martedì 13 maggio 2014

Rough Play ( Shin Yeon-shick , 2013 )

Giudizio: 4.5/10

"An actor is an actor" è la traduzione letterale del lavoro diretto da Shin Yeon-shick , alla sua opera prima, che rimanda nel suo titolo internazionale a quel Rough Cut del 2008 che letteralmente si intitolava invece "A movie is a movie": non è un sequel , va detto subito, ma un film che vorrebbe in qualche modo completare una certa visione sul mondo del cinema.
Dietro questo guazzabuglio infernale di titoli c'è , come comune denominatore, la mano di Kim Ki-duk che è lo sceneggiatore di entrambi.
Ma se Rough Cut aveva una sua validità, questo Rough Play è non solo deludente ma assolutamente confuso e inconcludente.
Sin dall'inizio la dicotomia realtà-finzione che sembra macerare ( ma sarà vero?) molti protagonisti della scena cinematografica è ben messa in primo piano con una scena lunga che crea incroci tra realtà e finzione fin quasi a far perdere di vista i confini delle due dimensioni.

E' la storia di Young , un giovane attore dai modi molto personali e impulsivi che sulle scene cerca sempre di fa coincidere le due dimensioni; l'incontro con un impresario che spunta dal nulla e che appare quasi un Mefistofele con foulard in breve tempo porta il giovane attore a diventare  una stella nascente del Cinema, guadagnandosi di punto in bianco ruoli di primo piano laddove offriva semplici comparsate.
Da qui parte il solito clichè sul mondo del cinema popolato di cinici, avidità, ricchezza , conquiste facili, strani intrecci personali, folli produttori, registi "antiquati" stelline in cerca di gloria, tormenti amorosi che riemergono dal passato, naturalmente fesserie compiute seguendo il proprio senso di onnipotenza e l'immancabile gangster in cerca di gloria e soldi.
Inutile dire che il tutto è in toto farina del sacco  di Kim , ormai impantanato da anni nella sua personale guerra contro il mondo cinematografico del suo paese: sperare da uno come lui in qualcosa di meglio era lecito, perchè è proprio la sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, anche se ormai gli indizi conducono verso la quasi certezza di un pericoloso inaridimento artistico da parte del regista; la continua autocitazione di Moebius poi è addirittura misera oltre che fastidiosa.
Unico momento degno di nota del film è il confronto tra Young e un gangster che con modi spicci cerca di immischiarlo in affari loschi: lampi di cattiveria e di spigolosità che gettano un minimo di luce sul film.
Alla fine quello che rimane è : la stucchevole parabola-metafora sul "metacinema" (come dicono i critici dal parlare forbito) e sulla contrapposizione tra realtà e finzione, una sterile e dozzinale denuncia dell'ambiente cinematografico, una storia che dice poco o nulla e una prova discreta dell'efebico idol singer coreano Lee Joon.
Troppo poco, a maggiore ragione se messo a confronto con Rough Cut che almeno un senso più compiuto lo aveva.

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