lunedì 3 marzo 2014

On the job ( Erik Matti , 2013 )

Giudizio: 7.5/10

Dopo averci profondamente deluso al Far East Film Festival di Udine del 2013 con il più che mediocre The Aswang Chronicles , Erik Matti, uno dei registi filippini più stimati, ci regala con On the job un lavoro nel quale convergono filoni del poliziesco di ispirazione europea ( il noir francese e il poliziottesco italiano)  e di ispirazione Hkese ( Johnnie To) : il risultato è una crime story che si riduce ad un cinematografico guardie e ladri costruito con grande sapienza.
Da un lato due killer appartenenti a generazioni diverse uniti dal comune bisogno di denaro per finanziare gli studi in Legge della figlia uno e le cure per la madre malata l'altro: escono dalla prigione per brevi permessi e mettono in atto il lavoro, il tutto con la ovvia complicità delle autorità carcerarie e sotto la guida di una misteriosa donna che li assolda; dall'altra il rampante agente del National Bureau Investigation e il poliziotto di quartiere, uno dei pochi ancora a vedere nel suo lavoro il ruolo sociale : entrambi si tirano dietro passato e presente ingombranti tra il ricordo di un padre ucciso in circostanze misteriose su cui è stato gettato fango per il primo e un figlio pericolosamente vicino al malaffare il secondo.

Sullo sfondo il consueto splendore che sa offrire Manila come tessuto connettivo della storia: una città di grandi contraddizioni che rispecchiano quelle di una società in cui troppo spesso sono i satrapi della politica e i loro compari del malaffare a farla da padroni incontrastati.
Guardie da un lato che inseguono un caso che scotta e che potrebbe portare a conseguenze nefaste per l'esistenza del giovane Francis che deve alla posizione del suocero il suo ruolo di rilievo nella NBI e che è sempre alla ricerca affannosa di dimostrare , prima di tutti a sè stesso, qualcosa; ladri dall'altro che fanno del killeraggio un lavoro come un altro, ingabbiati come sono nella loro condizione e nel loro destino: vicino ad appendere la pistola al chiodo uno, voglioso di farsi strada il secondo e tra i due si instaura una sorta di rapporto padre-figlio
La resa dei conti, sporca , buia e drammatica sarà inevitabile, nei rapporti umani, per il passato e per il presente.
On the job è lavoro sotto certi aspetti quasi raffinato nella sua descrizione meticolosa dei personaggi e della loro storia personale ( il cast aiuta in tal senso vista la presenza di grandi nomi del cinema filippino): il passato, i sentimenti, la strisciante voglia di redenzione attraverso il proprio lavoro , sia esso sporco e pulito poco importa, fanno da perno ad una storia che se da un lato può apparire banale, dall'altro, proprio grazie alla sua semplicità, si arricchisce, senza appesantirsi, di molteplici aspetti.
La denuncia sociale della corruzione e della commistione politica-affari sporchi contrapposta alla difficile condizione sociale di alcuni dei protagonisti, sembrerebbe spingere On the job nel genere del film ad alto impatto sociale: non è così, la pellicola è una efficace storia tinta di nero, pessimistica, dal buon ritmo e con la giusta dose di azione, in cui il dramma incombe e riesce a spazzare via tutto.
Indubbiamente il richiamo più prossimo che suscita il film è rivolto al cinema di Johnnie To, dove sono i personaggi al centro della storia che tende ad agrovvigliarsi sempre più; in On the job però c'è un clima ancora più cupo, in cui tutto conduce dritto nel buio pesto dove lo spazio per uscire dalla gabbia è una esile fessura; fuori della gabbia però c'è il mondo che non regala niente che aiuti a creare un fascio di luce.

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