mercoledì 27 dicembre 2017

The Looming Storm / 暴雪将至 ( Dong Yue / 董越 , 2017 )




The Looming Storm (2017) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

L'opera prima del regista cinese indipendente Dong Yue, tanto apprezzata dalla critica quanto ignorata al box office in patria, va a rafforzare quel filone del noir alla cinese, cui molti registi giovani e indipendenti si sono affidati per raccontare le loro storie e che ha nel pluripremiato Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan il suo esempio più fulgido.
Il brevissimo prologo ci mostra il protagonista Yu Guowei uscito di prigione dopo 10 anni che si reca nell'ufficio competente per ottenere una nuova carta di identità.
Si passa quindi al 1997, anno storico nella recente storia cinese: Yu è il capo dei servizi di vigilanza di una grande acciaieria, lavoro che svolge con grande solerzia e dedizione tanto da portarlo al riconoscimento di lavoratore dell'anno.
Nelle vicinanze della fabbrica vengono ritrovati a distanza di poco tempo i corpi di alcune donne uccise e il poliziotto incaricato di svolgere le indagini si rivolge a Yu per sapere se all'interno della fabbrica vi fossero state assenze nei giorni degli omicidi.


Yu, la cui vera e unica aspirazione è sempre stata quella di potere fare il poliziotto, non solo si presta alla richiesta , ma inizia a svolgere le indagini per conto suo, divenendo sempre più ossessionato dalle gesta del serial killer.
Durante le indagini , che lo portano a convincersi che l'assassino adeschi le sue vittime nella sala da ballo comunale, Yu conosce Yanzi una giovane che si arrangia prostituendosi; tra i due, tipiche anime sole e in affanno nasce un rapporto di profonda amicizia; se Yu ha un sogno segreto da realizzare Yanzi sogna di andare ad Hong Kong e aprire un negozio da parrucchiera e l'uomo , con grande slancio di generosità intanto la toglie dai bassifondi e le compra un piccolo negozio nella parte centrale della cittadina del sud della Cina dove la storia è ambientata.
La trappola che Yu mette in piedi per catturare l'assassino lo porta a giungere ad un passo dalla cattura e fa crescere in lui l'ossessione fino al tragico finale che incarna in maniera esemplare uno dei canoni base del thriller: la verità può avere molte facce.
E' un lavoro più complesso di quanto possa apparire The Looming Storm, in cui l'aspetto noir è solo quello che giace più in superficie, coprendo metafore mediate quasi sempre dal contorno ambientale: sin dall'inizio ascoltiamo la radio lanciare avvisi sulla imminente tempesta in arrivo, la gran parte della storia è avvolta da pioggia battente e anche il finale, che fa riferimento ad una tempesta che lasciò una scia di morti e devastazioni nel 2008, dona una atmosfera da giudizio universale.

martedì 19 dicembre 2017

On Body and Soul [aka Corpo e anima] ( Ildikò Enyedi , 2017 )




On Body and Soul (2017) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Dopo un intervallo di ben 17 anni dal suo ultimo lavoro, lasso di tempo impegnato nella direzione di documentari e di una serie televisiva di un certo successo  ( Teràpia ), la regista ungherese Ildekò Enyedi torna alla regia cinematografica con un lavoro che a partire dalla ultima Berlinale dove ha letteralmente fatto il pieno di riconoscimenti tra cui l’Orso d’Oro per il miglior film, è risultato tra i più premiati dell’anno oltre che essere stato selezionato per rappresentare l’Ungheria nella corsa agli Oscar per il miglior film in lingua non inglese.
Corpo e Anima che, grazie all’attivissima e benemerita Movies Inspired, sarà presente sugli schermi italiani a partire dai primi giorni del nuovo anno, è uno di quei lavori che ha le stigmate del film che lascia il segno sia relativamente alle tematiche trattate sia per la sua forza narrativa sostenuta da una regia abbagliante.


Gran parte del racconto si svolge tra due estremi: un mattatoio industriale dove lavorano i due protagonisti, Endre, direttore amministrativo e Maria, giovane responsabile della qualità e un poetico e silenzioso bosco nel quale una coppia di cervi si muove con gesti lenti e naturali; due ambientazioni che sono la rappresentazione del mondo reale e di quello del sogno e della fantasia, animali macellati e sangue che scorre e candore immacolato delle nevi e sguardi dei due animali che si sfiorano; il mondo del corpo , verrebbe quasi da dire della carne, osservata in tutti i suoi aspetti, e il mondo dell’anima, etereo come i due splendidi esemplari di cervo.
Endre e Maria sono due schegge solitarie di una mondo terreno che li vede alla deriva: paralizzato ad un braccio lui che vive la su solitudine con apparente fierezza, metodica, grigia nella sua maniacalità autistica lei rimasta allo stato larvale di fanciulla che ancora si rivolge al suo psicologo infantile.

lunedì 18 dicembre 2017

Scarred Heart ( Radu Jude , 2016 )




Scarred Hearts (2016) on IMDb
Giudizio: 8/10

Nel 2015 il regista rumeno Radu Jude vinse a Berlino l'Orso d'Argento per la migliore regia con Aferim ! , lavoro a molti apparso come un omaggio al cinema western seppur in salsa balcanica; con Scarred Heart è Locarno nel 2016 a conferire un altro importante riconoscimento al quarantenne cineasta di Bucarest con il Premio della Giuria.
Se il precedente lavoro guardava al western, questo è senz'altro un omaggio al cinema muto, a quello a cavallo tra le due guerre, ad un epoca di fermenti che scuoteva tutta l'Europa.
Ispirandosi all'autobiografia del poeta rumeno Max Blecher, morto a soli 29 anni di tubercolosi ossea, Jude mette in scena il dramma di un giovane che sin dai vent'anni è affetto dalla localizzazione secondaria ossea di quella malattia che imperversò per molti anni in Europa e che colpì anche artisti e letterati; ma come dice il protagonista almeno loro avevano quella polmonare , malattia da poeta maledetto e che non devastava il fisico come le forme secondarie.


Ambientato quasi totalmente all'interno di un sanatorio sulle sponde del Mar Nero, Scarred Heart è non solo il racconto della personale malattia del giovane poeta, ma anche, direi soprattutto, attraverso esso, di una epoca movimentata dal fermento artistico, poetico e politico , che vedeva la nascita del germe del nazionalsocialismo diffondersi in tutto il continente e la propaganda anti-ebraica proliferare pericolosamente ( Blacher proveniva da famiglia ebraica).
Per raccontare il dramma personale alimentato dal senso di morte incombente che lentamente cala sul poeta e l'epoca storica, Jude sceglie anzitutto il formato da film muto, il 1.33:1 con tanto di angoli smussati, frappone frequentemente alle scene  brani scritti dell'opera da cui il film è tratto, e imposta tutta la pellicola con una cura per l'estetica quasi maniacale, non solo dal punto di vista dell'immagine pura, ma anche nell'ambientazione con il sanatorio che a volte sembra più uno di quegli hotel tipici da Bella Epoque dove letterari e artisti si radunavano per disquisire.

giovedì 14 dicembre 2017

Bright Nights [aka Helle Nachte] ( Thomas Arslan , 2017 )




Bright Nights (2017) on IMDb
Giudizio: 6/10

Un bellissimo quanto angosciante panorama estivo norvegese fa da sfondo a Bright Nights del regista tedesco Thomas Arslan, racconto che si muove con una certa fatica a dire il vero tra road movie e dramma personale.
Il protagonista, Michael è un ingegnere berlinese che si reca in Norvegia per il funerale del padre col quale non ha praticamente più rapporti da anni, la sorella, ancora carica di rancore verso il genitore, si rifiuta di accompagnarlo e la fidanzata proprio sul punto di partire gli comunica che andrà per un anno a Washington inviata dal giornale per cui lavora; ad accompagnarlo nel suo viaggio in Scandinavia c'è solo Luis il figlio adolescente avuto dal primo matrimonio che vive con la madre e che lui conosce pochissimo, il quale lo accompagna spinto solo dalla curiosità di vedere dove viveva il nonno.


Il viaggio nei perfetti canoni del road movie diventa una occasione per l'uomo per cercare di penetrare il muro di rancore che il ragazzo ha eretto verso di lui.
Per tutto il film il regista insegue il tentativo di armonizzare la natura che circonda i due viaggiatori col loro stato d'animo: strade dritte come fusi che attraversano foreste, paesaggi montani percorsi da strade che tortuosamente si arrampicano in mezzo la nebbia, la luce del sole che non tramonta quasi mai; un mezzo insomma per cercare di esprimere quanto i due non riescono a fare con le parole.
Per tale motivo la storia è ricca di silenzi, di sguardi, di battute secche, di gesti: la distanza tra padre e figlio è troppo ampia per essere colmata.
Bright Nights è soprattutto un lavoro sul rancore dei figli verso i padri che si perpetua tra le generazioni: Michael era lontanissimo dal padre fino alla morte , Luis è distante da lui nonostante i tentativi, spesso maldestri, messi in piedi per tentare di accorciare le distanze; la solitudine dei padri contrapposta al livore dei figli incapaci di perdonare le loro colpe.

A Taxi Driver ( Jang Hoon , 2017 )




A Taxi Driver (2017) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Kim Man-seob è un tranquillo tassista di Seoul che da bravo padre di famiglia vedovo ha come obiettivo primario quello di garantire una vita dignitosa alla figlia di 11 anni; premuroso verso il suo taxi di un bel colore verde tanto quanto lo è verso la figlia, Kim sa essere anche comprensivo con i clienti più in difficoltà , ma quando viene a sapere che c’è uno straniero che cerca un taxi per recarsi a Gwangju pagando una bella cifra, organizza un mezzo imbroglietto per anticipare i colleghi e accaparrarsi l’affare.
Quello che Kim non sa è che lo straniero è un reporter tedesco proveniente dal Giappone che vuole recarsi nella città del sud della Corea dove sono in atto dimostrazioni di protesta.


Siamo nel 1980, pochi mesi prima il presidente Park è morto in seguito ad un attentato e da allora grazie ad un golpe silenzioso il paese è in mano ai militari che hanno imposto il pugno duro sulla Corea con l’alibi di prevenire la minaccia comunista proveniente dal nord; Gwangju è diventata il caposaldo della protesta pilotata da docenti e studenti universitari che trova l’appoggio della popolazione in difesa della democrazia, per tale motivo il reporter tedesco vuole raggiungere la città e documentare la situazione aggirando la censura.
Kim, che come tutto il resto della popolazione media coreana al di fuori di Gwangju è totalmente all’oscuro dei fatti che si stanno svolgendo avendo passivamente abbracciato la teoria della minaccia comunista, si troverà quindi ad intraprendere un viaggio avventuroso tra i posti di blocco che chiudono l’accesso alla città.
Il qualunquismo apparente di Kim , mascherato da un disinteresse totale per i temi nazionali in favore del proprio tornaconto personale, inizia a vacillare nel momento in cui si troverà ad assistere ad una delle tragedie storiche più grandi della Corea; in pochi giorni di battaglie nelle strade resteranno uccisi un numero imprecisato di manifestanti ( le stime vanno dalle poche centinaia delle fonti ufficiali alle 2000 di quelli ufficiose) e Kim, prendendo coscienza del dramma che sta vivendo la nazione diventerà un piccolo grande protagonista di quei fatti tragici.

martedì 12 dicembre 2017

Godless ( Ralitza Petrova , 2016 )




Godless (2016) on IMDb
Giudizio: 7/10

Gana è una giovane donna che vive in una cittadina di una zona montuosa della Bulgaria, svolge il suo lavoro di infermiera che assiste anziani non autosufficienti, quasi tutti affetti da demenza; sin dall'inizio è chiaro il suo atteggiamento non certo entusiasta con cui svolge il lavoro, inoltre insieme al suo fidanzato fa parte di un ingranaggio malavitoso che , attraverso il furto delle carte di identità degli anziani che ha in cura, è dedito a truffe.
Inoltre la donna è anche dipendente dalla morfina che si procura illecitamente trafugandola sul lavoro.
La sua vita è piatta, incolore, in una città squallida, con una madre apatica ed un fidanzato col quale scambia solo poche parole: una esistenza insomma di quelle che hanno imboccato una china senza speranza.


Ma quando a causa dapprima  di un incidente di percorso con una delle vecchiette e poi della conoscenza di Yoan, un anziano che dirige un coro religioso, Gana si rende conto che la sua è una vita senza sbocchi, il desiderio di una redenzione si impadronisce di lei.
Il finale che si tinge di thriller ci darà una possibile risposta al desiderio della ragazza.
Primo lungometraggio della regista bulgara Ralitza Petrova dopo alcuni corti coi quali ha ottenuto un buon successo coronato da riconoscimenti festivalieri, Godless, a partire dal Festival di Locarno dove ha avuto la sua prima e dove ha fatto man bassa di premi, ha girato le rassegne di mezzo mondo raccogliendo ovunque premi e critiche positive.
In effetti il film della Petrova è lavoro che muovendosi tra ritratto sociale e dramma personale ha tutti i connotati per esser apprezzato nelle rassegne cinematografiche: attraverso la storia di Gana, la regista ci mostra la realtà tutt'altro che edificante della società bulgara.
Come la gran parte dei paesi usciti dall'orbita sovietica in cui la ritrovata democrazia è stata ( e per molti ancora è) più una iattura che una reale conquista, la realtà bulgara è descritta come un coacervo di drammatiche contraddizioni personali e sociali che influiscono sulla qualità della vita della popolazione.
Delinquenti senza scrupoli, poliziotti conniventi, corruzione dilagante, mancanza assoluta di etica che porta gli anziani ad essere considerati merce di scambio, degrado morale  e materiale onnipresente, una tetra violenza che non trova ostacoli al suo corso: questo è il ritratto della Bulgaria moderna , nel quale la figura di Gana si erge ad emblema di chi ha perso ogni certezza e che guarda ad un futuro privo di vie d'uscita sostenuto solo dall'istinto di sopravvivenza.

lunedì 11 dicembre 2017

Happy End ( Michael Haneke , 2017 )




Happy End (2017) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Esistono pochissimi registi nel panorama cinematografico mondiale che come Michael Haneke hanno fatto dei loro lavori una serie di capitoli di uno stesso programma ideologico-culturale: sin dal primo, sconvolgente Il Settimo Continente con il quale nel 1989 segnò la prima pagina della sua filmografia, il suo obiettivo è stato quello di presentare i lati più oscuri e abietti della società regolata da leggi ferree e conformiste; Happy End , pur apparendo a prima vista , un lavoro più “leggero”, è in effetti esattamente l’ultimo capitolo, per ora, di una lunga dissertazione lucida e spietata sui mali e , soprattutto, gli effetti della gabbia in cui vive la società.


Lo sguardo di Haneke si posa questa volta su una ricca famiglia dell’alta borghesia del nord della Francia proprietaria di una grande impresa di costruzioni: il patriarca ultraottantenne e un po’ rintronato Georges che guarda la sua famiglia con distaccato disprezzo, e che ricerca solo un modo per porre fine ai suoi giorni, Anne la figlia che tiene in mano le redini dell’azienda e fidanzata con un ricco uomo d’affari in un ménage che sembra prima di tutto di interessi, Pierre il riottoso figlio di lei, in perenne conflitto con la madre e ben poco incline a gestire gli affari di famiglia, Thomas, l’altro figlio di Georges, primario chirurgo con un matrimonio fallito alle spalle ed ora nuovamente sposato con un figlio neonato ed infine, associata dell’ultima ora alla famiglia Eve, la figlia tredicenne di Thomas avuta dal primo matrimonio.
La ragazzina ritorna dal padre, per il quale è quasi una estranea, perché la madre sta in ospedale avvelenata da una overdose di farmaci che lei stessa le ha propinato, dopo averci mostrato per il tramite del suo smartphone l’odio che provava per la madre.

venerdì 8 dicembre 2017

L'amant double ( Francois Ozon , 2017 )




Amant Double (2017) on IMDb
Giudizio: 6/10

Doverosa premessa: la recensione contiene accenni di spoiler, ma tenendo presente che l’aspetto thriller del film è di fatto trascurabile, quel minimo che può essere svelato non inficia di certo la visione della pellicola.
La nuova opera di Francois Ozon, regista che ormai ha abbandonato il ruolo di enfant prodige del nuovo cinema francese essendo approdato anche egli ai 50 anni, se da un lato ne conferma le doti da purissimo esteta dell’immagine e del linguaggio, dall’altro si presenta come un deciso passo indietro rispetto al precedente Frantz.
Da sempre quasi ossessionato dall’ambiguità in tutte le sue forme e da quella sorta di disagio che si crea quando il mondo reale si compenetra con la fantasia, Ozon con L’Amant double affronta l’emblema assoluto della duplicità e dell’ambiguità con il tema dei gemelli.


La protagonista della storia è Chloe una giovane donna dall’apparenza fragile che soffre di continui dolori al ventre; appurato che non c’è nessuna malattia organica che li causa la donna si rivolge ad uno psichiatra, Paul, che sin dall’inizio ascolta con grande interesse il racconto dei malesseri psicologici che la attanagliano e che sono alla base dei suoi disturbi; l’interesse è talmente tanto (lei che migliora, lui che si infatua) che i due tranciano il rapporto paziente-terapeuta, si ritrovano amanti e vanno a vivere assieme.
Chloe sembra guarita, i dolori la hanno abbandonata, ma ben presto scopre qualcosa di oscuro nella vita di Paul: la presenza di un fratello gemello, psicoterapeuta egli stesso, con cui lui non ha più rapporti al punto di essersi cambiato persino il cognome.

giovedì 7 dicembre 2017

Io, Daniel Blake ( Ken Loach , 2016 )




I, Daniel Blake (2016) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Con l'Orso d'Oro alla carriera ricevuto nel 2014 a Berlino , ultimo dei grandi festival a consegnargli un riconoscimento, sembrava proprio che la carriera di Ken Loach fosse giunta al termine avendo in più di una occasione espresso il regista la volontà di non dirigere più.
Due anni dopo non solo Loach si smentisce, ma Cannes lo onora con una seconda Palma d'Oro grazie a Io, Daniel Blake: da un certo punto di vista mai premio fu più giusto e coerente, perchè il regista inglese col suo ultimo lavoro è sembrato voler tornare alle basi originarie della sua opera cinematografica grazie ad una storia che ha il marchio d'origine ben impresso fin dall'inizio.
Daniel è un carpentiere sessantenne, reduce da un grave problema di cuore cui i medici non hanno concesso l'idoneità al lavoro; per tale motivo l'uomo che, orgogliosamente, ripete in svariate occasioni, ha compiuto con precisione e fedeltà i suoi doveri da cittadino decide di rivolgersi ai servizi sociali per avere un'indennizzo, scontrandosi con una burocrazia ottusa sostenuta da una spietato ridimensionamento del welfare che ha portato in breve il paese a vedere crescere il numero degli indigenti.


In questa sua titanica battaglia Daniel incontra una giovane donna, Katie, anch'essa rivoltasi ai servizi sociali, trasferitasi da poco a Newcastle da Londra con i suoi due ragazzini.
Tra i due nasce un forte legame di solidarietà con Daniel che esercita il suo ruolo paterno nel cercare di aiutare la donna e i suoi bambini.
Per entrambi sarà una lotta estenuante contro ottusità , assenza di solidarietà e individualismo  che contraddistinguono la scelta sociale compiuta dal Regno Unito negli ultimi anni.
Che Ken Loach sia tornato, dopo qualche impaccio e qualche divagazione poco convincente, all'essenza del suo cinema impegnato di denuncia sociale e politica, lo dimostrano la regia asciutta, priva di qualsiasi orpello, il suo sguardo carico di umanità sui personaggi, non solo i due protagonisti, ma anche gli altri comprimari , nei loro vari ruoli, della tragedia sociale raccontata, la profonda pietas umana , ben più pregnante del fervore politico, con cui indaga le conseguenze della situazione, i meccanismi  medianti i quali i losers affondano cercando di mantenere viva però la loro dignità.

sabato 2 dicembre 2017

Memoir of a Murderer ( Won Shin-yeon , 2017 )




Memoir of a Murderer (2017) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Byeong-soo è stato un serial killer, dall'adolescenza si è trasformato in un angelo vendicatore con l'intento di fare pulizia della feccia umana, iniziando dal violento padre che brutalizzava lui e la sorellina. Dopo avere per anni ucciso e sepolto in un poetico bosco di giganteschi bambù malfattori, violenti ,traditori e gentaglia della peggior specie , da 17 anni conduce una vita normale in compagnia della giovane figlia. Da qualche anno la demenza si è impadronita di lui creandogli pericolosi cortocircuiti cerebrali e su pressante consiglio della figlia Byeong-soo scrive tutto sul suo notebook per non dimenticare e tiene nota di ogni gesto su un voice recorder.
Alcune giovani donne scompaiono e lasciano temere la comparsa di un nuovo serial killer e il protagonista in un banale incidente d'auto si convince di essersi trovato faccia a faccia con un killer: affinità elettive e riconoscimento al primo sguardo.


Il problema di Byeong-soo è che, in ossequio alla malattia, vive momenti di totale assenza di memoria, quindi nel momento in cui l'amata figlia inizia una relazione con l'uomo che lui ritiene essere un killer, solo frammenti confusi di ricordi si affastellano nella sua mente almeno fino a quando i momenti di lucidità lo portano a dovere intraprendere ogni cosa pur di salvaguardare la figlia dal pericolo incombente.
Dopo aver visto al FEFF18 di Udine la bodyguard Sammo Hung affetta da demenza, ora è la volta di un serial killer sui generis: il racconto di Won Shin-yeon infatti è un po' un trattato di neuropsichiatria e un po' un thriller con qualche aspetto furbastro.
Cosa c'è di meglio infatti di un personaggio che con la sua malattia può giustificare (narrativamente) tutto e il contrario di tutto? Sì perchè durante la storia raccontata il dubbio che le cose non siano come le vediamo, ma siano semplicemente il frutto di una mente malata che ha perso ogni capacità mnemonica ad un certo punta affiora prepotentemente.

martedì 28 novembre 2017

Bluebeard ( Lee Soo-youn , 2017 )




Bluebeard (2017) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Ben quattordici anni sono passati dall'esordio alla regia di Lee Soo-youn con l'inquietante The Uninvited, e nonostante il lungo lasso di tempo trascorso lo smalto della regista coreana non si è minimamente offuscato: non è infatti difficile riconoscere la stessa mano in Bluebeard, thriller noir dai contorni sfumati che riesce a miscelare con cura anche le sfumature horror e lo psyco-thriller.
La storia gira intorno ad un medico che vive in una piccola città rurale ai margini della grande Seoul da dove si è trasferito a causa di un divorzio che ancora pesa sulle sue spalle e sulla sua tranquillità psichica; durante un esame endoscopico eseguito in una clinica, Seung-hoon, il protagonista, carpisce alcune frasi pronunciate nel dormiveglia dal vecchio nonno del macellaio che ha casa e bottega nel suo stesso palazzo; le parole dell'uomo sembrano riferirsi a tecniche di smembramento umano ma sul momento, considerato l'età e la situazione del vecchio, il medico gli dà poca importanza.


Il disgelo anticipato del fiume però porta alla luce pezzi di membra umane per cui Seung-hoon , quasi suo malgrado, si ritrova a rivalutare quei brandelli di parole carpite qualche giorno prima.
La famiglia dei macellai, in effetti, ha connotati inquietanti, così come la bottega nella quale operano; per Seung-hoon inizia una inesorabile azione di coinvolgimento, nella quale crudeltà umana e omicidio, follia e abissi della psiche diventano i connotati dominanti, in quello che sembrerà in seguito un classico caso da serial killer.
Costruito come una serie di scatole cinesi all'interno delle quali sembra giacere una verità, sospinto dal disturbo ossessivo e dalla follia crudele ,Bluebeard diventa lentamente e inesorabilmente un thriller feroce, dalle forti tinte psicologiche, nel quale la regista Lee Soo-youn fa un massiccio ricorso all'uso delle prospettive incrociate, punti di vista che sembrano finalmente quelli giusti salvo poi essere ribaltati senza appello.

lunedì 27 novembre 2017

Antiporno ( Sono Sion , 2016 )




Antiporno (2016) on IMDb
Giudizio: 8/10

Non poteva di certo mancare una figura come quella di Sono Sion nel revival del porno soft core messo in piedi dalla casa di produzione Nikkatsu per celebrare i 45 anni di attività e che negli anni 80-90 fu tra la più importanti nel genere pinku che divenne una sorta di ciambella di salvataggio per larga parte del mondo cinematografico giapponese in crisi.
Insieme a Sono sono stati chiamati a raccolta altri registi nipponici , tra cui anche il maestro del J-Horror Nakata Hideo , con l'incarico di rievocare il genere roman-porno, che pur nella sua ovvia anarchia aveva delle regole ben precise: una scena di sesso simulato ogni 10 minuti.
Quel cinema Sono lo conosce bene, ne ha calpestato i marciapiedi mefitici, è vissuto di pane e pinku, ne ha appreso i trucchi e le dure regole che poi lo hanno aiutato a diventare il regista che è ora: una fucina in grado di dirigere anche 5 o 6 film all'anno, proprio come la legge del porno imponeva.


Non stupisca quindi l'adesione di Sono alla richiesta, piuttosto lascia interdetti il titolo del film: Antiporno è infatti qualcosa che sembra stare dall'altra parte dell'orizzonte rispetto al porno, una sarcastica critica all'ambiente impregnato di un maschilismo becero e da regole spietate.
Come non bastasse Sono gira un lavoro di meno di 80 minuti in cui non c'è quasi traccia di personaggi maschili, incentrando il suo interesse intorno alla figura di Keiko, una giovane artista visiva a metà strada tra la cultura pop e l'avanguardia astratta che vive nel suo open space dove le tele e gli oggetti d'arte stanno di fronte ad un inquietante gabinetto dalle pareti rosso sangue.
Keiko è soggetto combattuto, quasi dilaniato, come molti di quelli usciti dall'estro del regista : una nullità o un'artista ? insoddisfatta o realizzata? ma soprattutto ripete come in loop : " Voglio essere una puttana" .  Il suo estro erotico si spinge ai confini del fetish e del sadomaso sfiorando il connubio Eros-Thanathos, inteso come la vera realizzazione della libertà.

sabato 25 novembre 2017

Contrattempo [aka Contratiempo aka The Invisible Guest] ( Oriol Paulo , 2016 )




The Invisible Guest (2016) on IMDb
Giudizio: 8/10

Con la sua opera seconda, a quattro anni di distanza dal suo promettentissimo esordio con El Cuerpo, Oriol Paulo conferma quanto di buono aveva messo in mostra: il regista catalano è senza dubbio uno dei pochi capace di rinverdire i fasti del thriller di stampo hitchcockiano, basato sull'incrocio di varie prospettive che generano verità mai assolute, pronte ad essere confutate da altre.
Il racconto parte con la morte di una giovane fotografa in una stanza di un albergo di montagna dove si trovava con un amico, un giovane rampante imprenditore , tra i più stimati della Spagna; siccome la donna viene trovata morta e l'uomo ferito in una stanza ermeticamente chiusa, i sospetti ricadono subito su quest'ultimo, Adrian, il quale da parte sua professa la sua innocenza riferendo di essere stato aggredito da uno sconosciuto all'interno della stanza.


L'antefatto però è la parte quasi finale del racconto, per cui, utilizzando la stessa tecnica del precedente lavoro di flashback ad incastro, scopriamo che i due, sposati entrambi, non erano semplici amici ma amanti e che una loro scappatella di qualche tempo prima si era conclusa con un episodio drammatico che li aveva portati ad allontanarsi.
Qualcuno però li pedina da vicino, instaurando un intricato gioco di gatto e topo e soprattutto, dopo che Adrian viene accusato per l'omicidio della sua amante Laura, l'avvocatessa cui l'uomo si rivolge ha solo due ore di tempo, prima che una fantomatica testimonianza in procura metta una pietra tombale sul caso.
Di fatto tutto il flashback scaturisce dal racconto che Adrian rende alla avvocatessa, mai troppo convinta delle varie versioni dell'uomo: una corsa contro il tempo per salvare se stesso e per convincere il legale della sua versione dei fatti.

giovedì 23 novembre 2017

Silent Mist / 沉雾 ( Zhang Miaoyan / 章淼焱 , 2017 )



Giudizio: 7.5/10

Se è vero che la cinematografia cinese, soprattutto negli ultimi due anni, ha privilegiato le grandi produzioni, i blockbuster, le coproduzioni faraoniche che hanno permesso al mercato cinese di raggiungere ormai i livelli di quello americano e indiano, è altrettanto vero che , seppur stritolati dai lavori mainstream e ad alto budget, i cineasti indipendenti hanno trovato comunque il modo di mantenere una qualità elevata delle proprie opere, anche grazie al decisivo apporto di produzioni europee (francesi in primis) o al patrocinio di Festival , quale quello di Busan , ad esempio, che offre un importante appoggio a questo Silent Mist, quarto lavoro di Zhang Miaoyan.
Presentato proprio al Festival che si svolge nella città coreana, il lavoro di Zhang è una affascinante e al contempo dura disamina della società cinese  contemporanea, uscita profondamente trasformata dal passaggio tra collettivismo e sfrenato individualismo.
Zhang decide di raccontare un brandello di storia della Cina rurale di provincia, attraverso un racconto che si tinge di thriller, all'interno del quale però sono insite tenacemente tematiche sociali e politiche.


Lo sguardo del cineasta cinese è alquanto originale grazie ad una serie di scelte tecniche e narrative molto personali che conferiscono all'opera una impronta senz'altro autoriale tutt'altro che fine a se stessa.
Già la lunga scena iniziale introduttiva è un piccolo saggio di cinema: dapprima un piano sequenza da una barca che percorre il fiume su cui si adagia la cittadina, poi un altro lunghissimo piano sequenza in cui la macchina da presa segue da presso dapprima un uomo con uno strano mantello, poi una giovane donna, quindi due studentesse  lungo i porticati che fiancheggiano il fiume tra banchi che espongono svariate specialità culinarie.
Una introduzione che anche grazie alla fioca luce che illumina la scena e alla leggera nebbia che sale dal fiume ci porta nel centro della storia, ispirata a fatti realmente accaduti e incentrata su una serie di aggressioni a sfondo sessuale subita da alcune giovani donne.
Nottetempo lo stupratore seriale compie il suo gesto esecrabile in una città che sembra avvolta da una nebbia che non è solo quella del fiume , ma soprattutto quella che circonda la popolazione che con la sua acida omertà e acrimonia offre riparo alle gesta dello stupratore.

mercoledì 22 novembre 2017

Men Don't Cry ( Alen Drljevic , 2017 )




Men Don't Cry (2017) on IMDb
Giudizio: 8/10

In un isolato albergo deserto da fuori stagione tra i monti della Serbia a vent’anni ormai dalla fine delle guerre balcaniche un gruppo di reduci appartenenti alla varie fazioni che si combatterono si ritrovano per un programma riabilitativo tenuto da una organizzazione umanitaria. 
Il tutor del gruppo è uno psicologo sloveno cui è affidato il compito di tentare di guarire le ferite interiori che gli uomini si portano dentro.
Il gruppo è eterogeneo non solo per provenienza etnica , ma anche per età e provenienza sociale: ci sono ex combattenti croati e serbi, musulmani bosniaci che hanno conosciuto la tortura, mutilati  e invalidi che portano sul corpo, oltre che dentro di sé, i disastri della guerra.
Attraverso esercizi ludici apparentemente infantili, sedute di autocoscienza e vere e proprie confessioni di episodi atroci che vengono riprodotte come in una tragica recita, lo psicologo inizia il suo faticosissimo lavoro, perché, dopo vent’anni le tensioni tra gli appartenenti alle varie fazioni sono lungi dall’essere sopite: cetnici, ustascia, muslim sono i termini dispregiativi con cui serbi, croati e bosniaci vengono appellati e nelle sale dell’albergo questi termini ancora vengono urlati con rabbia e violenza.


Momenti di rimembranze drammatiche e scatti di violenza si alternano nel difficile lavoro dello psicologo , e anche quando grazie all’alcool che il gruppo si procura la tensione sembra svanire , il gioco da ubriachi, come bambini irruenti si trasforma in una parodia della guerra in cui invece dei proiettili e delle bombe volano tovaglioli, cuscini e suppellettili vari lanciati tra insulti gridati con la voce impastata dall’alcool.
I racconti delle esperienze personali della guerra sono atroci e lungi dal portare a una riconciliazione spesso alimentano la rabbia e il rancore.

venerdì 17 novembre 2017

And Then There Was Light [aka Hikari] ( Omori Tatsushi , 2017 )



Giudizio: 7/10

Un lungo prologo apre il racconto di Hikari, ultimo lavoro di Omori Tatsushi, presentato alla Festa del Cinema di Roma: in una piccola isola dell'arcipelago giapponese vivono quelli che sono i tre giovani protagonisti del film, Noboyuki, il più giovane Tasuku che tartassato da un padre violento vede nel primo una sorta di modello e di ancora di salvezza e Mika una giovane piuttosto spigliata di cui Noboyuki è innamorato.
Un ambiente naturale che sembra permeare di una strana e a tratti conturbante spiritualità l'isola ,viene spazzato via una notte dalla violenza di uno tsunami che i tre, salvandosi , vedono arrivare dalla cima di una collina dell'isola.
Venticinque anni dopo i tre hanno intrapreso vie diverse: Noboyuki è sposato , ha un buon lavoro, una donna ( che lo tradisce) e una figlia; Mika è diventata una attrice e Tasuku vive invece nell'indigenza lavorando saltuariamente. Le loro vie si sono insomma separate da un pezzo almeno fino a quando Tasuku, rintraccia i due ricattandoli affinchè lui mantenga sepolto un segreto che li riguarda.


Questo riemergere del passato lontano ha su tutti e tre i personaggi un effetto devastante: il passato, attraverso il legame in alcuni aspetti persino ossessivo, un episodio violento del quali i tre sono stati protagonisti o spettatori diventa un abbraccio mortale di interdipendenza nel quale dovranno muoversi.
Se la Festa del Cinema di Roma non è drammaticamente naufragata sotto il peso di film piatti, convenzionali e moralmente perbenisti e consolatori, il merito va di certo ai due esponenti della cinematografia giapponese ( gli unici provenienti dall'Estremo Oriente) che se non altro hanno buttato sullo schermo della rassegna storie tutt'altro che buoniste, giocando entrambi ( l'altro ricordiamo è il bellissimo Birds Without Names di Shiraishi Kazuya ) su tematiche abbastanza simili: la forza del passato che tende sempre a tornare , i legami interpersonali, la drammatica interdipendenza che questi creano quando si instaurano su persone fragili.

The Villainess ( Jeong Byeong-gil , 2017 )




The Villainess (2017) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Accolto a Cannes, dove è stato proiettato in anteprima fuori concorso, con gran favore dal pubblico, The Villainess è il prototipo del film coreano di grande impatto, di sicuro successo commerciale che attira anche i gusti del pubblico occidentale perchè riesce a rinvigorire ulteriormente il filone dell'action movie che da qualche anno vede la Corea come probabilmente il paese leader del genere.
Il racconto parte indietro negli anni e si focalizza su Sook-hee una giovane sino-coreana che rimasta ben presto orfana viene presa sotto la sua protezione da un malavitoso che la addestra a diventare una killer spietata. 
Quando al termine di una convulsa e spettacolare scena iniziale, nella quale ci sembra di essere nel pieno di un videogame sparatutto, la ragazza viene catturata dalla polizia, una agenzia segreta governativa si occuperà di costruire per lei una nuova identità, non senza averla prima  ulteriormente addestrata in maniera intensiva per renderla una killer infallibile.


Terminato il periodo di addestramento durato anni, nei quali la donna dà anche alla luce una figlia (della quale diciamolo subito non si capisce con assoluta certezza la paternità, al di là delle versioni ufficiali) Sook-hee viene reinserita nella società come una cellula dormiente, pronta all'azione nel momento del bisogno. Alle sue calcagne, come ogni killer professionista che si conviene, viene posizionato un giovane agente  che deve tenerla d'occhio, ma come spesso succede in questi casi, i due si ritrovano attratti, complicando le cose.
Quando dal passato della donna riemergono come fantasmi personaggi ormai dimenticati e sepolti, Sook-hee si troverà schiacciata inevitabilmente tra il suo ruolo di killer , la vendetta, la speranza di un futuro che scacci via ogni ombra  e un passato che si rivelerà diverso da come lei lo credeva.
Per poter valutare correttamente The Villainess bisogna assolutamente scindere quelli che sono i due filoni dei quali si compone: da una parte il thriller, intriso di vendetta e di violenza e dall'altro l'action movie che in diversi frangenti diventa preponderante nella pellicola.

giovedì 16 novembre 2017

Le donne e il desiderio [aka United States of Love] ( Tomasz Wasilewski , 2016 )




United States of Love (2016) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

La Polonia dei primi anni 90, il primo paese oltre cortina a godere dei frutti della esperienza di Solidarnosc prima e della caduta del Muro di Berlino poi, è lo sfondo non soltanto iconografico del lavoro del giovane regista Tomasz Wasilewsky, premiato a Berlino nel 2016 con l'Orso d'argento per la migliore sceneggiatura.
La contestualizzazione del periodo storico ha grande importanza nel film, sebbene esso, di fatto, sia un racconto multisfaccettato con al centro quattro donne che in misura differente si incrociano tra loro nonostante il legame narrativo non esista.
Le quattro donne sono Agata, che stanca di una vita di coppia grigia si infatua di un giovane prete della parrocchia vicina, scatenando in lei un turbamento erotico potente, Iza una direttrice di una scuola , donna autoritaria e nevrotica, che intrattiene una relazione clandestina con un medico la cui moglie è appena morta e la cui figlia frequenta la scuola dove lavora la donna, Renata una insegnante che lavora nella medesima scuola di Iza, ormai vicina alla pensione e che subisce il fascino della giovane vicina di casa Merzena, sorella di Iza ex reginetta di bellezza in cerca di rilancio.


Appare chiaro dalla breve sinossi come stavolta il titolo italiano sia ben più significativo e aderente rispetto a quello internazionale: Le donne e il desiderio è infatti anzitutto un dramma delle pulsioni che animano le protagoniste della storia, ma attraverso esso Wasilewsky, che ha spesso ripetuto che il film ha una tocco autobiografico se non altro nell'ispirazione dei personaggi, vuole ripercorrere quel periodo storico fondamentale nella storia della Polonia.
Se da un lato la libertà acquisita permetteva di indossare gli agognati jeans americani, fumare le sigarette occidentali, ascoltare la musica alla moda, seguire le mode dell'occidente, dall'altro i polacchi vivevano un momento di grandi incertezze sul futuro, liberi sì dal giogo ma ora, soli davanti alla società.

lunedì 13 novembre 2017

The Body [aka El Cuerpo] ( Oriol Paulo , 2012 )




The Body (2012) on IMDb
Giudizio: 8/10

Il corpo cui si riferisce il titolo, autentico protagonista almeno della prima metà del film, è quello di Mayka, affascinante, se pur non più giovanissima, e importante imprenditrice del settore chimico farmaceutico che di ritorno da un viaggio di affari in America muore improvvisamente in casa sua di infarto.
Dopo poche ore essere stato trasportato nel centro di medicina forense per essere sottoposto ad autopsia, il cadavere sparisce: il fatto viene scoperto perchè il guardiano dell'obitorio in fuga in preda al terrore viene investito da un auto sulla strada attigua al bosco in cui si trova l'edificio.
A condurre le indagini è incaricato Jaime, ispettore di polizia di provata esperienza seppur dalla personalità alquanto disturbata in seguito al trauma della moglie morte in un incidente stradale avvenuto dieci anni prima mentre i due con la figlioletta di 7 anni tornavano a casa di notte.
All'obitorio, che diventerà il proscenio di quasi tutto il racconto, viene convocato Alex ,il giovane marito della vittima il quale sin da subito attrae i sospetti della polizia, anche grazie al suo comportamento tutt'altro che coerente.


Dietro la morte della donna , lentamente ma inesorabilmente , prendono forme una serie di situazioni che fanno di Alex il principale sospettato.
Ma quando piccoli episodi, trappole sparse qui e lì e messaggi oscuri sembrano ventilare l'ipotesi che Mayka in effetti possa essere ancora viva, Alex si rende conto che l'unica sua possibilità di salvezza è quella di dimostrare che la donna è ancora viva e che anzi è lei ad avere orchestrato la messinscena.
Costruendo un racconto intriso di tensione crescente, utilizzando non solo gli spazi claustrofobici e  tutt'altro che rassicuranti dell'obitorio, ma anche un pregevole gioco di luci fioche e tremule e ombre e di suoni, Oriol Paulo, alla sua opera prima, costruisce un thriller dal sapore antico ad impronta hitchcockiana, nel quale i tasselli sparsi (occhio ad ogni minimo particolare, anche il più insignificante) sembrano schegge impazzite che solo nel finale, grazie anche al classico colpo di scena, finiranno magicamente al loro posto.

martedì 7 novembre 2017

Borg McEnroe ( Janus Metz , 2017 )




Borg vs McEnroe (2017) on IMDb
Giudizio: 6/10

La rivalità tra Bjorn Borg e John McEnroe, pur non raggiungendo i livelli leggendari di altri dualismi sportivi, è comunque rimasta nell'immaginario collettivo degli appassionati di sport pur essendo ormai trascorsi quasi quaranta anni; in effetti la contrapposizione tra due tra i più grandi personaggi dello sport di tutti i tempi è durata di fatto solo tre anni duranti i quali i due incrociarono le racchette per 14 volte, in un tennis, va ricordato, che non aveva i ritmi di ora e la messe di tornei cui assistiamo ai giorni nostri.
La vera essenza del mito che permea questa rivalità non sta quindi tanto nella sua durata nel tempo, bensì nella contrapposizione tra due campioni che erano sul campo uno l'esatto contrario dell'altro: in sostanza era l'eterna lotta tra Genio e Spaventosa Metodicità; lo sregolato insolente e a tratti odioso maleducato John contro il perfetto, immutabile macchina da vittorie, emblema della freddezza Bjorn.


Il regista danese Janus Metz, qui alla sua opera prima dopo una onesta carriera di documentarista, regista di serie tv e di corti, pone al centro del suo racconto le due figure leggendarie del tennis in un momento ben preciso: il torneo di Wimbledon del 1980 che scrisse nella storia il nome di Borg , primo, ed unico per vari decenni, vincitore del torneo per cinque volte consecutive.
Partendo dai giorni in cui si svolse quel torneo che è rimasto nella memoria di tutti e che culminò nella finale tra i due , un match che andava oltre la semplice rivalità sportiva ammantandosi quasi di trascendentale, il regista ci racconta le personalità dei due atleti , grazie a rapidi e ben incastonati flashback, sin dall'infanzia per proseguire con i primi passi nel mondo del tennis.

Birds Without Names ( Shiraishi Kazuya , 2017 )




Birds Without Names (2017) on IMDb
Giudizio: 8/10

Towako è una giovane donna che condivide il suo appartamento con Jinji, uomo di 15 anni più grande di lei.
Un rapporto ambiguo in cui l’uomo sembra avere il compito di proteggere in maniera ossessiva la donna; non sono una vera coppia, anzi lei detesta l’uomo che in effetti brilla per rozzezza e goffaggine; ma soprattutto Towako, che sembra un po’ il prototipo della donna scontrosamente instabile, nevrotica, sempre sull’orlo di una crisi isterica, vive ancora dei ricordi della sua storia d’amore con Kurosaki, terminata ormai otto anni prima.
Quando incontra Mizushima, un uomo sposato che le ricorda nei modi e per il fascino il suo amore mai dimenticato, Towako instaura con lui una relazione che ben presto però si rivelerà destinata al fallimento; quando poi la donna si accorge che Jinji la pedina e la tiene sotto controllo, qualcosa si mette in moto nella sua mente, soprattutto nel momento in cui viene a sapere che il suo ex fidanzato Kurosaki è scomparso da cinque anni senza lasciare traccia.


Attraverso efficaci e taglienti flashback Shiraishi ci mostra il passato sentimentale di Towako, che a ben guardare poi così roseo non è rivelando come la ragazza si trovi invischiata in un rapporto sbilanciato e di dipendenza; così come nello stesso modo sempre attraverso balzi narrativi nel passato scopriamo come Jinji si sia insinuato nella sua vita.
Riuscitissimo lavoro del regista giapponese Kazuya Shiraishi, Birds Without Names è film che mette sotto la sua lente di ingrandimento alcune tematiche che permeano la società giapponese e di conseguenza la cinematografia di quel paese: la solitudine e la paura che essa genera, la complessità dei rapporti interpersonali improntati alla dipendenza reciproca, l’amore malato nella sue forme patologiche totalizzanti.
La storia che da racconto drammatico scivola lentamente nel thriller rifulge per una regia elegante ma contenuta e sostanziale, per alcuni momenti di grande impatto cinematografico, per le tematiche tutt’altro che rassicuranti che i personaggi, tutti più o meno dei perdenti cronici, rappresentano e che creano un certo disagio e caricano il film di una cupezza dolorosa.

domenica 5 novembre 2017

Life & Nothing More [aka La vida y nada mas] ( Antonio Mendez Esparza , 2017 )




Life & Nothing More (2017) on IMDb
Giudizio: 6/10

Il regista spagnolo Antonio Mendez Esparza, da alcuni anni trasferitosi in Florida dopo avere anche studiato negli States, dirige La Vida y Nada Mas presentato alla Festa del Cinema di Roma , dopo avere ottenuto premi e riconoscimenti al Festival di San Sebastian.
La storia si coagula intorno ad una famiglia afroamericana della Florida e attraverso essa diventa il racconto di tutta una comunità, appunto quella dei neri d’America.
Il protagonista è il giovane William un quattordicenne che vive con la madre e la piccolissima sorella, il padre è in galera e di fatto non ha rapporti con la famiglia, sebbene il giovane soffra per la mancanza di una figura paterna.


La madre lavora in un fast food e lui la aiuta nell’accudire la sorella, alternando queste attività a quelle pericolose che la strada offre.
Quando un uomo si intrufola nella vita della famiglia stringendo una relazione con la madre, William reagisce nell’unica maniera possibile, iniziando un percorso duro per uscire dalla situazione in cui si trova.
Film tra i più verbosi che si ricordino, La Vida y Nada Mas è girato in maniera realista , come un film a basso budget che si rispetti ( gli attori sono praticamente tutti non professionisti), ma al di là dei consueti luoghi comuni sulle comunità nere, l’esplorazione di un mondo che avverte il pericoloso ritorno delle tensioni razziali ( non a caso il film è ambientato nei giorni delle ultime elezioni presidenziali) si infrange sul limite di una sceneggiatura troppo ricca di dialoghi fin troppo articolati soprattutto se riferiti al particolare contesto sociale e personale; pur considerando la ovvia differenza dei temi trattati in certi momenti sembra di essere di fronte al Woody Allen più logorroico e tutto ciò appesantisce il racconto.

sabato 4 novembre 2017

Logan Lucky ( Steven Soderbergh , 2017 )




Logan Lucky (2017) on IMDb
Giudizio: 4.5/10

La sfiga che permea la famiglia Logan è diventata una leggenda metropolitana in tutto lo stato della Virginia: uno dei fratelli, ex promessa del football, è zoppo, senza lavoro, divorziato e senza neppure i soldi per pagarsi le spese di un cellulare, l'altro fratello è monco di mezzo braccio, perso in guerra in Iraq, la sorella fa la sciampista e più che fugaci flirt con camionisti non riesce ad ottenere.
Ma all'insegna di " Fuck the world ! " ,che è il vero motore del film, i tre pensano bene di mettere insieme una masnada di disperati , anche peggio di loro, per dare una svolta alla loro vita: la rapina al caveau dell'autodromo di Charlotte proprio nel giorno in cui si disputa una delle gare automobilistiche più importanti del paese.
Ai Logan si aggregano altri tre fratelli, uno in galera, esperto di esplosivi, e altri due sciroccati, con i quali pianificano la rapina perfetta.


Chi si aspetta un qualcosa anche lontanamente assimilabile alla saga di Ocean's rimarrà profondamente deluso, semmai Logan Lucky è un maldestro , dozzinale , e non certo voluto, remake a stelle e strisce de I Soliti Ignoti.
Il punto di partenza è un manipolo di sfigati e perdenti che decidono di ribaltare il loro destino col colpo del secolo, sempre all'insegna del Fuck the World: l'importante è fregare il sistema; lo sviluppo non sta in piedi quasi mai visto che sono numerosi gli snodi narrativi assolutamente inverosimili; quello che emerge dal film è una trafila di situazioni ridanciane , nel senso più deteriore del termine, che spesso travalicano nel grottesco, una sceneggiatura che procede a tentoni , un umorismo da televisione di bassa lega e per concludere un finale , sempre all'insegna dell'ottimismo ovviamente, che sembra uscito da una soap opera pomeridiana.

A Prayer Before Dawn ( Jean-Stephane Sauvaire , 2017 )




A Prayer Before Dawn (2017) on IMDb
Giudizio: 6/10

Il secondo lungometraggio di Jean-Stephane Sauvaire che fa seguito alla sua opera prima Johnny Mad Dog che nove anni orsono ricevette un riconoscimento al Festival di Cannes, trae ispirazione dalla autobiografia di Billy Moore, un inglese che visse per 15 anni nelle prigioni thailandesi  dove fu imprigionato per possesso e consumo di droga.
Il giovane protagonista vive a Bangkok tra un incontro di boxe e l’uso di eroina finché non viene arrestato e condotto nel più famigerato carcere della capitale thailandese, dove l’inferno sembra essere sceso sulla terra senza possibilità di evitarlo; combattuto tra la dipendenza e la volontà di uscire dal tunnel Billy trova nella boxe thai una ancora di salvezza che gli permette se non altro di vivere in maniera appena più decente la sua detenzione.


L’incontro con un ladyboy e l’orrore del carcere lo spingono a cercare nella boxe, che appare la sua unica ragione di vita, un modo per tentare un riscatto soprattutto con se stesso.
Il racconto che costruisce il regista francese si basa tutto sulla prospettiva del giovane: le violenze, i soprusi aberranti, le regole non scritte del carcere che sembra una terra di nessuno gli impongono di contenere e controllare la sua rabbia violenta che cova dentro, portandolo a girare lo sguardo quando serve e a difendersi quando non ne può fare a meno.
Il ritratto che Sauvaire fa del carcere è violento , durissimo sebbene si compiaccia un po’ su tutta una serie di luoghi comuni che accompagnano qualsiasi discorso che riguardi il paese dell’estremo oriente: soprattutto all’inizio si mescola la droga e la boxe, i ladyboys e la violenza , la protervia dei poliziotti e le condizioni dei carcerati; insomma, in questa carrellata manca solo la presenza di qualche fantasma.

giovedì 2 novembre 2017

Hostages ( Rezo Gigineishvili , 2017 )




Hostages (2017) on IMDb
Giudizio: 6/10

Ispirato ad un fatto di cronaca realmente avvenuto in Georgia nel 1983 , all’epoca ancora sotto il dominio sovietico, Hostages del regista Rezo Gigineishvili è lavoro che oscilla in maniera continua tra il racconto di cronaca e lo studio sociiologico e politico di una epoca che presentava i primi fermenti che avrebbero portato qualche anno dopo al dissolvimento dell’Unione Sovietica.
I protagonisti dei fatti narrati sono alcuni giovani appartenenti a famiglie dell’elite georgiana: medici, attori artisti, insomma quello che avrebbe dovuto essere il futuro della repubblica  ex sovietica. Comprano sigarette americane di contrabbando, si procurano al mercato nero dischi dei Beatles, sognano una vita lontano dall’opprimente società sovietica nel tanto agognato Occidente nonostante i richiami austeri dei genitori. “Non capisco cosa vi manca” è la frase che più spesso sentiamo proferire nel film: ai giovani manca la libertà e la possibilità di determinare le sorti della propria vita.


Per tale motivo subito il matrimonio dell’attore del gruppo, simulando un viaggio di nozze allargato e goliardico ,pianificano una fuga in Turchia e quindi in Occidente; per fare ciò decidono di dirottare un aereo della compagnia di bandiera sovietica.
Il fallimento del piano si trasformerà in un episodio  sanguinoso che causerà diverse vittime , anche tra i passeggeri dell’aereo, e metterà fine alle speranze dei giovani; "avevate tutto, perchè commettere un atto simile" , " mi dispiace che non ce la avete fatta, perchè dopo due messi sareste tornati in patria con la coda tra le gambe" sono le frasi che ricorrono nel rapido processo che metterà a morte alcuni dei protagonisti del dirottamento; la condanna della società georgiana è piena, anche perchè quei giovani costituivano il futuro dell'intellighenzia del paese; per le famiglie oltre al dramma , reso ancora più acuto dall'impossibilità di poter recuperare i corpi dei condannati sepolti in fretta in una località imprecisata, anche il fallimento personale per non aver mantenuto i figli nella bambagia dello status sociale e del modello comunista.

mercoledì 1 novembre 2017

Blue My Mind ( Lisa Bruhlmann , 2017 )




Blue My Mind (2017) on IMDb
Giudizio: 7/10

Scritto e diretto dalla attrice svizzera Lisa Bruhlmann alle prese con la sua opera prima, Blue My Mind giunge alla Festa del Cinema di Roma dopo l'anteprima al Festival di San Sebastian e dopo aver ricevuto  un paio di importanti riconoscimenti al Festival di Zurigo: attraverso il racconto della giovane protagonista Mia il film è una attenta indagine su un disagio adolescenziale che nel suo percorso assume connotati quasi soprannaturali.
La ragazza va a vivere alla periferia di Zurigo con la sua famiglia, il suo inserimento e adattamento alla nuova realtà è tutt’altro che semplice anche perché i genitori da buoni svizzeri pensano al lavoro e ai loro impegni; a scuola  , dopo un iniziale avversione reciproca Mia stringe amicizia con le ragazze più spigliate , interessate solo a divertirsi.


L’integrazione però per Mia non può che passare attraverso delle tappe che prevedono situazioni per lei estranee: il sesso sfrenato, i furti nei centri commerciali, gli atteggiamenti da lolita.
Lungi dall'essere rassicurata  la ragazzina continua a credere di non essere la figlia naturale dei genitori, persevera nei suoi atteggiamenti di chiusura, qualcosa che viene dal profondo della sua anima alimenta il suo profondo disagio.
Parallelamente al processo di crescita tumultuosa, qualcosa si sveglia dal più profondo del suo essere, come una mutazione genetica che fa di lei un essere in via di trasformazione che si ripercuote sul suo corpo giovane ma già in apparente stato di decadimento.
La mutazione corporea cui va incontro Mia è la metafora della sua fuga dal mondo “normale”, da quel mondo in cui ormai lei è un piccolo segmento e dal quale è impossibile uscire.
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