venerdì 21 novembre 2014

Central Station [aka Central do Brasil] ( Walter Salles , 1998 )

Giudizio: 8.5/10

Sul suo banchetto nella affollatissima stazione Dora scrive lettere per gli analfabeti: pensieri, insulti, minacce, parole tenere, un flusso di parole grazie al quale arrotonda la sua misera pensione da ex insegnante; la sua è una vita solitaria tra vagoni stracolmi e le chiacchiere a casa con la sua amica vicina di casa; unico sprazzo l'arrogarsi il diritto di scegliere quale lettera inviare effettivamente e quale cestinare.
Un giorno una delle sue estemporanee clienti muore investita da un bus: nelle lettere inviate al marito lontano lo informava che il figlio che lui mai aveva conosciuto voleva incontrarlo.
Dora , in un impeto di pietas, si prende cura del ragazzino rimasto solo, nonostante il suo cinismo , quasi una misantropia malcelata, la porti ad essere tutt'altro che solidale con il prossimo.
Dapprima porterà il ragazzino in un centro per bambini soli da adottare, rimediando anche una discreta cifra di soldi; ma quando capirà che quella è solo l'anticamera del traffico di organi e di merce umana se lo riprende e fugge con lui intenzionata ad esaudire il desiderio del ragazzino di rivedere il padre.

Inizia così un curioso road movie: la donna anziana ed il ragazzino legati dapprima da antipatia ed astio nei quali si insinua ben presto l'affetto ed un legame profondo; un viaggio tra violenti scontri tra i due, tra illusioni e delusioni, immersi nel Brasile più anticonvenzionale mai visto sullo schermo: niente città caotiche nè favelas, niente carnevale nè foresta amazzonica, bensì una terra arida, desertica, arcaica, animata dallo spirito contadino che fa leva su un quasi blasfemo connubio tra sacro e profano, feste religiose ( uno dei momenti indimenticabili del film) e assurdi santuari in cui si consumano in nome di Dio dei riti quasi pagani.
Ma soprattutto il viaggio fino alla meta è da un lato la scoperta di una umanità profonda nascosta sotto dure scorze e dall'altro una riconciliazione con se stessi della strana coppia di viaggiatori improvvisati: ritrovare la famiglia del ragazzino è per Dora come chiudere i conti con il suo disastrato passato famigliare; lo specchiarsi uno nell'altra diventa per i due una taumaturgica soluzione alla loro solitudine e ai loro tormenti.
Central Station è però tutt'altro che film buonista e ottimista: la veduta positivista ed umanistica di Walter Salles risiede nella sua meticolosa descrizione antropologica dei vari personaggi dai quali riesce sempre ad estrapolare qualcosa che meriti di essere ricordato sebbene immersi in una società come quella brasiliana in cui i contrasti, vuoi di tipo economico, vuoi di tipo sociale, vuoi di tipo etnico, sono probabilmente tra i più profondi che esistano: le atmosfere sono quelle da film neorealista in cui è la storia personale il centro del racconto e Salles asseconda tutto ciò lasciando spazio ai suoni, alle facce e all'ambiente naturale.
Dietro la riconciliazione finale rimane però il profondo senso di solitudine, lo stesso che ci prende quando alla fine di un percorso abbiamo saldato i conti, abbiamo fatte emergere quello che stentava a venire a galla, ma ci ritroviamo pur sempre soli , come prima. 

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