domenica 12 marzo 2017

The Age of Shadows ( Kim Ji-woon , 2016 )




The Age of Shadows (2016) on IMDb
Giudizio: 7/10

A tre anni di distanza dall'esperienza americana di The Last Stand , Kim ji-woon torna a girare in patria portandosi dietro però in dote una robusta partecipazione hollywoodiana attraverso  la Warner Bros che ha prodotto il suo nuovo lavoro, testimonianza di un apprezzamento del mercato americano per il regista coreano, il quale da parte sua ce la mette tutta per confezionare una pellicola che rispecchia in pieno il gusto hollywoodiano: The Age of Shadows è infatti un classico blockbuster di qualità, dove ogni cosa sembra essere perfettamente al suo posto per dimostrare che l'industria coreana ha ormai raggiunto livelli qualitativi tecnici  molto vicini a quelli corrispettivi americani.
Per la prima volta inoltre il regista coreano si confronta col film storico, ambientando il suo lavoro nel periodo della occupazione giapponese della Corea, andando a infoltire la schiera di cineasti coreani che in questi ultimi mesi hanno fatto altrettanto, riportando a galla un periodo storico che per i coreani rappresenta anzitutto un marchio di vergogna nazionale.


Siamo infatti negli anni 20, il Giappone ha fatto della Corea un suo protettorato, quasi una provincia, dando seguito al suo imperialismo aggressivo coltivato fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
I ribelli coreani sono organizzati in piccoli gruppi ed uno di questi ha in cantiere il progetto di compiere un attentato contro il governatore giapponese.
La polizia coreana al soldo dei giapponesi è sulle tracce dei ribelli grazie anche ad una fitta rete di spie e all'appoggio dell'intelligence nipponica; tra i poliziotti c'è il capitano Lee, che i giapponesi cercano di utilizzare per le sue conoscenze del mondo dei ribelli.
The Age of Shadow è il racconto di una spietata lotta di spie, di doppiogiochisti e di patrioti e della  efferatezza giapponese, attraverso i due personaggi del capitano Lee e del capo dei rivoluzionari Kim e del suo gruppo.
L'inizio del film ci regala una dei momenti migliori nei quali la maestria di Kim Ji-woon trova una multidimensionale applicazione per poi procedere per la prima metà come il più classico dei film di spionaggio: appostamenti, pedinamenti, messaggi cifrati, riunioni segrete costruiscono il substrato di un racconto di stampo antico che ha nel genere della classica spy story il suo riferimento principale.
A metà circa del film , una lunga straordinaria scena che si svolge su un treno, porta all'esplosione che fa virare il film nell'action movie e nel quale inizia a prendere il sopravvento il ruolo dei personaggi.

Il capitano Lee, sempre in bilico tra il ruolo di spia e di doppiogiochista diventa il centro del racconto, con il suo animo patriotico che viene continuamente pungolato e anche in questa seconda parte però Kim, rimanendo fedele ai canoni strutturali della sua opera non manca mai di fare riferimento a modelli , direi quasi a situazioni, propri del cinema occidentale.
Vero che nel volgere al termine il film sembra caricarsi un minimo di connotati più squisitamente coreani, ma nell'insieme The Age of Shadow scorre con il solo scopo di mantenere le premesse iniziali, il che non significa che il film di Kim non abbia valore, anzi, tutt'altro, ma la mancanza di una certa identità, di certe situazioni un po' sporche e cattive, tipiche del cinema coreano in generale e del regista stesso in particolare si notano, soprattutto per chi Kim Ji-woon lo conosce un minimo.
Il film senza dubbio è lavoro di grande presa e fascino, elegantissimo nella sua forma grazie anche alla ricostruzione d'epoca accuratissima in ogni dettaglio, mantiene le promesse di pellicola di intrattenimento spettacolare, ma al tempo stesso si nota una certa accondiscendenza forzata ai canoni cari ad Hollywood.
Di certo se Kim voleva dimostrare il livello di qualità raggiunto dal cinema coreano nei blockbuster c'è riuscito benissimo, confermando lo stato di avanzamento tecnico che ha raggiunto l'industria del suo paese; manca però quel graffio tipico del regista capace sempre, alle prese con qualsiasi genere, di lasciare un segno indelebile.
La livrea da kolossal è sostenuta anche da un cast di primissimo ordine in cui Song Kang-ho dà l'ennesima prova rimarchevole, affiancato da Gong Yoo e da Han Ji-min altrettanto bravi; e poi visto che di kolossal si tratta, la ciliegina sulla torta è la comparsata di un fin troppo carismatico Lee Byung-hun nei panni del capo supremo dei ribelli.

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