martedì 1 novembre 2011

Babycall ( Pal Sletaune , 2011 )

Giudizio: 5.5/10
Thriller psicologico con spiegazione finale

Approda al Festival del Cinema di Roma l'autore di quel Naboer che tanto impressionò la critica e, con il traino dell'astro nascente del divismo cinematografico Noomi Rapace, presenta un altro thriller psicologico che per molti aspetti segue le orme del precedente, che, va detto, non è che fosse un capolavoro assoluto del genere , però rivitalizzava il panorama dello psycothriller con una struttura filmica interessante e avvinghiante.
Babycall, purtroppo, non offre il medesimo risultato, seppur segua molto da vicino il canovaccio strutturale di Naboer: stesse ambientazioni nordiche, qui molto dilatate all'esterno, con il medesimo risultato claustrofico, storie di malesseri psicologici profondissimi acuiti da un ambiente freddo e grigio in cui realtà ed immaginazione si rincorrono, si incrociano e si fondono fino a perdere i rispettivi connotati, stesso percorso a ritroso nella mente della protagonista fino al drammatico finale.

E' la storia di Anna , giovane madre fuggita col figlio di otto anni da un marito violento e sotto tutela del servizio di protezione dell'infanzia; la donna è ossessivamente preda della paura per le sorti del figlio che aveva subito violenze dal padre e vive la sua vita in perenne tentativo di simbiosi col ragazzino, circondata da fantasmi e da paure.

Il babycall del titolo è l'apparecchietto che la donna compra per consentire al figlio di dormire da solo e poter ascoltare ogni suo respiro, se non che quell'oggetto che dovrebbe infondere sicurezza si trasforma in un veicolo di angoscia e terrore nel momento in cui rimanda voci, pianti e urla provenienti da un'altra casa all'interno del gigantesco condominio in cui Anna vive e che sembrano voler riportare a galla vecchi traumi.
Anna vive da sola, perennemente sospettosa di tutto e di tutti, l'unico che riesce con lei a stabilire un contatto è il commesso di un magazzino di oggetti elettronici che intuiamo, strada facendo, sembraavere un certo background personale  simile a quello della donna e del ragazzino.

Ben presto realtà e immaginazione, paure e desideri, angoscia e dramma si accavallano, si confondono, in un perenne rewind della vita di Anna, fino ad un epilogo molto mal costruito, nel suo tentativo un po' goffo di dare una spiegazione logica agli eventi.
Quello che rendeva Naboer apprezzabile, e cioè il claustrofobico appartamento labirintico abitato dai protagonisti della vicenda, qui si trasforma in un casermone della periferia di Oslo, emblema della freddezza e della spersonalizzazione, e Sletaune insiste molto sull'ambiente esterno per tipizzare il racconto circondandolo di freddezza e di solitudine, di notti infinite e di giorni in cui il sole non tramonta mai, ma l'effetto ottenuto non è lo stesso, anche se pian piano la tensione, sottile, cresce e avviluppa man mano che le vicende si aggrovigliano e si definiscono allo stesso tempo.
Purtroppo però almeno un paio di passaggi essenziali nel film risultano confusi e contraddittori, e se il risultato raggiunto è comunque discreto per quanto riguarda il racconto di una vita giocata tra malessere e rinascita, realtà e ossessiva immaginazione, proiezione di desideri e di paure, il fatto che un thriller contenga elementi poco o mal intellegibili è elemento che gioca contro in maniera decisiva.
Raccontare la realtà reale e quella costruita da una mente  violentemente lacerata è esercizio spesso difficile che necessita grande equilibrio: Sletaune ci riesce con una regia buona che calca la mano sull'ambiente e sulla solitudine, stecca però abbastanza clamorosamente sulla struttura del racconto e quel siparietto finale che sa  di tentativo di offrire una chiave di lettura altrimenti difficile da reperire ne è l'esempio lampante.
Conferma della bravura di Noomi Rapace, pericolosamente avviata a ricevere le stigmate cinematografiche della donna fragile, problematica e un po' sfigata, buona anche la prova, nella parte dell'amico commesso, di Kristoffer Joner, che era stato il protagonista di Naboer.

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