giovedì 3 settembre 2015

Non escludo il ritorno ( Stefano Calvagna , 2014 )


Giudizio: 7.5/10

La decisione del Festival di Roma del 2014 di non selezionare Non escludo il ritorno fu accolta con una pacifica quanto clamorosa protesta da parte del cast e della troupe durante la Conferenza Stampa di presentazione della rassegna; a quasi un anno di distanza la visione del film di Stefano Calvagna sulla figura di Franco Califano e il giudizio retrospettivo sulle pellicole presenti a quel Festival, soprattutto quelle italiane,  dimostrano che quelle proteste qualche fondamento potevano averlo.
Non escludo il ritorno è infatti un lavoro che, seppur non privo di debolezze e di qualche pecca, il suo senso ce lo ha, quello di presentare un ritratto di un grande cantautore sempre troppo sottovalutato che si erge a sentito omaggio a poco più di un anno dalla morte.


Il lavoro di Calvagna, autore controverso nella cui gerla comunque conserva buone prove passate, è il racconto del percorso artistico ed umano del cantante a partire dai primi anni del nuovo millennio fino alla morte, in quella fase in cui Califano tentò con tutte le sue forze di emergere dal limbo in cui era ( e si era) relegato; il regista, che del cantante era anche amico,  ha voluto dipingere un ritratto molto umano e molto poco professionale, privilegiando il volto quasi crepuscolare che Califano offrì a chi lo conosceva bene negli ultimi anni della sua esistenza.
Non escludo il ritorno è insomma il disegno per immagini della parabola finale della vita artistica e personale di Franco Califano, partendo dal tentativo di tornare sul palco accettando anche platee quasi squallide e periferiche (matrimoni, feste) pur di tornare a respirare l'aria che fa sentire vivo ogni artista, quella del palcoscenico.

Lo vediamo quindi circondarsi di fans giovanissimi che diventano nel tempo i suoi collaboratori oltre che compagni di chiacchiere e di cene, la difficile risalita alla ribalta in un ambiente che di lui voleva ricordare e mettere in mostra solo i lati pruriginosi e di costume facendone una sorta di simulacro di un epoca passata pittoresca, la grande umanità, la sorpresa commossa nel constatare che i suoi fans non erano vecchi playboy da night club ingrigiti ma giovani che vedevano nelle sue canzoni il sentimento e i tormenti dell'uomo, un senso di ineluttabile abbandono e di solitudine che mai nella vita si è scrollato di dosso, il ricordo del passato che tanto aveva segnato la sua vita sempre alla ricerca spasmodica, da eroe romantico, di una libertà che non poteva essere disgiunta dalla solitudine, persino l'ammirazione per Ratzinger cui chiese udienza ( concessa ma troppo tardi ormai) prima di morire e che lascia intravvedere sullo sfondo un avvicinamento alla fede.
Ma soprattutto , in tutto il film , è chiarissimo il concetto che ha guidato la realizzazione di Calvagna: raccontare un uomo nelle sue debolezze, nella sua umanità , nel suo anelito ad una utopica libertà personale che molto spesso lo ha portato in passato a scelte sbagliate di cui però ha pagato  , sempre in solitudine, in prima persona.
Sarebbe stato semplice tracciare per intero la parabola di Califano: dall'ascesa iniziale che lo portò ad essere un personaggio che faceva sempre parlare di lui, nel bene e nel male, delle sue frequentazioni , del suo stile di vita sregolato e trasgressivo, passando per la caduta successiva ai guai giudiziari fino al tentativo di rinascita  degli ultimi anni; Calvagna opta solo per quest'ultimo segmento perchè è quello che ci regala l'immagine più vera del personaggio Califano, una immagine che da sola spiega le precedenti, ma soprattutto rende giustizia ad un artista che proprio in questa fase finale era diventato, per il mondo dello spettacolo ormai gestito dalla televisione, un qualcosa che somigliava più ad un fenomeno da baraccone che ad un grande cantautore.
Raccontarne i lati più intimi e più umani di un personaggio che col tempo inizia a guardarsi alle spalle forse per la paura di guardare avanti è il miglior modo per rimettere le cose a posto, per omaggiare senza false commozioni o, peggio, ipocrisia, un artista mai , probabilmente , compreso a fondo.

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