mercoledì 16 marzo 2011

Nobody to watch over me ( Ryoichi Kimizuka , 2009 )

Giudizio: 7/10
Gli eccessi di un modus vivendi


Selezionato a rappresentare il Giappone nella penultima edizione del premio Oscar, questo lavoro di Ryoichi Kimizuka è un racconto drammatico di alcuni aspetti del modus vivendi nipponico, sia riguardo a certi atavici comportamenti propri della società , sia riguardo alcuni aspetti sociali e mediatici.
Le vicende raccontano di una ragazzina sedicenne, che come prevede la legge nei casi di omicidi commessi da minorenni, viene posta sotto stretta sorveglianza da parte della polizia, insieme a tutta la famiglia, per proteggerla dalle conseguenze del crimine compiuto dal fratello.
L'incarico viene affidato all'agente Katsuura, poliziotto dalla vita personale tribolata e dal passato professionale carico di rimorsi.
Costretto ad allontanarsi da Tokyo per sottrarre la ragazzina alla pressione invadente dei media, tra i due si instaura un sincero rapporto, in cui il senso di protezione paterno e il bisogno di rassicurazione diventano i cardini fondamentali.

Il film ha senza dubbio finalità di denuncia: contro i mass media disposti a violare anche le più semnplici regole della privacy e della decenza pur di accaparrarsi immagini e parole della ragazzina; contro quella sorta di responsabilità oggettiva che investe la famiglia di chi si è macchiato di un crimine, così pesante e drammatica da portare al suicidio sotto la spinta feroce e spietata dell'opinione pubblica; contro lo strapotere di internet che diviene il megafono di forcaioli e vendicatori e probabilmente anche contro una legge che , se da un lato ha a cuore le sorti dei famigliari dell'assassino, dall'altro sembra perdere troppo di vista il dolore di chi ha subito una perdita per morte violenta.
Tutti questi aspetti, che sono in modo generale o peculiare , propri di una società come quella nipponica hanno il sopravvento nella prima parte del film che infatti avanza ad un ritmo sostenuto; nella seconda parte invece domina l'aspetto più intimistico in cui vediamo un poliziotto , forse un po' troppo stereotipato nel suo passato e nella sua condizione presente, che affronta il compito affidatogli quasi fosse un meccanismo catartico che lo porti a sperare in una ricomposizione del suo quadro famigliare e affettivo contrapposto ad una ragazzina che si trova davanti ad un evento più grande di lei e che stenta a riconoscerne i  contorni, costretta a dover metabolizzare la perdita violenta di un fratello e di una madre e a nutrire il suo disprezzo per un padre troppo opprimente; la spiegazione socio-famigliare dell'inspiegabile evento di cui si è macchiato il fratello non convince più di tanto anche perchè è solo grossolanamente accennata e rigetta , come sempre, nel contrasto generazionale padre-figli così tormentato in Giappone, le cause della tragedia.
Se non fosse per un timbro un po' troppo cronachistico , fastidosamente sottolineato dai continui rimandi agli orari e ai giorni, le vicende sono ben narrate e contengono comunque tematiche importanti; la narrazione scorre fluida anche quando nella seconda parte si addentra maggiormente nell'intimità ed il finale tutto sommato ottimista (a modo suo...) dona un po' di luce ad una ambientazione che per certi versi risulta quasi agghiacciante.
Rimane il dubbio, inevitabile se non si conosce a fondo la società giapponese, su quanto Kimizuka abbia calcato la mano nel raccontare gli eventi, sta di fatto però che il tutto non appare così poco credibile come qualcuno ha dichiarato.
Buona la prova di Koichi Sato nel ruolo del poliziotto e della giovanissima Mirai Shida in quello della ragazzina: entrambi hanno la capacità di parlare spesso più con gli occhi che con le parole.

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