venerdì 28 agosto 2009

Premonition ( Norio Tsuruta , 2004 )


Giudizio: 4/10
Horror, questo sconosciuto

Uno dei pregi indiscutibili di questo film è dimostrare come sia possibile, partendo da un idea buona e da 10 minuti iniziali validi, riuscire a rovinare tutto confezionando una pellicola che non solo ha poco o nulla dell'horror, ma risulta pure insulsa.
Un allegra famigliola in gita vede la sua esistenza distrutta dalla morte della bambina di cui il padre pochi attimi primi aveva avuto notizia da un foglio di giornale liso e ingiallito. trovato in una cabina telefonica. La tragedia che si abbatte sui genitori è immane a cambia la loro vita per sempre, soprattutto perchè lui, continua a ricevere questi svolazzanti e consunti fogli di giornale come fossero necrologi anticipati.
L'idea inizale potrebbe essere buona , seppur non originalissima, se sviluppata nella giusta maniera ma Tsuruta sembra che ce la metta tutta per sfruttarla al peggio: si va avanti così senza un attimo di tensione, neppure minimamente accennata; ti aspetti da un momento all'altro che il film esploda con qualche colpo di scena o con qualche elemento che crei suspance, ed invece ti ritrovi stancamente alla fine del film senza quasi accorgertene, se non per un finale un po' miseramente consolatorio che tenta di dare un senso a tutta la storia. Il corso degli eventi è già segnato, cambiarlo non è giusto ed avere la possibilità di poterne quanto meno decidere il succedersi anche: questo il messaggio un po' stucchevole , il postulato di questo film che se non altro dimostra come anche in Giappone si riesca a fare un horror (o presunto tale) di scarsissima qualità.

giovedì 27 agosto 2009

Non è un paese per vecchi ( Joel e Ethan Coen , 2007 )


Giudizio: 9/10
Film totale

Tornano alla ribalta alla grandissima i fratelli Coen dopo qualche mezza battuta a vuoto e lo fanno collezionando (giustamente) candidature all'Oscar e soprattutto sbattendoci in faccia, beffardi e dissacranti come spesso avviene , la loro idea del mondo e dell'umanità che lo popola. Tornano alla base madre ambientando il film nelle desertiche e aride distese al confine tra Texas e Messico dove un povero Cristo ha la sventura di trovarsi a passare sul luogo dove poco prima si è svolta una carneficina in perfetto stile : tutti morti, un carico di droga e una valigia con qualche milione di dollari dentro. Come non farsi ingolosire dal bottino? Appena se ne appropria il film esplode con la violenza che solo un Javier Bardem tanto stellare quanto ridicolo nella sua pettinatura e nel suo essere killer possono fare.Non ci sono più regole, quelle dei vecchi come lo sceriffo Tommy Lee Jones , ormai vicino alla pensione, sono sovvertite,annientate in un turbinio di follia e distruzione.
Assistiamo quindi al consueto quanto geniale ciclone coeniano, fatto di assassini senza pietà alcuna, di personaggi che non sembrano mai capire quanto sia profondo il baratro interiore, di momenti di puro studio filosofico ( vedi il dialogo tra Bardem con la moneta in mano e il povero gestore del negozio) , di ironia pungente mai fine a se stessa, di estremismo visivo che risulta impossibile da raccontare; un concentrato di antologia filmica come solo un film che è western ,noir, thriller, commedia e on the road può offrire.
Il gioco tragico e comico della vita prosegue sugli stessi binari da anni per i due registi , l'ironia e la farsa con le quali lo condiscono servono ad esorcizzare una realtà che loro per primi vedono ormai troppo nera e senza via d'uscita; il loro disincanto ormai è pari solo alla loro scarsa fiducia in un cambiamento in positivo, ma nonostante questo riescono a cogliere, malgrado tutto, qualche bagliore che da ancora tenui speranze.
Questo è un grande film, tra i migliori dei Coen, partiti da un piccolo grande capolavoro come Blood Simple e ancora qui a farci godere della loro genialità.

mercoledì 26 agosto 2009

Il matrimonio di Lorna ( Jean-Pierre e Luc Dardenne , 2008 )


Giudizio: 8.5/10
Il "solito" gioiello

Lorna è una giovane albanese trapiantata in Belgio, dove ha sposato un tossicodipendente , grazie alla mediazione di una banda di criminali, per ottenere la cittadinanza.Naturalmente la loro convivenza è assolutamente fittizia, essendo lei legata ad un suo connazionale e lui troppo impegnato nel procurarsi droga e a distruggersi. Nel frattempo la stessa banda procura per Lorna un altro marito, facoltoso e probabilmente malavitoso russo, che ha fretta a stipulare l'accordo; non rimane altro che sbarazzarsi del marito , fingendo una overdose. Troppo facile, anche perchè nel frattempo la brava fanciulla, mossa a pietà per il suo marito relitto umano, tramuta una unione fittizia in un vero rapporto di amicizia e affetto.
Ovviamente nulla ferma i criminali e la ribellione di Lorna, con conseguente fuga, sarà inevitabile.
Anche stavolta i fratelli belghi colgono nel segno con una storia che si pone perfettamente in scia ai precedenti lavori : sanno raccontare come pochissimi il mondo degli sconfitti e degli umiliati, con lucidità e tenerezza , raggiungendo vette di poeticità rare a scorgersi altrove. Lorna appare subito come un essere nudo e inevitabilmente indifeso, stritolata dalla povertà e dalla miseria del mondo circostante; ma la sua anima rimane candida, capace di slanci d'amore e di onestà proprio dove tutto ciò non esiste.
Fuggirà, in un finale bello come pochi, portando dentro sè la forza dirompente della vita e , come sempre ci insegnano i Dardenne, la speranza di una via d'uscita.
Meno ossessivamente incalzante rispetto al precedente "Rosetta" , di cui Lorna appare come la degna evoluzione nel cammino dell'esistenza, la telecamera stavolta non sta sulla spalla del protagonista, non lo opprime, la costruzione del film è più consona agli schemi ordinari, senza per questo rinnegare lo stile che ha consacrato gli autori.
Riusciremo stavolta a non udire la cosmica baggianata che "i Dardenne fanno film sempre uguali" ? Probailmente no, qualche cantore dell'americanizzazione e dello spettacolo fine a se stesso sicuramente insorgerà; viceversa, per chi ama i film dei fratelli Dardenne, probabilmente, sarà veramente il "solito" splendido film ricco di poesia.

Battle Royale ( Kinji Fukasaku , 2000 )


Giudizio: 7/10
Battaglia mortale

I cattivi ragazzi crescono, imperversano , minano la società nipponica, si impone quindi una drastica contromisura: il Battle Royale Act prevede che ogni anno un gruppo di ragazzotti e fanciulle in fiore vengano selezionati e inviati in una località segreta dove parteciperanno alla Battle Royale, spietato gioco in cui vincerà che eliminerà fisicamente tutti gli altri partecipanti nel giro di tre giorni, utilizzando solo quello che gli viene dato in dotazione e senza neppure uno straccio di regole, il tutto sotto la spietata e stretta direzione dell'esercito capitanato da un Takeshi Kitano in gran forma.
Un soggetto siffatto, al limite dell'assurdità, da il via ad un film per certi aspetti sconvolgente che ha scatenato in patria una polemica furiosa fino ai più alti livelli istituzionali; è chiaro nell'intento del regista il disegno di porre sotto accusa tutta la struttura sociale nipponica alle prese con problemi generazionali gravi: lo spietato senso della competizione , il distacco tra le nuove generazioni (libere dall'incubo post atomico) e le vecchie , il perenne e mai risolto rapporto con la morte, ancor di più lacerante nei giovani.
C'è da dire che Kinji Fukasako mescola un po' le carte spettacolarizzando forse troppo il film e tralasciando a volte le angosce e i traumi adolescenziali che affliggono i giovani partecipanti al gioco mortale, i profili psicologici dei protagonisti rimangono troppo spesso solo accennati, ma nel complesso il forte senso di denuncia sociale traspare chiaramente e con forza, così come l'immancabile riflessione sulla morte, sul suicidio, l'onore e l'amicizia.
I duelli, siano essi a colpi di coltello o di pistola, non nascondono nulla, e mostrano una violenza in certi casi talmente feroce da sembrare fin troppo vera; il ritmo del film è costantemente incalzante fino al finale che ha ben poco di rassicurante, lasciando oltretutto aperta la porta ad un sequel che puntualmente è arrivato.
Pur non essendo film da custodire nell'antologia di tutti i tempi, ha il grande pregio di avere comunque sconfitto una bieca censura che in Giappone ha cercato di mettere il bavaglio a questa opera.

martedì 25 agosto 2009

L'innocenza del peccato ( Claude Chabrol , 2007 )


Giudizio: 7.5/10
Benpensanti e vizi privati

Ultima fatica , la quarantottesima, di Claude Chabrol che continua , come un baldanzoso giovinotto, a sfornare film, quasi sempre di altissima qualità. Con "L'innocenza del peccato" , fin troppo libera e ignobile traduzione di La fille coupée en deux (La ragazza tagliata in due) continua nella sua incessante e sarcastica denuncia della borghesia di provincia francese, squarciando il velo sulle miserie, le ambizioni, le frustrazioni e i vizi; sembra divertirsi sempre di più in questa opera dissacrante il grande Maestro, ci si muove a suo agio, proprio come un pesce nella sua acqua ed è questa forse la chiave di lettura più valida di questo film: il disincanto , la pungente ironia , quasi il dileggio con cui annichilisce i benpensanti e i miseri personaggi, privi di moralità avvinghiati ai loro schemi sociali, protetti nella loro meschinità dal conformismo.
Anche la bella e giovane Gabrielle, giornalista televisiva agli esordi , emblema della freschezza e della ingenuità, cadrà nella rete, contesa tra un maturo scrittore alla page propenso ai vizi (segreti) e un giovane sfaccendato rampollo di una ricca famiglia di provincia, fino a quando lo strano e ambiguo certame non sfocia in cronaca nera.
L'arguto e spietato occhio di Chabrol descrive tutto con gelida asetticità, senza un minimo accenno di empatia, intento solo a raccontare la deriva e il degrado morale dell'ambiente che fa da sfondo alla storia. Forse manca un po' di incisività nella descrizione psicologica dei protagonisti (su tutti una bellissima e seducente Ludivine Sagnier), più interessato al contesto generale , e , forse, lascia un po' troppo amaro in bocca con quel finale che spiega alla perfezione il titolo originale del film.
Inutile affermare che dal punto di vista formale-estetico il film brilla di luce intensissima e probabilmente si eleva, complessivamente, di una spanna al di sopra de "La Commedia del potere" , opera precedente, anche se le vette raggiunte dallo Chabrol noir sono ancora lì, inavvicinabili, in attesa di essere arrichite da altri capolavori che questo grande Maestro sarà senz'altro in grado di donarci finchè avrà questa vitalità sorprendente.

Breaking News ( Johnnie To , 2004 )


Giudizio: 8/10
Il dominio della TV

Scena iniziale da autentica antologia, come spesso accade con Johnnie To (vedi il successivo Exiled): sparatoria furibonda in strada tra un gruppo di delinquenti e le forze dell'ordine appostate descritta con la solita, superba tecnica dal regista che incendia subito il film. Purtroppo per tutti la scena viene ripresa dalla onnipresente TV col risultato di mostrare l'incapacità della polizia e gettare la popolazione nella paura e nella sfiducia.
I vertici della polizia, su ispirazione dell'ufficiale Kelly Chen, unico neo del film , poco adatta al suo ruolo,decide di rispondere con un poco evangelico "occhio per occhio" mettendo in scena un grande show mediatico che mosterà a tutti come la Polizia stanerà i malviventi (usando anche mezzucci e disinformazione, presto sgamati).
L'idea del film è indubbiamente geniale: mostrare come la forza dei media sia capace di condizionare la realtà e il corso degli eventi.
La resa dei conti si avrà all'interno di un grande condominio dove i banditi si sono asserragliati e che le autorità scelgono come teatro del grande show.
Johnnie To muove i personaggi all'interno di questo scenario, mostrando, come sempre grande attenzione agli stati d'animo ,descrivendo con grande incisività una sempre sorprendente Hong Kong, alternando momenti di action movie in grande stile ad attimi in cui la descrizone dei personaggi prende il sopravvento: sparatorie alternate a pranzi tra banditi e ostaggi, attimi di tensione a simpatici e divertenti momenti di vita quasi quotidiana; porta lentamente ma inesorabilmente all'apice della tensione , nell'attesa dell'evento che concluderà gli eventi; momento che naturalmente arriva , in un finale forse meno convulso del solito, ma intriso della solita spettacolarità drammatica.
Tutto può essere trasformato in show, basta pensarlo e attuarlo con i modi che la TV consente e impone, bugie e menzogne comprese; questo il messaggio, carico di pungente sarcasmo ,del regista contenuto nel film, che non raggiunge forse l'apice artistico di altre opere di To, ma che sicuramente si propone come film valido e godibile, ben interpretato dal solito stuolo di fedeli attori.

lunedì 24 agosto 2009

[REC] ( Jaume Balaguerò , Paco Plaza , 2007 )


Giudizio: 7/10
Horror in salsa iberica

Pellicola pluripremiata (a ragione) in varie rassegne anche non di settore, questo REC del giovane binomio iberico Balaguerò-Plaza, riporta in auge il film dell'orrore "in diretta" stile strega di Blair: l'impianto è molto simile , seppur sostenuto questo da uno straccio di trama, il risultato anche, visto che i 75 minuti del film sono pervasi di horror e di suspance che coinvolge lo spettatore. Indubbiamente la coppia di registi strizza l'occhio pesantemente a Romero e al genere morti viventi, ma lo fa con originalità e con grande effetto, che in definitiva è quello che ci si aspetta da un horror-thriller.
Una troupe televisiva decide di girare un reportage su una squadra di pompieri impegnati nel turno di notte; nell'attesa degli eventi vediamo la giornalista e il suo fidato cameramen gironzolare per la caserma in attesa di poter vedere all'opera gli uomini, il tutto girato in soggettiva con telecamara a spalla; quando finalmente la richiesta di soccorso arriva, nessuno immagina che sta per iniziare un incubo senza fine.
La Tv sarà il mezzo con cui l'orrore verrà sbattutto in faccia agli spettatori prima e divorerà la troupe poi. Gli accenni al sempre più destruente ruolo della TV sono fin troppo chiari, soprattutto quando usata per rappresentare la realtà.
Fra immagini raccolte in corsa, respiri ansimanti, una buona dose di sangue, qualche urlo di troppo e immagini notturne, si giunge alla resa dei conti nel palazzo in cui la troupe e gli inquilini sono prigionieri: e la fine sarà drammatica, con la telecamera a riprendere tutto, ovviamente.

domenica 23 agosto 2009

Il Divo ( Paolo Sorrentino , 2008 )


Giudizio: 8.5/10
Il Divo messo a nudo

Film politico e di denuncia , dice qualcuno, collocando l'opera di Sorrentino in una gabbia troppo stretta. Non è così: pur omaggiando i maestri di tal genere , il regista va oltre: descrive con una graffiante ironia al limite del sarcasmo tutta una stagione politica che si concretizza in maniera indissolubile con la figura di Giulio Andreotti; ne tratteggia con linee precise e taglienti le miserie e le grandezze , i vizi e le virtù , scava nel personaggio del Divo fino a mostrarcelo nella sua nudità morale, ne esplicita i suoi capisaldi politici non risparmiando accuse neppure tanto sommesse.
Ma soprattutto va ancora oltre: è l'essenza del potere e del rapporto che l'uomo ha con esso che viene sviscerata; Giulio Andreotti, la quintessenza macchiavellica del potere è uomo più votato alla sofferenza, alla cristiana sopportazione e alla solitudine che allo sfrenato edonismo in cui sguazzano invece i suoi più o meno fidati collaboratori, disegnati come una masnada volgare di avidi di potere e bella vita mentre il loro mentore rimugina, si lascia quasi schiacciare dall'immensa forza e dal carisma che la sua figura sprigiona. Sorrentino sembra quasi voler smentire il famoso aforisma a tutti noto del Divo :"Il potere logora chi non ce lo ha"; la sua figura , cui da il volto un incommensurabile Toni Servillo, ci appare ancora più ingobbita sotto le responsabilità di partito assunte nell'affaire Moro, sotto i colpi della Giustizia che lo vorrebbe colpevole di tutte le malefatte italiche; ma forse , intuiamo, è questo che rende vivo e tenace l'uomo.
Lo studio posicologico del personaggio è molto ben condotto, Servillo ci mette molto del suo soprattutto nei momenti in cui il Divo si conforta e si confronta con la moglie, attimi privati carpiti con l'unico essere umano che lo abbia mai pienamente capito e affiancato fino alla fine; in tal senso la scena della coppia che ascolta Renato Zero in TV cantare "I migliori anni della nostra vita", mano nella mano , è uno dei momenti più belli che il Cinema ci ha donato negli ultimi anni.
Il taglio che Sorrentino da al film lo rende godibile, coi ritmi giusti e soprattutto evita di farlo cadere pericolosamente nel film cronachistico e nella denuncia delle (presunte) malefatte del protagonista: in ciò mostra grandissima maturità e capacita narrativa.
Per fortuna ancora c'è qualcuno a dar fiato ad un cinema incredibilmente asfittico come quello italiano: opere come questa ci lasciano ancora un minimo di speranza.

venerdì 21 agosto 2009

L'estate di Kikujiro ( Takeshi Kitano , 1999 )


Giudizio: 7.5/10
Kitano on the road


Sorprendente opera di Takeshi Kitano , due anni dopo lo splendido e pluripremiato Hana-Bi: qui si cambia completamente registro con una storia che spiazza notevolmente gli estimatori del regista. Kitano sa anche costruire film teneri, delicati a tratti commoventi , pur mantenendo l'impianto filmico che lo contraddistingue e le tematiche a lui così care.
Niente violenza cruda, niente spari, niente yakuza , ma il film sa essere bello e tragico anche senza questi aspetti che sono il marchio di fabbrica del cineasta; incombe piuttosto un forte senso di solitutidine, anche questo marchio di fabbrica, che unisce i due personaggi principali con una linea trasversale che supera il gap generazionale.
Kikujiro è uno strano personaggio che, intuiamo, ha un passato di yakuza ed un presente fatto di nulla o quasi, a metà tra lo sbandato e il misantropo, cui viene affidato il compito di accompagnare il fanciullo Masao a conoscere la madre che lo ha abbandonato. Si intuisce subito che l'impresa sarà ardua: come consegnare una valigia di denaro ad un ladro per farla recapitare al destinatario. In questo il tema è piuttosto scontato, ma col procedere della narrazione vediamo kikujiro mostrare il suo volto umano, fatto di giocosità e tenerezza che non può che catturare il fanciullo, all'inizio molto diffidente , e tutti noi che assistiamo agli eventi.
Man mano che il film procede si assiste alla costruzione di un "on the road" che diventa iniziazione alla vita per il ragazzino, un film sulla strada, stavolta senza le immancabili pistole e con solo qualche fugace apparizione di brutti ceffi; si squarcia il velo sull'animo di Kikujiro che si avvale sì della sua rudezza ma solo per coinvolgere, quasi come un teatrante di strada, svariati curiosi personaggi con il solo scopo di addolcire la delusione ed il dramma del bambino una volta scoperto che la mamma ormai ha un'altra vita e un'altra famiglia. Si alternano momenti in cui l'ironia grottesca di Kitano domina sovrana ad altri che hanno il sapore del sogno con la scena sull'immancabile spiaggia sconfinata e deserta che sprizza puro lirismo.
Alla fine quello che trionfa è il tenero disincanto del bambino e dell'adulto , il gioco per l'uno e la catarsi esistenziale per l'altro, dipinti con la solita, preziosa,variopinta e stilisticamente perfetta arte del Maestro.

mercoledì 19 agosto 2009

Boiling Point - I nuovi gangster ( Takeshi Kitano , 1990 )


Giudizio: 8/10
Il vangelo dell'arte di Kitano


Seconda opera di Kitano regista, in realtà la prima interamente sua, da rivedere assolutamente alla luce dei lavori successivi che ne hanno , giustamente, decretato la grandezza assoluta.
Sì, perchè seppure meno bello, nel suo insieme, di Violent Cop (film d'esordio alla regia avvenuto quasi per caso), Boiling Point può, nella sua disarmante complessità, essere considerato il brodo primordiale da cui nasce la poetica del regista che vedremo poi splendidamente sviluppata nelle opere seguenti.
In questo c'è già tutto: l'asettico distacco del poeta, l'alternarsi tragico di comicità goffa e scoppi di violenza pura e tagliente, le carrellate di perdenti, il malavitoso calato col suo abbrutimento nella realtà della vita, il dissacrare sacrilego e irriverente, i proiettili che si infilano nelle carni, silenziosi e con l'immancabile schizzo di sangue , lo stralunato occhio osservatore di chi pensa agli yakuza come a dei moderni samurai, le spiagge di Okinawa e gli antieroi erranti.
Visto a suo tempo il film fu deludente dopo la buona prova spuria di Violent Cop, ma riletto anni dopo si erge come il testo sacro , il vangelo dell'arte di Kitano anche nel suo aspetto formale e stilistico con la grande prevalenza delle riprese frontali, i grandi spazi che sembrano però, chissà perchè, angusti e i colori sempre in sintonia con gli eventi.
Non resta altro che rivederlo, vivisezionarlo, gustarlo e capiremo come il grande talento e l'arte di questo genio della celluloide fosse già tutto lì, sin dal lontano 1990, a partire dagli occhi del giovanotto,nel buio , seduto sulla tazza del gabinetto che aprono il film.

martedì 11 agosto 2009

Hero ( Zhang Yimou , 2002 )


Giudizio: 8.5/10
Capolavoro Kolossal


Non poteva riuscire meglio l'omaggio di Zhang Yimou all'arte wuxia: un kolossal in tutti i sensi , bellissimo, colorato, danzato, commovente. Ambientato nella Cina preimperiale del III secolo AC, narra la storia di uno spadaccino prodigioso e invincibile (un ritrovato Jet Li, finalmente) che sgomina , a suo dire, tutti i più pericolosi potenziali sicari del futuro Imperatore ed unificatore della Cina ( il re Qin), ma quest'ultimo ricevendolo in udienza sa che le cose sono andate diversamente (come non pensare a Rashomon....).
E' la storia agli albori della Cina moderna ed i suoi eroi ciò che canta il regista, quasi a cercare una identità difficile da trovare per un paese così grande e sterminato; ed è la storia del coraggio, della fedeltà e dell'onore di quegli eroi che fecero dell'arte wuxia uno stile di vita.
I combattimenti a colpi di spada sono stupefacenti, autentiche danze intrise di colori e simboli cari alla cultura orientale, disegnati nella loro plasticità con una capacità tecnica che lascia allibiti. Tutto è danza e movimento, tutto è colore che avvolge e stimola i sensi.
Ma sarebbe sbagliato considerare bello il film solo per la sua enorme qualità stilistica e formale; dalla storia degli eroi spadaccini emerge un grande messaggio morale: la lotta alla tirannia, la ricerca dell'unità e della prosperità del paese, l'onore da salvare sempre, il rispetto doloroso delle leggi, la verità assoluta che non esiste, l'amore che unisce anche nel dolore.
Zhang si avvale , come ogni kolossal che si rispetti, del meglio che la cinematografia di Cina ed Hong Kong offrono: dalla fotografia del grande Cristopher Doyle al già citato Jet Li ,da Maggie Cheung a Tony Leung, dal coreografo Ching Siu-tung al bravissimo Chen Dao-ming nel ruolo del Re Qin, a dimostare una volta tanto che anche con budget sterminati si può fare grande cinema d'autore.

La commedia del potere ( Claude Chabrol , 2006 )


Giudizio: 7/10
Storie italiane in Francia


Film abbastanza atipico questo di Chabrol:niente trame delittuose, niente storie torbide, niente detectivi e sospettati, semplicemente una banale, seppur clamorosa , storia di corruzione, sperpero di soldi pubblici e intrecci fraudolenti tra politica ed affari, sulla quale l'occhio sempre vispo del regista cala lo sguardo con il consueto interesse antropologico per i protagonisti delle vicende.
Una superba Isabel Huppert interpreta un magistrato impegnato nel fare luce su un caso di corruzione e sperpero di denaro pubblico che la porta inevitabilmente a impaludarsi nei tenaci rapporti tra potere politico ed economico; è animata da spirito missionario e giustizialista che riempe totalmente la sua vita fino a portarla inevitabilmente alla crisi coniugale.
A Chabrol interessa poco l'aspetto civile e morale della questione; preferisce al solito, scrutare con sguardo distaccato , ironico e disincantato l'incedere dei protagonisti, il loro modo di affrontare gli eventi, le loro passioni e miserie; non è cinema di denuncia è cinema delle relazioni umane, della loro complessità , della debolezza dello spirito. Lungi da lui fare il moralista o il cercatore di verità nascoste: il suo sguardo furbo osserva e annota, sempre con grande classe , ironia e amarezza come lascia intravvedere il finale. Per noi italiani sembra una storia ovvia, vista tante volte, di cui ci par di conoscere già la fine, sarà semplicemente la nostra assuefazione ad eventi simili? Oppure è la bravura e la saggezza del Vecchio Maestro che anche di fronte ad eventi così eclatanti che dovrebbero indignarci riesce a farci distogliere lo sguardo e a farci guardare oltre?

300 ( Zack Snyder , 2006 )


Giudizio: 6.5/10
Eroi e videoclip

Ispirandosi alla famosa Battaglia delle Termopili e al fumetto di Frank Miller, ecco la trasposizione cinematografica di uno degli eventi più conosciuti e affascinanti della storia: Leonida a capo di un manipolo di 300 Spartani che tiene testa al poderoso esercito persiano dando così tempo alle città greche di federarsi, affrontare e sconfiggere l'invasore.
Siamo lontani però anni luce da Alexander di Stone o dal mediocre Troy , altri film che narrano eventi storici famosissimi; qui Snyder crea un infinito videoclip avvalendosi di mirabili tecnologiche e tenta di rimanere fedele allo stile fumettistico che vanta già diverse prove nel recente passato cinematografico. Il ritmo è perennemente incalzante, poche pause, musica non certo di stampo ellenistico, scene truculente mostrate senza pudore, teste che volano e arti che si staccano dal corpo, rarissimi sono i momenti sussurati del film e ,ahimè, anche qualche americanata , seppure in dose non letale.
Indubbiamente il film coinvolge contrapponendo il bene al male, i buoni ai cattivi, la luce alle tenebre, l'onore e il coraggio al tradimento e alla codardia, obbliga inevitabilmente lo spettatore a schierarsi e a tifare in un senso o nell'altro; il tutto immerso in un contesto volutamente eccessivo, estremo, in certi frangenti quasi parossistico: la descrizione grottesca di Serse e del suo potentissimo esercito, priva naturalmente di ogni veridicità storica, serve solo allo scopo di rendere il più lontani possibili i due mondi in lotta; qualche burlone ha voluto vedere in tutto ciò una metafora dell'odierna crisi politica mondiale con Bush reincarnazione imperialistica di Serse; sconsiglierei tale lettura se non si vuol fare un grosso torto al Re Persiano, seppur mostrato come un incrocio tra un trans e un metallaro demodè.
Il film vale la visione senz'altro: la sua originalità tecnica è sicuramente l'aspetto che maggiormente colpisce e tutto sommato il più valido, in attesa di poter assistere un giorno ad una trasposizione cinematografica simile della Battaglia di Canne.

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