lunedì 28 novembre 2011

I wish [aka Kiseki] ( Hirokazu Koreeda , 2011 )

Giudizio: 7/10
Il miracolo ipertecnologico

Dopo la straniante e surreale divagazione  sull'erotismo solitario e sulle bambole che hanno un cuore di due anni orsono con Air Doll , lavoro che aveva spiazzato la critica, Hirokazu Koreeda, volge lo sguardo indietro , rivolto alle tematiche che tanto bene e con grande sensibilità e profondità aveva indagato nei precedenti lavori: torna quindi la famiglia e l'infanzia al centro del suo racconto con un film che adagiandosi su note più da commedia, apparentemente più soavi rispetto al dramma incombente di Nobody Knows, va comunque ad indagare su tematiche molto simili.
Se è vero che lo stile narrativo scelto, più leggero e apparentemente ottimista, allontana di molto I wish dalle atmosfere di Nobody Knows e in parte anche di Still walking, al centro comunque rimane una lucida e drammatica indagine sulla disgregazione della famiglia e sul disagio dell'adolescenza; un disagio però che scatena la forza del desiderio e dei sogni che non si avverano, sia per i grandi che per i ragazzini.

venerdì 25 novembre 2011

1911 Revolution ( Jackie Chan , 2011 )

Giudizio: 5.5/10
Cento anni di Repubblica e cento volte Jackie Chan

Altro lavoro celebrativo in occasione del centenario della nascita della Repubblica in Cina e della caduta del millenario potere imperiale, questo film aggiunge al tono apologetico storico quello professionale di Jackie Chan, di cui si festeggia la centesima pellicola di una lunga e mirabile carriera, qui anche regista.
Una volta passate in rassegna celebrazioni storiche e professionali, occorre dire che, come spesso succede, il lavoro non è di quelli che passeranno alla storia: troppo ambizioso, e di conseguenza votato al mezzo fallimento, il tentativo di voler ripercorrere un periodo storico fondamentale per la Cina moderna, senza cadere nella cronaca quasi documentaristica o nella retorica nazionalistica.

martedì 22 novembre 2011

Lost in Beijing ( Li Yu , 2007 )

Giudizio: 7/10
Persi in una Pechino glaciale

Il terzo film di Li Yu, che recentemente ha diretto Buddha Mountain , uno tra i lavori più validi dell'ultimo anno in Cina, è uno di quei film che nascono con lo stampo del film che farà discutere: all'epoca della sua uscita esistevano almeno due versioni, una delle quali addomesticata; ciò non ha impedito però, dopo solo un anno dalla sua uscita, di far finire il lavoro della regista cinese tra i film censurati, creando quell'alone di interesse quasi morboso che va probabilmente ben oltre il reale valore dell'opera.
Indubbiamente le scene di sesso, mai gratuite occorre dire, e certi accenni al sottobosco della corruzione della società cinese non potevano non attirare l'attenzione su Lost in Beijing.
Le tematiche trattate hanno trovato , soprattutto grazie ad un regia in alcuni momenti quasi ridondante, il giusto habitat in una città come Pechino che viene descritta da Li Yu in una maniera molto asettica, dilatata, impersonale, quasi fredda, al punto di far assurgere in svariati frangenti proprio gli scorci della capitale cinese ad assoluti protagonisti della pellicola.

venerdì 18 novembre 2011

So close to paradise ( Wang Xiao-shuai , 1998 )

Giudizio: 8/10
L'atmosfera fatalista che opprime

Uscito dopo alcuni anni dalla fine delle riprese a causa della permanenza del regista nella black list della censura cinese, So close to paradise si pone in una posizione originale nel contesto dell'opera cinematografica di Wang Xiao-shuai: infatti pur essendo facilmente rintracciabili le consuete tracce sociali riferite al periodo storico in cui si svolgono le vicende, l'impalcatura su cui il film si regge è costruita sfruttando atmosfere meste e fataliste tipiche di un certo noir ad ispirazione occidentale.
La storia ,ambientata nei primi anni 90, racconta di due giovani che dalla campagna si trasferiscono in città con il sogno nella valigia di fare soldi rapidamente; l'approccio dei due è diametralmente opposto: Gao Ping vuole affermarsi come un piccolo boss solitario alla ricerca del rispetto e del timore che incute, Dong Zi invece crede nel lavoro onesto e nella fatica come tramite per arricchirsi.

sabato 12 novembre 2011

Purple butterfly ( Lou Ye , 2003 )

Giudizio: 6.5/10
Amore, morte e spie a Shanghai

Tre anni dopo il bellissimo Suzhou River, Lou Ye dirige  Purple butterfly, l'unico lavoro che non gli ha procurato particolari noie con la censura cinese.
Affidandosi ancora una volta al suo stile inconfondibile e alla creazione di atmosfere molto dilatate, Lou Ye intende raccontarci una storia che si dipana nell'arco di 10 anni, quelli a cavallo tra fine anni venti e fine anni trenta, in cui il paese fu scosso dalla invasione giapponese e dalla guerra.
All'interno di questo contesto storico si svolgono le vicende di Xian Xia e del suo amore giovanile Itami, un giapponese che la guerra le strapperà per tornare in patria come militare, immerse in un contesto in cui guerra, spionaggio, morte, tradimenti , amori drammatici e scherzi del destino si susseguono senza sosta, creando un substrato di cui la storia d'amore, diventata poi storia di spie quando Itami torna a Shanghai come agente segreto giapponese e Xin Xia diventa una attivista antinipponica.

My dear enemy ( Lee Yoon-ki , 2008 )

Giudizio: 7/10
Il cialtrone e la nevrotica

My dear enemy è il quarto lavoro del regista coreano Lee Yoon-ki e precede di tre anni l'uscita dell'ultimo Come rain come shine, uno dei lavori più deludenti e strampalati degli ultimi anni usciti dalla Corea, a maggior ragione se si considera il credito di cui gode il regista, soprattutto a livello festivaliero.
Tanto irritante è l'ultimo lavoro quanto invece è riuscito e valido questo My dear enemy, nel quale si riconosce lo stile tendente al minimalismo del regista che ha però la grande capacità di costruire due personaggi efficaci e che bucano lo schermo in grado di trascinare il film per tutte le due ore di durata.
Situazione banale e semplice: lei rincontra lui dopo un anno e l'incontro non è casuale, lei rivuole indietro i suoi soldi che prestò all'ex, il quale naturalmente non li ha, essendo un tipo che cerca la fortuna nelle sale corse.

venerdì 11 novembre 2011

China my sorrow ( Dai Sijie , 1989 )

Giudizio: 7.5/10
Un adolescente al campo di rieducazione

E' questo l'esordio cinematografico di Dai Sijie, divenuto qualche anno dopo maggiormente famoso per la sua attività di scrittore grazie al romanzo Balzac e la piccola sarta cinese di cui diresse personalmente in seguito la versione cinematografica.
Il regista, ormai cittadino francese da diverso tempo, è stato uno di quelli che subì le conseguenze della Rivoluzione Culturale, essenzialmente per la sua origine sociale media.
China my sorrow è un lavoro che risente della biografia del regista in quanto è ambientato proprio negli anni della Rivoluzione Culturale e racconta di un ragazzino quindicenne che paga a carissimo prezzo la sua smania di farsi  notare da una ragazzina diffondendo a gran volume una canzone considerata oscena dalle guardie rosse.

lunedì 7 novembre 2011

Hanji ( Im Kwon-taek , 2011 )

Giudizio: 8.5/10
La tradizione riscoperta nella memoria

Il grande patriarca del cinema coreano, uno tra i più grandi registi viventi giunto al suo 101° film, dopo avere raccontato con occhi poetici e commossi il pansori, prosegue nella sua opera di affermazione della cultura coreana rivolgendo il suo acutissimo occhio narrativo all'Hanji, antichissimo metodo tradizionale di produzione della carta, attività peculiare della Corea e che affonda le sue radici indietro nei secoli.
Se il pansori era il canto dello spirito malinconico, l'Hanji è il trionfo della tradizione e della disciplina manifatturiera, il tramite col quale tramandare nei secoli la memoria; Im Kwon-taek , mostrando la sua consueta grandezza stilistica, costruisce un racconto intorno a questa tradizione centenaria col quale, lungi dal cadere nel formalismo di stampo storico documentaristico, riesce ancora una volta a coniugare perfettamente la memoria e il presente, la Corea di ieri, da riscoprire nei suoi valori, e quella di oggi troppo spesso in preda ad una dilagante spersonalizzazione.

sabato 5 novembre 2011

Impressioni sul 6° Festival Internazionale del Cinema di Roma ( 27/10 - 4/11 2011)




Con  i premi assegnati ieri sera si è concluso il 6° Festival del Cinema di Roma.
Lungi dal voler stilare i soliti aridi bollettini su giudizi critici riguardo ai lavori presentati voglio qui riportare solo alcune impressioni sulla kermesse cinematografica, focalizzando alcuni punti e alcuni momenti che maggiormente mi hanno interessato.

Giudizio complessivo: difficile da esprimere; sarà perchè di festival ancora giovane si tratta, sarà perchè non è ancora chiaro cosa voglia offrire, ma questo Festival risulta un po' troppo senza anima; nato come Festa del Cinema sembra voglia trasformarsi in un evento festivaliero a tutti gli effetti, sulla scia dei grandi eventi cinematografici (Venezia, Cannes, Berlino, solo per citarne alcuni) , senza però avere una visione di insieme del cinema che tali eventi necessitano. L'avere relegato ad esempio il cinema asiatico a tre sole opere nell'arco di tutte le rassegne è scelta scellerata, essendo tale cinematografia e tale industria sicuramente la più viva e la più dinamica di questi anni, per di più presentando lavori che già da mesi hanno visto la luce e già disponibili nel mercato dell'Home Video.
Il fastidioso nazionalismo per il quale si vogliono infarcire le rassegne con una pletora di lavori italiani poi è assolutamente fuori luogo, a meno che non si decida di trasformare il Festival in un traino per il cinema italiano.
Dal prossimo anno, pare, qualcosa cambierà a livello di direzione, vedremo quale strada si deciderà di intraprendere.
Nulla da eccepire sulla organizzazione che si è dimostrata puntuale e valida, anche se con qualche piccolo ritardo negli orari.

Love for life ( Gu Chang-wei , 2011 )


Giudizio: 8/10
L'amore straziante ai tempi dell'AIDS

Il terzo lavoro di Gu Chang-wei giunge a capolinea dopo una lunga gestazione durata svariati anni ostacolata da difficoltà economiche e problemi con le autorità cinesi, che hanno portato al fine ad un taglio di circa 40 minuti, periodica costante nelle opere del regista cinese.
Questo bailamme che ha accompagnato il film si ripercuote in piccola parte sul prodotto finale in cui è chiaro che sono presenti delle mutilazioni, probabilmente nascoste dietro logiche di mercato ma che di fatto vanno a smussare gli angoli di una tematica sociale che per le autorità cinesi è ancora quasi un tabù da evitare con cura.
Il lavoro di Gu Chang-wei, presentato al Festival di Roma e colpevolmente non considerato a livello di riconoscimenti, affronta il tema del contagio da Aids che si sviluppò nei primi anni 90 a causa del mercato clandestino di sangue.

giovedì 3 novembre 2011

Nuit blanche ( Frederic Jardin , 2011 )


Giudizio: 5.5/10
Tutto in una notte e in un luogo

La notte bianca del titolo è quella che aspetta il poliziotto Vincent, dopo che in un'alba livida parigina ha sottratto, in combutta con un collega corrotto, un carico di droga a dei trafficanti: una notte bianca come la droga e come la farina che cerca di spacciare per cocaina, una notte buia , claustrofobica e frenetica trascorsa nella discoteca del boss che ha imbrogliato il quale gli ha rapito il figlio affinchè gli restituisca la merce, una notte che sembra un incubo techno tra musica sparata all'infinito, botte, borse cariche di droga che ballano tra i controsoffitti, facce da galera, trafficanti corsi che vestono Dolce & Gabbana e trafficanti turchi, poliziotti corrotti, poliziotti iperzelanti, biondone dalle cosce lunghe, una vita da riscattare e un figlio da salvare e  da cui ottenere fiducia e affetto.

Un cuento chino ( Sebastian Borensztein , 2011 )

Giudizio: 8/10
Un incontro fissato dal destino

Proviene dall'Argentina, terra dove il cinema sta vivendo un buon periodo di fertilità, uno dei film che la critica ha unanimemente riconosciuto come uno dei migliori del Festival di Roma ed in effetti, grazie ad atmosfere da commedia brillante miscelate sapientemente a riflessioni esistenziali, il lavoro di Borensztein è godibilissimo, divertente al punto giusto, in alcuni momenti commuove anche ,usando sempre toni contenuti che non escono mai dai confini del buon gusto e dell'intelligenza.
E' la storia dello strano incontro tra Roberto, origini italiane, gestore di un negozio di ferramenta, profondamente segnato nella vita famigliare e negli affetti con Jun , un giovane cinese volato in Argentina alla ricerca dello zio, suo unico parente rimasto vivo; la convivenza forzata che si impone Roberto, mosso a compassione dal giovane perso nelle vie di Buenos Aires, mette però a dura prova la stabilità dell'uomo, abituato a vivere da solo, sommessamente, leggendo e collezionando ritagli di giornale che parlano di notizie assurde che sembrano scherzi del destino, ripetendo riti quotidiani, girando per la città con la sua  Fiat 1500 anni 60, rifiutando gli assalti di una spasimante.

mercoledì 2 novembre 2011

Come rain come shine ( Lee Yoon-ki , 2011 )

Giudizio: 4/10
La pioggia e poco altro

Tipico esempio di lavoro che sembra costruito apposta per dividere critica e pubblico, Come rain come shine del coreano Lee Yoon-ki , autore intorno al quale si intuisce un'aura festivaliera di quelle potenti, vorrebbe essere il racconto di un rapporto interpersonale apparentemente giunto al capolinea tra silenzi, noia e solitudine interiore, una fotografia di un disagio emozionale che sembra risolversi in una inespressività sentimentale.
Tutto ciò, è bene dirlo, è quello che il film vorrebbe essere, una lettura filtrata di quanto scrivono coloro cui il film è piaciuto.
In realtà Come rain come shine risulta essere un esercizio di vacuità assoluta, in cui  vorrebbero insinuarsi refoli di alito rohmeriano iperminimalista col risultato di assistere ad una pellicola che alla fine appare quasi irritante con quel suo giocare sulle emozioni filtrate, sui silenzi e sui gesti quotidiani.

martedì 1 novembre 2011

Babycall ( Pal Sletaune , 2011 )

Giudizio: 5.5/10
Thriller psicologico con spiegazione finale

Approda al Festival del Cinema di Roma l'autore di quel Naboer che tanto impressionò la critica e, con il traino dell'astro nascente del divismo cinematografico Noomi Rapace, presenta un altro thriller psicologico che per molti aspetti segue le orme del precedente, che, va detto, non è che fosse un capolavoro assoluto del genere , però rivitalizzava il panorama dello psycothriller con una struttura filmica interessante e avvinghiante.
Babycall, purtroppo, non offre il medesimo risultato, seppur segua molto da vicino il canovaccio strutturale di Naboer: stesse ambientazioni nordiche, qui molto dilatate all'esterno, con il medesimo risultato claustrofico, storie di malesseri psicologici profondissimi acuiti da un ambiente freddo e grigio in cui realtà ed immaginazione si rincorrono, si incrociano e si fondono fino a perdere i rispettivi connotati, stesso percorso a ritroso nella mente della protagonista fino al drammatico finale.
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