine.
Diciamo che anche La regina dei castelli di carta si mantiene sulla falsariga de La ragazza che giocava col fuoco, ondeggiando tra film di spionaggio e dramma personale , senza mai dare l'idea di trovare un giusto equilibrio; anche la misoginia che traspariva nei due precedenti lavori e che fungeva da primum movens della trilogia, è molto stemperata, piegata alle logiche narrative della spy story che in quest'ultimo capitolo sembra avere un ruolo dominante.
La pur brava Noomi Rapace, che nei due precedenti film fungeva da catalizzatrice della storia, appare meno convincente, ancor più con quel look da punk vintage assolutamente poco credibile.

2 commenti:

  1. conclusione, come dici, scadente di una trilogia che era partita piuttosto bene.
    attendo con grande fiducia la versione americana firmata da un david fincher che solitamente non mi delude, anzi..

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  2. e può darsi che stavolta l'americanata venga meglio dell'originale.

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