venerdì 6 dicembre 2013

Cargo 200 ( Aleksei Balabanov , 2007 )

Giudizio: 9/10
Era la seconda metà del 1984 ...

" Era la seconda metà del 1984" , ci tiene a ricordarlo Aleksei Balabanov alla fine del suo lavoro, ci tiene perchè questo è il suo film sul 1984 in URSS, costruito intorno ad un episodio di cronaca vero, ma che è molto di più di una nuda cronaca filtrata dall'occhio di un cineasta mai convenzionale e che va dritto al cuore e alle viscere; è il suo dipinto livido e lercio di un pezzo di storia che ha segnato la vita di molti.
Cargo 200 non è un film forte, disturbante, eccessivo, è la lucida memoria di chi sa leggere gli eventi e li sa raccontare con una immediatezza e una profondità che hanno pochi eguali, è la certificazione della definitiva decomposizione di un gigante che olezza sempre più e che riempie tutto di larve e mosche, un gigante cui resta null'altro da fare che accogliere le bare zincate dei morti in Afghanistan (in surreali e grottesche scarpe da ginnastica bianche); tutto intorno una umanità che ha perso ogni minima regola etica e morale , che asseconda la discesa nel baratro con la cattiveria e l'ignominia che neppure dei mostri clonati possano avere. Non c'è un eroe positivo in questo Cargo 200, c'è solo bassezza e degradazione: poliziotti psicopatici e torturatori che sfruttano la divisa ed il ruolo per incutere terrore, ex galeotti che filosofeggiano su Campanella e la sua Città del Sole, giovani sbandati privi di ogni obiettivo che non sia il denaro, giovani donne che sanno solo gridare la loro influente paternità, vendicatrici silenziose e abbrutite dal disprezzo e dall'inedia, professori universitari che proteggono i loro piccoli privilegi fatti di qualche salame e qualche bottiglia in più.
La parata dei personaggi si presenta lentamente e progressivamente davanti a noi col procedere della storia, incalza, diventa abiezione quando il film prende la deriva del crudo realismo (non della compiaciuta violenza come qualcuno ha scritto e sentenziato); Balabanov getta sullo schermo l'ineluttabilità del racconto, della verità, della sua verità , quella che affonda nella sua memoria.
E' un procedere inesorabile di immagini buie, di derive esistenziali, di decomposizione che diventa immagine  nella drammaticamente grottesca scena della casa del poliziotto, ma tutto ha la sua profonda ragione, non va mai oltre le righe , non si ha mai l'impressione che qualcosa sia calcato, pletorico, anzi tutto sembra di una rigorosa asciuttezza narrativa, impossibile da arrestare.
L'immagine dell'Urss che sta per uscire dal comunismo è efficace in tutto anche nei minimi particolari; le automobili, gli abiti, le case e le abitudini, ma anche i cadaveri che tornano in patria e la perdita di ogni riferimento: una nave lasciata alla deriva nel mezzo dell'oceano dove non vige più nessuna regola, dove la distanza tra la vita e la morte è quasi annullata, dove regna solo un senso di pesantezza incombente che schiaccia ed opprime.
La pietra tombale Balabanov ce la regala nel finale: il professore universitario, membro del partito, cattedra di Ateismo scientifico che si rifugia in chiesa per chiedere informazioni sul battesimo; è la mazzata finale su un pezzo di storia al termine del quale la distanza tra l'uomo ed il mostro ha l'immagine di un morto, eroe di guerra con le scarpe da ginnastica.

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