giovedì 13 maggio 2021

Dissolve [aka Din] ( Kim Kiduk , 2019 )

 




Dissolve (2019) on IMDb
Giudizio: 6/10

Parlare dell'ultimo lavoro di Kim Kiduk, tragico epilogo della sua straordinaria parabola di vita e cinematografica, non è facile: la sua morta avvenuta in Lettonia a causa del Covid-19 appare come il suggello ad una esistenza tribolata che ha visto il suo atto finale quasi da esule, nel suo eterno tentativo di inseguire qualcuno che potesse finanziare le sue opere come avveniva ormai da qualche anno, con in più il peso addosso dell'ignominia derivata dalle accuse derivate dal MeToo che lo avrebbero visto protagonista.
A ben guardare l'ultimo capitolo della sua vita e l'ultimo ( ma forse non sarà esattamente così, come vedremo) foglio della sua attività cinematografica qualcosa in comune ce lo hanno e cioè la necessità primordiale di fare cinema, di raccontare per immagini il mondo che lo circondava , il bisogno di tornare ad affrontare gli aspetti di una umanità nella quale l'amore e la violenza, il dualismo innato che risiede in ogni essere vivente e la ribellione sono solo alcuni degli aspetti.



Kim muore in Lettonia dove era approdato per stabilirsi e continuare nella sua vita di narratore cinematografico tra i più spigolosi e scomodi che negli ultimi tempi però aveva subito una sterzata in negativo sia dal punto di vista dell'ispirazione che da quello personale, dopo essere transitato per il Kazakistan all'inizio di una peregrinazione che nasce da una sorta di autoesilio volontario dove comunque lascia il suo testamento cinematografico con Dissolve, ultima opera prodotta che se da un lato conferma la scarsa vena del Kim degli ultimi anni , dall'altro acquista , alla luce del triste epilogo della sua esistenza, una importanza diversa, proprio perchè è quasi l'impronta che il regista ha voluto lasciare per riportare in auge il suo pensiero cinematografico.
Dissolve è infatti una pellicola nella quale Kim cerca di riportare a galla alcune delle tematiche che hanno fatto delle sue opere iniziali degli autentici gioielli: la storia , semplice come plot, ma alquanto complessa se vogliamo leggerne tutte le sfumature che contiene, vede protagoniste due giovani donne che hanno in comune una straordinaria somiglianza fisica ma  sono però all'opposto nel loro modi di affrontare la vita: una vive in un famiglia tradizionalista dove ogni suo movimento è controllato da un fratello tirannico e una madre arpia , con il solo padre che cerca di difenderla dalle prepotenze che subisce, l'altra invece è una donna opportunista, che si fa mantenere da un riccone e che vive la sua vita in assoluta libertà di costumi; una volta incrociate le loro strade le due donne si cambieranno spesso i ruoli; la timorata Din sostituirà l'altra nei suoi incontri con l'amante in attesa che arrivi lei per l'atto sessuale, viceversa la esuberante Din sconvolgerà le regole di famiglia  mostrandosi non più remissiva ma ben intenzionata ad acquisire la sua libertà.

mercoledì 12 maggio 2021

Volevo nascondermi ( Giorgio Diritti , 2020 )

 




Hidden Away (2020) on IMDb
Giudizio: 8/10

Fresco vincitore del David di Donatello ( miglior film , miglior regia, miglior attore protagonista ) che seppur inseguendo la politica dello spalmamento dei premi abituale se non altro premia il film nettamente migliore dei selezionati, il lavoro biografico di Giorgio Diritti riceve un seppur parziale compenso alla catastrofe della pandemia che ne ha impedito il sicuro successo anche di botteghino.
Seguendo il suo abituale percorso cinematografico ormai ben tracciato da anni, il regista bolognese disegna un solido e sentito ritratto del grande pittore Antonio Ligabue, senza cadere nel biopic vero e proprio, privilegiando invece alcuni aspetti della sofferta vita personale e artistica del pittore.
Diritti infatti tralascia tutta la prima parte della vita di Ligabue, incentrandosi principalmente sull'epoca del suo ritorno in Italia e del suo stabilirsi nella Bassa Padana da dove ebbe inizio la sua parabola stupefacente di artista.



Non che il regista dimentichi o tralascia l'infanzia o la giovinezza del pittore, tutt'altro, solo che pereferisce usare una prospettiva molto secca fatta di rapidissimi flashback sul passato di Ligabue  che lasciano però un segno indelebile nel racconto e  ben dimostrano il background di malattia e di disagio sociale in cui il giovane crebbe, privato di una famiglia , affidato a nuclei famigliari svizzeri che mal sopportavano il suo essere strambo e problematico; è proprio in quei frammenti di cinema rapido, sincopato che Diritti mostra tutto il suo sguardo umano e sensibile che si estende, tradizionalmente ormai, alla vita contadina che costituisce il contesto in cui Ligabue visse per tanti anni sulle rive del Po.
Dal momento in cui il pittore torna in Italia, espulso dalla Svizzera, dopo essere stato rifiutato anche dai manicomi , il racconto si concentra principalmente sul tribolato e a tratti drammatico rapporto del pittore con l'arte, che si esplica in uno sguardo ricco di forza bruta ancestrale con la quale rappresenta la realtà fatta di animali e di una natura colorata di fronte alla quale il pittore si pone come un elemento egli stesso, sulla violenza con cui Ligabue reagisce ai giudizi sul suo operato come se il giudizio artistico , o peggio il dileggio che subì soprattutto all'inizio, fossero degli elementi che andavano a strappare la sua stessa essenza.

martedì 11 maggio 2021

Take Me Somewhere Nice ( Ena Sendijarevic , 2019 )

 




Take Me Somewhere Nice (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Alma ha 16 anni, è nata in Olanda ma la sua famiglia è di origini bosniache ed ha abbandonato il paese a seguito della guerra; per l'estate che si avvicina Alma ha deciso di recarsi proprio nella sua terra d'origine a trovare il padre che già molti anni prima aveva percorso la strada al contrario per tornare nella sua patria lasciando la famiglia senza che la ragazza potesse più vederlo; ora è ricoverato in ospedale e come se fosse attratta da una forza misteriosa la ragazza sente di dover tornare a fargli visita e a conoscere il suo paese d'origine.
Il viaggio di Alma assume ben presto caratteristiche ora tragicomiche, ora divertenti, ma soprattutto è un percorso all'interno di un suo passato che non ha mai vissuto e di una maturazione personale; in compagnia di un cugino scostante e del suo amico del cuore Alma affronta un viaggio dando l'impronta del road movie alla pellicola che la porta a conoscere la Bosnia, il suo passato, il suo presente mutevole  e in fondo se stessa, attraverso la scoperta delle pulsioni amorose e sessuali  e della sua personalità a cavallo tra l'adolescente irrequieta e la donna che sta sbocciando in lei; Alma è qualcosa in divenire, un essere che ancora non è totalmente uscito dal guscio ma che al contempo è capace di affrontare da sola i primi passi nella vita adulta; ma soprattutto tocca con mano quello che è forse il tema principale che la giovane regista Ena Sendijarevic, nata in Bosnia e trapiantata in Olanda, sembra volere affrontare con forza: la confusione , il disagio e le insicurezze che la condizione di emigrante , straniera in entrambe le sue patrie, quindi quasi una apolide, si tira dietro e che fanno di Alma un soggetto in bilico tra un occidente che l'ha adottata ma del quale sente la freddezza e un oriente che non la riconosce come propria figlia a causa del gap culturale e di costume che divide le due parti dell'Europa.



Il racconto che procede sempre più seguendo i canoni, seppur molto peculiari ,del road movie, porta Alma a scoprire molto di quello che ribolle dentro se stessa, concludendosi , attraverso una metafora forse un po' scontata ma di sicura efficacia, in un epilogo poetico ricco di romanticismo.
La regista naturalizzata olandese ci tiene a precisare che il film è molto personale ma non autobiografico anche se tutti tasselli farebbero pensare a questo, ribadendo che la sua vuole essere una prospettiva di una generazione del dopoguerra, di adolescenti che non hanno conosciuto quegli orrori ma che oggi sono confusi e privi di riferimenti nello stesso modo in cui lo sono quelli del resto del continente, e attraverso un racconto che si muove con molta armonia tra il road movie, il buddy movie, il coming of age, ci mostra la metamorfosi di una giovane che alla fine del film è ormai diventata una donna , non perdendo però quella triste consapevolezza di confusione  che regna nel mondo circostante.

lunedì 3 maggio 2021

Nomadland ( Chloe Zhao, 2020 )

 




Nomadland (2020) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Se è vero che ogni annata cinematografica viene indelebilmente segnata da un film, quest'ultima trascorsa, la più strana e probabilmente irripetibile di tutte, ha visto Nomadland fregiarsi del titolo di film dell'anno; la marcia trionfale dell'opera della regista sino-americana Chloe Zhao ha inizio alla Mostra Cinematografica di Venezia dove, con una certa sorpresa ,vince il Leone d'Oro come miglior film, proseguendo poi con la vittoria a Toronto e in numerosi altri festival oltre ai premi ricevuti dalle associazioni di critici di mezzo mondo, fino all'apoteosi finale con l'Oscar  al film , alla regia e alla attrice protagonista.
Per chiarire subito, meglio dire sin dal principio, che cotanta gloria appare non solo  eccessiva ma addirittura fuori luogo, perchè Nomadland è lavoro nel quale vivono numerose contraddizioni che lo rendono ciondolante tra il capolavoro e la carrellata di ovvietà.



Protagonista è Fern, una donna di mezza età che in seguito alla chiusura della fabbrica dove lavorava insieme al marito situata nel bel mezzo del deserto del Nevada, inaridita la città-dormitorio costruita intorno all'insediamento industriale e rimasta sola per la dipartita del marito stesso, con le difficoltà economiche sovrastanti si trasforma in una dei tanti homeless che finiscono a vivere in roulotte, camper , caravan e furgoni vari, girando gli Staes inseguendo qualche lavoro occasionale che le permetta di sopravvivere.
Nomadland di Chloe Zhao è tutto qui, articolato sul mondo dei moderni nomadi per necessità ma che lo diventano poi per scelta; girato coinvolgendo numerosi di questi personaggi reali il film ha senza dubbio un buon incipit che vede Fern ( una Frances McDormand che appare uscita dai fotogrammi di Fargo...) prepararsi alla partenza dopo aver svuotato il magazzino in cui tiene le sue cose: questo è uno di quei frangenti della pellicola che riesce a dare di più, in cui, come avverrà per tutta la sua durata, i momenti migliori sono quelli dell'intimità personale, del ricordo, della scelta di vita da difendere a tutti i costi anche quando il furgone è ormai un rudere da buttare via.
Il percorso di Fern parte dalle montagne innevate  del Neveda , dove tutto ha inizio e dove, completando una circolarità mirabile tutto si chiude, in un altro dei momenti più belli dell'intero racconto, e approda al deserto dell'Arizona per partecipare ad un raduno di camperisti nomadi con tanto di santone teoreta della scelta di vita, chitarre intorno al fuoco, balli e chiacchiere in libertà; manca solo una canna e lo scenario è perfetto nella sua elegia veterofricchettona.
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