Giudizio: 8/10
86 anni e non sentirli, potrebbe essere il commento fin troppo stringato in vero de L'ufficiale e la spia, ultimo lavoro di Roman Polanski che è ben lungi dal mostrare qualche seppur minimo cenno di cedimento cinematografico.
Ispirato alla celeberrima storia, ma effettivamente mai troppo ben raccontata e indagata, del capitano dell'esercito francese Richard Dreyfus che nel 1895 fu condannato al carcere a vita con l'accusa di alto tradimento per aver passato informazioni ai tedeschi, l'opera di Polanski riesce nel tutt'altro che semplice risultato di saper raccontare con rigore storico e formale impeccabile un dramma personale in un'epoca storica particolarmente turbolenta senza mai cadere nella fredda biografia o nella sterile cronaca d'epoca.
Il film si apre con una delle scene indubbiamente più riuscite: la pubblica degradazione subita da Dreyfus nel cortile dell'Ecole Militaire nella quale Polanski riesce a coniugare la drammaticità personale del momento con quello che era il clima che a simile decisione aveva chiaramente contribuito.
Spedito Dreyfus su uno scoglio di fronte alla Guyana francese dove neppure le guardie incaricate di sorvegliarlo gli rivolgevano la parola, a capo del controspionaggio che aveva imbastito le accuse contro il capitano viene messo il colonnello Picquart aveva avuto il presunto traditore come brillante allievo all'accademia militare; nel proseguire le indagini su altre spie annidate nell'esercito, questi si rende conto che qualche dettaglio appare a dir poco strano, e anzi quando i dettagli iniziano ad essere macroscopicamente sospetti di una frettolosa e superficiale accusa contro Dreyfus, fino a portarlo alla convinzione che le accuse sono non solo infondate ma addirittura preconfezionate con lo scopo di utilizzare l'ebreo Dreyfus come capro espiatorio di una situazione politica difficile e dare al popolo una vittima sacrificale da sbranare ( emblematica in tal senso la frase detta da uno degli ufficiali che assistono all'inizio del film alla gogna pubblica di Dreyfuss "I romani davano in pasto alle belve i cristiani, noi diamo in pasto gli ebrei al popolo").
Compreso una volta per tutte che tutto l'affaire è di fatto una vergognosa montatura orchestrata ai massimi livelli politico-militari, Picquart in nome del senso di giustizia decide di far esplodere il caso con l'appoggio di una certa parte dell'intellighenzia culturale del paese, compreso Emile Zola che scrisse su un quotidiano la celeberrima lettera indirizzata al Presidente della Repubblica dal titolo J'accuse nella quale esprime il suo sdegno contro la macchinazione.