mercoledì 24 ottobre 2012

Hahaha ( Hong Sang-soo , 2010 )

Giudizio: 6.5/10
I simpatici ciarlatani

Puntuale come sempre da anni, anche Hahaha , film del 2010 del regista coreano Hong Sang-soo si porta a casa il premio a Cannes, divenuto ormai l'abituale trampolino di lancio di un regista che sempre più nettamente si sta spingendo verso una forte contaminazione francese nelle sue opere.
Con questo lavoro, che giunge dopo una serie di pellicole  indubbiamente importanti, alcune di notevolissimo spessore, sembra di assistere ad una metamorfosi sia dello stile narrativo che delle tematiche e soprattutto ad un cambiamento dello sguardo del regista.
Vero che la struttura del film ricalca in maniera quasi maniacale quella della quasi totalità delle opere di Hong, ma il suo modo di porsi e quindi di raccontare le storie perde molto di quel sarcasmo e di quella cattiveria che avevano caratterizzato i lavori precedenti.

domenica 14 ottobre 2012

Our Homeland ( Yang Yonghi , 2012 )

Giudizio: 8/10
La Patria e le famiglie divise

Candidato al prossimo Premio Oscar per il Giappone, Our Homeland è diretto dalla documentarista nippo-coreana Yang Yonghi, al suo primo lavoro di fiction.
E' un film di dichiarato stampo autobiografico e porta in primo piano la realtà delle famiglie nordcoreane espatriate in Giappone dopo avere abbandonato la "terra promessa" raggiunta negli anni 60.
La regista fa parte di una di queste realtà famigliari e la storia raccontata è quella della sua famiglia e della sua vita.
Famiglia che si riunisce per un breve periodo in occasione del viaggio del figlio seriamente malato in Giappone, scortato e braccato stretto dai poliziotti nordocoreani.
Ben presto quella che è la realtà della vita in Corea del Nord e le sue profondissime contraddizioni si esplica: padre che presiede una associazione nordcoreana (filogovernativa) in Giappone, figlia (l'autrice) che scopre come dietro la frattura famigliare si nascondono ideologie e politiche contrapposte, madre che si affida al suo istinto innato di sopravvivenza filiale per cercare di salvare il figlio, tutto descritto senza alcun fragore e senza rimarcare connotazioni politiche o peggio propagandistiche, soprattutto perchè Our Homeland è essenzialmente un film sulla famiglia separata, su una diaspora silenziosa che ha colpito decine di migliaia di persone.

sabato 13 ottobre 2012

Here, Then / 此处与彼处 ( Mao Mao / 茅毛 , 2012 )


Giudizio: 6.5/10
L'inesorabile trascorrere del tempo


Sebbene sia solo al suo primo film, presentato al Festival di Edimburgo, Mao Mao è uno dei giovani registi cinesi più promettenti e con la sua opera prima Here, Then ha attirato una certa attenzione su di sè soprattutto per il suo stile narrativo che sembra volere prendere le distanze dai filoni cinematografici e dalle correnti più conosciute nel panorama cinese.
Here, Then è lavoro che ostenta una certa ambizione nel suo costante richiamo a quel cinema che rimanda fortemente ad Antonioni, in cui dialoghi e movimento sono quasi banditi.
La storia, per certi versi anche confusa, ruota intorno alle esistenze alienate di alcuni personaggi che sono mostrati nella loro solitudine alle prese con il trascorrere del tempo, impietosamente rappresentato dai lunghissimi piano-sequenza in cui la macchina da presa , immobile, si limita a  lente ed inesorabili zoomate che restringono ed amplificano lo spazio.

mercoledì 10 ottobre 2012

Wind Blast / 西风烈 ( Gao QunShu / 高群书 , 2010 )

Giudizio: 6/10
Western nel deserto del Gobi

Reduce dal semi kolossal storico The Message, Gao QunShu dirige questo Wind Blast in cui dilata i confini dell'action movie fino a farli collidere con quelli del western.
Indubbiamente l'idea di concepire un western ( ebbene sì, per struttura e sviluppo è proprio un Chinese Western) nelle zone desertiche della Cina del nord è indubbiamente originale e ricca di fascino, che poi i risultati siano pari alle aspettative questo è sicuramente meno certo.
La storia è una variazione sul tema del guardie e ladri che parte ad Hong kong con un killer che ammazza un uomo in un bar e che conserva per sè  una foto del mandante dell'omicidio e che ben presto vediamo braccato nella regione che lambisce il deserto del Gobi da una squadra di poliziotti con tanto di cappellone alla John Wayne e di nomi da battaglia che richiamano ai soprannomi di sceriffi e bounty killer; ma a braccare l'uomo c'è anche una coppia di killer che debbono impossessarsi della foto in suo possesso.

Man with no name / 无名者 ( Wang Bing / 王兵 , 2009 )


      Giudizio: 8.5/10
La solitudine dell'individuo

Come Wang Bing abbia incontrato il protagonista del suo documentario Man with no name non è dato sapere, probabilmente si sarà trattato del solito scherzo del fato, sta di fatto che il regista cinese, dopo le monumentali e commoventi dissertazioni cinematografiche sugli aspetti più profonda della Cina autentica, si sofferma stavolta su un individuo che con il suo gesto di ribellione assoluta, privo di ogni connotato sociale e politico vuole affermare la sua centralità come essere umano.
Seguire il ciclo delle stagioni, vivere come un moderno Robinson Crusoe, chiudersi nel suo mutismo rotto solo da qualche imprecazione non comprensibile, è per Wang Bing l'affermazione dell'individualismo spazzato via da decenni di collettivizzazione.
E il regista con la solita garbata maestria interagisce col protagonista senza influenzare nulla della sua esistenza, scrivendo un'altra pagina memorabile di Cinema.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it

Days we stared at the sun / 他們在畢業的前一天爆炸 ( Cheng Yu Chieh / 郑有杰 , 2011 )

Giudizio: 4.5/10
Storie (confuse) di giovani taiwanesi

Chi attendeva al varco il regista taiwanese Cheng Yu Chieh, dopo un lavoro che mostrava sicuramente grandi doti di regista quale è stato Yang Yang, dovrà ancora una volta rimandare il giudizio definitivo: il suo ultimo lavoro, infatti, pur confermando a pieno la bravura tecnica  e la scelta delle tematiche narrative, lascia intravvedere, addirittura ingigantite, le medesime pecche che mostra la pellicola precedente.
Quella che all'inizio sembra essere la tipica storia da film sentimental-giovanilistico taiwanese, filone che comunque è stato capace di regalare anche lavori più che buoni, ben presto si arricchisce , quasi per un fenomeno di iperfagia ,di numerose altre tematiche e situazioni che fanno virare il film verso la confusione, quando non verso un vero e proprio guazzabuglio narrativo.

Killer Joe ( William Friedkin , 2011 )

Giudizio: 8/10
Facce gonfie, violenza e risate

Dopo alcuni anni di silenzio torna al lavoro William Friedkin, un regista che già ha il suo nome indelebilmente iscritto nella Storia del Cinema grazie a L'esorcista, lavoro che appartiene di diritto alla categoria dei film che hanno cambiato della storia dell'Arte.
Il ritorno è la black comedy Killer Joe, presentata a Venezia nel 2011 dove riscosse enorme credito: è una di quelle pellicole che hanno la rara capacità di strappare risate anche nel veder facce gonfie e sanguinanti esito di esplosioni di violenza che sembrano uscire da un film di Tarantino.
Storia di una famiglia volatilizzata in cui tra droga rubata, omicidi progettati e commissionati ad un killer prezzolato , detective della polizia a tempo perso, o viceversa, idioti patentati , cupidigia e totale assenza di moralità, tutto si riduce al possesso e alla morbosità.
Black comedy sì, ma vivisezionata e ricostruita su canoni cui neppure i fratelli Coen sono mai approdati che trascina in un vortice in fondo al quale c'è la perdita di tutto.
Attori , tutti, in forma strepitosa e conferma della bravura di Friedkin cui lo star system americano continua a voltare le spalle; per fortuna però che c'è ancora qualcuno che sa riconoscere la maestria cinematografica.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it

martedì 2 ottobre 2012

Submarino ( Thomas Vinterberg , 2010 )

Giudizio: 8/10
Vinterberg guarda indietro

Abbandonato da anni il Dogma di cui fu uno dei rappresentanti più illustri e dopo avere dato alcune prove non proprio esaltanti, Thomas Vinterberg torna con una ottica diversa a temi e ambientazioni che si avvicinano come non mai al suo lavoro più importante , Festen.
Cambia il punto di vista, non più la borghesia danese racchiusa nella sua ipocrisia, bensì una famiglia disintegrata sin dall'inizio che porta su di sè le stigmate della tragedia immane, quale è quella dei due fratelli protagonisti che vediamo in un bellissimo e livido inizio e che ritroviamo anni dopo segnati indelebilmente  dalla vita.
Nick, cupo e violento, solitario e avanzo di galera, l'altro (che non è degno neppure di un nome) vedovo e drogato con un amatissimo figlioletto da tirare avanti tra espedienti e illusorio benessere da spacciatore, raccontati in due storie parallele che si intersecano solo in alcuni momenti drammatici e sentiti, soprattutto il finale.
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