martedì 30 marzo 2010

One nite in Mongkok ( Derek Yee , 2004 )

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Tutto nella notte di Natale

Tutto in una notte o quasi: introdotto da un prologo che funge da punto di partenza dei fatti narrati , tutto il film si concentra nella notte della vigilia di Natale nella brulicante Mongkok, dove si scontrano due bande affiliate alle triadi e in cui il figlio di uno dei due capi muore; il padre fa assoldare un killer per consumare la vendetta, manododopera che si acquista a basso prezzo dalla Cina continentale rurale in cui regna ancora la povertà. La polizia dovrà cercare di stanare il killer prima che compia l'omicidio, onde evitare il trascinanrsi della sanguinosa faida.
Lai-fu, il killer, giunge ad Hong Kong , frastornato dalle luci e dal clima chiassoso e festoso della città e serba dentro un recondito motivo che lo ha spinto ad accettare un lavoro così pericoloso; questo novello Dante che si muove per l'inferno di Mongkok trova una insperata guida in Dan-dan, prostituta emigrata anche lei dalla Cina. Con la polizia alle calcagne e una città che si apre ai loro occhi come una sorta di Babele, i due cercheranno di schivare le trappole , senza però riuscire a fuggire in maniera definitiva dai loro destini segnati.
Un finale pirotecnico e drammatico chiude la storia lasciando molto amaro in bocca, con la sconfitta di quasi tutti.

lunedì 29 marzo 2010

Soul kitchen ( Fatih Akin , 2009 )

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Commedia, cucina e musica

Abbandona le tematiche sociali da figlio di immigrati turchi e si lancia in una variopinta commedia rumorosa e ben confezionata il regista di La sposa turca, ottenendo un buon risultato in un genere che ultimamente stenta clamorosamente, sia in Europa che in America.
Riuscire a fare una commedia intelligente e che diverta con gusto non è cosa facile e Akin ci riesce per larghi tratti con questo Soul Kitchen, nome di uno scalcinato ristorante della periferia di Amburgo, gestito da Zinos, giovanotto di orgini greche, che è il cuore pulsante di tutta la vicenda, tra peripezie varie, amori , dolori e una carrellata di personaggi che riescono tutti ad essere molto efficaci, carichi come sono delle loro esperienze di vita: il fratello Illias, sfaccendato imbroglioncello da quattro soldi ma dai buoni sentimenti; Lucia, una aspirante pittrice che funge da cameriera; Neumann, vecchio compagno di scuola di Zinos, imbroglione e improbabile palazzinaro che intravede nell'acquisto del locale una lucrosa speculazione da attuare a tutti i costi; Nadine, la fidanzata del protagonista più incline al jet set e aspirante giornalista in partenza per la Cina ed un geniale cuoco dai modi curiosi che si lancia nell'ardua impresa di trasformare una bettola di sfigati, frequentata da gentaglia affamata di surgelati e precotti ,in un ristorante in cui si pratica la più alta arte culinaria.

giovedì 25 marzo 2010

Desert dream ( Zhang Lu , 2007 )

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Una occasione perduta nella steppa mongola

Nella steppa mongola è rimasto solo Hangai a combattere la desertificazione: con tenacia e testardaggine si ostina a piantare alberi che, inesorabilmente, muoiono divorati dalla sabbia e dal vento.
Nulla sembra smuoverlo di un passo dalla sua missione, neppure l'amore filiale allorquando la piccola figlia deve partire per la città con la madre per sottoporsi a delle cure che le impediscano di diventare sorda.
La sua solitudine fatta di vodka e sigarette alla luce di una candela nella tenda sferzata dal vento dura pochissimo: alla sua porta si presentano una giovane donna con il figlio , in fuga dalla Corea del Nord e giunte chissà come nella steppa dopo avere atraversato qualche migliaio di chilometri in Cina.
La convivenza è ardua sia per problemi linguistici , sia perchè sono tre mondi staccati  e catapultati nel nulla quelli che si confrontano, ma soprattutto il bambino , pur nella sua ostinata durezza, dimostra interesse per quella terra e per quell'uomo votato al suo immane compito.
I presupposti per un film interessante ci sono tutti, a cominciare dal difficile rapporto dell'uomo con un ambiente ostile , in cui la convivenza equivale alla lotta per sopravvivere,  pur tralasciando l'assurdo presupposto della storia,  in cui l'arrivo di madre e figlio appare più come una visione che come un evento razionale che sappia spiegare come si possa attraversare quasi mezzo continente e giungere con tanto di zainetti e scarpe da ginnastica nel bel mezzo di una delle zone più inospitali del mondo.

mercoledì 24 marzo 2010

Il concerto ( Radu Mihaileanu , 2009 )

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Tchaikovski e la Russia

Andrei Filipov lavora come addetto alle pulizie al Teatro Bolscioi, quello che 30 anni prima era il suo teatro in veste di direttore d'orchestra; una purga in perfetto stile brezneviano interruppe il suo lavoro, reo di aver difeso ad oltranza i suo orchestranti ebrei; nello svolgere le sue mansioni intercetta un fax proveniente da Parigi in cui si invita l'Orchestra del teatro a tenere uno spettacolo. Scattano la vendetta e l'imbroglio grottesco : sostituirsi all'Orchestra ufficiale per potere finalmente riportare alla luce il Concerto per violino e orchestra di Tchaikovski ,interrotto 30 anni prima dalla protervia di uno zelante burocrate e che è rimasto sepolto nel fondo della sua anima. Mette in piedi una sorta di armata Brancaleone composta dai vecchi orchestranti, dispersi nei lavori più improbabili, alla conquista di Parigi. Come solista violinista sceglierà Anne Marie, talentuosa musicista francese, legata, scopriremo,a triplice filo anche lei, a sua insaputa,  agli eventi accaduti tanti anni prima.
Ad una prima parte in tono tipicamente picaresco e chiassoso , segue un finale, in cui negli ultimi quindici minuti fatti di sola musica, le immagini e poche parole di sottofondo metteranno il sigillo alla storia. Il concerto anelato che chiude il film , diverrà un inno commovente e bellissimo, proprio nel momento in cui il violino infonde la sua struggente musicalità, portando tutti  gli orchestrali a far riemergere l'anima russa racchiusa nell'opera di Tchaikovski che covava, umiliata ed offesa, nei ricettacoli più nascosti del loro spirito.

martedì 23 marzo 2010

I cento anni del Sommo Maestro


Quando il Cinema è Arte


Cento anni fa nasceva Akira Kurosawa, uno tra i più grandi geni dell'arte cinematografica di tutti i tempi. Sono quasi dodici anni che è morto , ma la sua immensa figura è ancora ampiamente presente nel Cinema di oggi e lo sarà per sempre.
Ho deciso di scrivere queste poche parole, al di fuori  dello schema abituale, perchè credo di avere con il Maestro un debito morale che non sarò ovviamente mai in grado di saldare: è stata la visione de I Sette Samurai, quando ancora giovincello, ad aprirmi la mente al grande Cinema, una passione che poi, tra inevitabili alti e bassi, mi ha accompgnato per tanti anni. Ricordo quella visione come un sogno, come tre ore di magia che mi rapirono e di cui rimembro ancora nitidamente ogni attimo. Ho rivisto quel film almeno altre 5 volte, eppure non ho mai avuto il coraggio o la sfrontatezza, forse, di scrivere qualcosa; per me rimane un totem sacro, ineguagliabile, scrigno di emozioni e ricordi.
Tutta la sua opera è stata straordinaria: decine di film bellissimi, visti quasi tutti ( e che intendo rivedere) e ritrovati poi in tante altre opere cinematografiche di registi che al Maestro debbono tantissimo.
E' stata una fonte di acqua purissima alla quale larghissima parte della Cinematografica mondiale si è abbeverata, ed è stato per tutti noi, amanti del Cinema, un generoso Imperatore che ci ha donato momenti ineguagliabili.
Poco importa se gli ultimissimi lavori avevano deluso, rimane una sterminata opera che , come pochissimi altri registi hanno saputo fare, ha raccontato l'Uomo e il Mondo in tutte le sue sfaccettature e ha reso tangibile quello che è e rimane una grande fabbrica di sogni e di passioni: il Cinema.

Itaewon murder case ( Hong Ki-seon , 2009 )

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Ancora un delitto irrisolto

Ispirato in maniera piuttosto fedele ad un efferato ed inspiegabile delitto rimasto impunito , avvenuto in Corea nel 1997,  il film si presenta come un thriller processuale, dove soffia ogni tanto il vento lontano di Memories of murder, anche se ciò che emerge con più chiarezza è un forte senso di sfiducia per l'impossibilità a chiudere un caso così assurdo.
Un giovane viene sgozzato in un bagno di un locale pubblico in maniera apparentemente immotivata; subito finiscono nel mirino, con pesanti indizi a carico, due ragazzi entrambi per metà americani, uno dei quali militare; tutto lascia intuire senza dubbio che l'assassino sia uno dei due , i quali una volta messi alle strette si accusano a vicenda dando versioni diverse dell'accaduto. Man mano che il procuratore Park prosegue nelle indagini si rende conto dell'assoluta mancanza di movente e che il delitto è stato un puro passatempo tra amici. Il processo condannerà Alex per omicidio ma poco dopo la Corte Suprema lo assolverà per insufficienza di prove. Il caso è chiuso senza alcun colpevole.
Pur avendo un impianto classico da thriller processuale, il regista sembra più interessato a chiedersi le ragioni di un simile assurdo delitto, oltre a denunciare in maniera abbastanza netta l'ingerenza americana nello sviare le indagini e nel voler chiudere il caso in maniera frettolosa. Ne consegue che su tutto il film aleggia un plumbeo clima di sfiducia e di disillusione culminante nel trionfo della menzogna.

lunedì 22 marzo 2010

I racconti della luna pallida d'agosto ( Kenji Mizoguchi , 1953 )

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Rivisitazioni cinematografiche
Miseria e violenza fuori dallo spazio e dal tempo


Considerato da molti come l'espressione più alta della copiosissima produzione cinematografica del grande regista giapponese, anche questa opera, come molte altre di Mizoguchi, trae spunto da un'opera letteraria del XVIII secolo, Ugetsu Monogatari, raccolta di racconti ambientata nel Giappone feudale sconvolto dalle guerre; epoca che ha ispirato numerosissime opere cinematografiche, anche per l'alto valore storico che ha avuto nella formazione della cultura di quel paese; a ciò si aggiunga che i fatti narrati si prestano benissimo a trasposizioni neppure troppo celate sulla condizione del Giappone moderno e alla lettura critica delle geste umane, queste sì universali e senza connotati temporali.
Anche in questo lavoro, racconto di miserie e di aspirazioni molto terrene, proprie della gente comune, il regista descrive il divenire di pulsioni che portano a gesti e ad eventi nei quali si possono leggere le mille sfaccettature della vita.
L'avidità e la ricerca di una affermazione violenta della propria esistenza che albergano nei due personaggi maschili si contrappongono in maniera speculare alla epica saggezza delle due donne, veri motori trainanti della famiglia, entrambe destinate alla sofferenza e all'umiliazione, ma sempre in attesa di poter accogliere i propri mariti. Genjuro, vasaio con la smodata sete di benessere e di ricchezza, vive la sua ossessione con la forza dell'allucinazione e dell'illusione, al punto di farsi inglobare dallo spettro della nobildonna Wakasa, che gli promette e gli dona una sorta di illusorio paradiso terrestre, pronto a sgretolarsi come un sogno nel momento in cui l'uomo, riportato alla ragione dalla parola di Buddha, fuggirà dal castello dorato divenuto ormai incubo. La sua vita di illusioni troverà la tragica e memorabile conclusione in un altro spettro che lo accoglierà al ritorno, uno spettro che ben presto diverrà il suo angelo custode.

domenica 21 marzo 2010

Gli amanti crocifissi ( Kenji Mizoguchi , 1954 )

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Rivisitazioni cinematografiche
Il turbine delle passioni e l'etica che diventa legge

E' questa una delle opere più significative e pià apprezzate di quello straordinario regista che è stato Kenji Mizoguchi, sicuramente uno dei più grandi interpreti di sempre della settima arte.
Prendendo spunto da uno dei tanti drammi scritti da Monzaemon Chikamatsu, autore del XVII secolo tra i più importanti della letteratura nipponica, racconta una storia ambientata nel 1600, di fortissimo impatto , nella quale convergono tutte le tematiche care al regista.
Una storia in cui il destino beffardo ed un intreccio di inganni e menzogne mette O-San, moglie dello stampatore imperiale e Mohei, dipendente del marito, nella condizione poco auspicabile di amanti accusati di adulterio, ingiustamente; poi, una volta fuggiti assieme, per il timore delle conseguenze penali dell'accusa, la passione amorosa , che l'uomo nascondeva fedelmente sotto le forme di una devozione infinita, si abbatte su di loro. Fra il suicidio d'onore e la consegna alla legge i due decideranno di vivere con dolore e con grande sentimento la loro passione , fino al finale , tragico e memorabile.

Madre e figlio ( Alexandr Sokurov , 1997 )

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L'amore assoluto tra madre e figlio

Una vecchia casa in disarmo nella campagna, in un luogo e un tempo imprecisato: solo una madre morente ed un figlio che la accudisce con passione, i prati sferzati dal vento, rari alberi che si slanciano verso il cielo, nessun segno di vita se non una lontana locomotiva a vapore che passa. I due come animali simbionti vivono in quasi perenne contatto fisico: il figlio porta la madre in braccio tra l'erba, su una panchina, sotto un albero; gesti quotidiani, ma dolorosi che emanano un senso di epica tragicità: il ragazzo che come Enea si carica addosso la madre malata, l'attesa per la morte che arriverà nonostante gli esorcismi dettati dall'amore e dall'affetto , una attesa fatta di dolore immane, di silenzi , di immagini deformate , di una farfalla posata sulla mano.
Sono 70 minuti di pellicola che commuovono, che racchiudono un nucleo di tragicità che solo la cultura russa sa esprimere con tanta grandezza ed emozione: sembrano due eroi madre e figlio, quegli eroi che possiedono l'infinita forza di toccare il cuore. Il rimorso dell'una e il dolore dell'altro non trovano tregua in nessun momento, neppure quando il sibilo lontano della locomotiva regala al ragazzo una lontanissima via di fuga; il rifugio sarà un largo tronco a cui si appoggia l'uomo e piange , singhiozza, certo dell'imminente arrivo della morte.

Funeral parade of roses ( Toshio Matsumoto , 1969)

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Arte figurativa innovativa

Sono passati 37 anni prima cha anche in Italia venisse proiettato questo film straordinario, opera di uno dei registi (e non solo) più innovativi giapponesi.
La storia, autentico caleidoscopio multiforme di immagini, è ambientata nella Tokyo dei travestiti e dei gay  del 1968, una città fatta di locali, di traffici di droga, di giovani contestatori  armati di fantasia e utopia, un clima sessantottesco europeo quasi, girata in un bianco e nero molto "francese" a forti tinte psichedeliche che anticipano la cultura underground. Protagonista un travestito di nome Eddie (autentico travestito come tutti quelli che compaiono nel film) in perenne ricerca di una identità celata dietro trucco appariscente, ciglia finte e vestitini audaci, un vita sempre in bilico, minata nei rapporti familiari e in quelli lavorativi dove l'invida e la competizione regnano sovrane.
L'esistenza di Eddie e del suo mondo vengono narrate a frammenti, quasi dei flash, che , soprattutto all'inizio, non rendono la lettura del film facile, fino a quando tutti i tasselli del puzzle trovano posto e si concludono in un finale volutamente iperbolico ed eccessivo.

venerdì 19 marzo 2010

Shutter Island ( Martin Scorsese , 2010 )

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L'isola degli incubi che tornano a galla

L'isola- manicomio che appare fendendo le brume , immersa in un mare livido e gonfio, offre l'immagine d'apertura di Shutter Island, chiarendo subito quale sarà l'ambientazione ed il clima che si respira nel film.
I due agenti federali Teddy e Chuck sono stati inviati lì per indagare sulla scomparsa di una paziente plurinfanticida: quello che sembra a prima vista un normale lavoro investigativo, si tramuta presto in una vertiginosa discese agli inferi, in cui gli indizi raccolti sembrano indirizzare le cose in un certo modo , salvo poi iniziare ad intuire che le cose non stanno come sembrano, affiorando qui e là incubi ed ossessioni. Per lo sceriffo Teddy sarà un lungo viaggio all'interno del suo "Io" dilaniato dai ricordi della moglie morta in circostanza tragiche e da immagini che provengono dal suo passato bellico di liberatore ed esploratore dei campi di sterminio nazisti.
La sua ossessione è tanta che crede di essere capitato in una sorta di laboratorio folle in cui reminiscenze recenti naziste vengono manipolate da psichiatri senza scrupoli.
La discesa agli inferi di Teddy sembra non trovare fine, al punto che allucinazioni psicotiche e realtà si fondono in un cocktail visivo che rende tutto tremendamente difficle da leggere.
La serie di inevitabili, piccoli e grandi , colpi di scena, per lo più prevedibili , quando non proprio telefonati, portano ad un finale amaro, in cui le ultime parole di Teddy e l'immagine del faro suonano con lo stesso sinistro rumore di una pietra tombale posta a ricoprire la fossa.

mercoledì 17 marzo 2010

La guerra dei fiori rossi ( Zhang Yuan , 2006 )

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Scuola di conformismo

Zhang Yuan è uno dei cineasti indipendenti cinesi maggiormente osteggiato dalla censura nel suo paese e , di pari passi, tra i più stimati e incoraggiati dall'occidente; questo suo lavoro nasce anche per la corposa compartecipazione italiana a livello di produzione (Rai cinema, Istituto luce, Marco Muller) che ne ha favorito anche la distribuzione nel nostro paese. Ovviamente il regista non viene meno alle sue qualità se non proprio antagoniste, celatamente critiche verso il regime di Pechino, presente e passato; lo fa con un film che, dietro una apparenza leggiadra e frizzante e una assoluta atemporalità (anche se si intuisce che siamo in piena Rivoluzione Culturale), va a descrivere in modo pacato ma deciso una storia altamente simbolica, relegata nella finzione filmica all'ambiente dell'infanzia.
Il piccolo Qiang , di quattro anni, viene lasciato dal padre e della madre in un asilo dove arriva in lacrime ed impaurito per la nuova vita che lo attende, ma i genitori sono impegnati con il lavoro e quindi non possono dedicarsi a lui. Che sia un bambino dal carattere particolare lo si intuisce subito, non solo scrutando la faccia furba e impunita. Le regole dell'asilo, improntate ad una ferrea disciplina e ad una omogeneizzazione delle personalità, sono per lui incomprensibili e frustranti, a maggior ragione per chi come il piccolo è dotato di grande fantasia. I fiori rossi del titolo sono il simbolo in carta velina della gratificazione che i bambini ottengono rispettando poche regole, ma che possono repentinamente perdere violandone tante altre. La sfrenata fantasia del ragazzino trova sfogo nell'immaginare , di comune accordo con una ragazzina, la maestra come un animale feroce in procinto di mangiarsi i bambini; ne è talmente convinto che coagula intorno a sè tutta la scolaresca che tenterà nottetempo una sorta di assalto al letto dove dorme l'insegnante. La ribellione di Qiang diviene sempre più decisa nonostante le punizioni, soprattutto psicologiche, al punto di divenire un bulletto in erba.

martedì 16 marzo 2010

Guns & Talks ( Jang Jin , 2001)

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Pistole, chiacchiere e una domanda senza risposta

E' stato uno dei più grandi successi cinematografici della storia coreana questo film di Jaing Jin, grazie soprattutto ad una sceneggiatura originale , oltre che per la presenza di numerosi divi cari al pubblico coreano.
In effetti la visione della pellicola è assolutamente piacevole,in special modo per il suo frequente cambio di registro narrativo che le consente comunque di conservare sempre un buon ritmo e di strappare anche qualche sanissima risata.
La stranissima banda di killer prezzolati non ha alcuno dei requisiti che dovrebbero avere quattro spietati assassini: facce pulite, emozioni che affiorano spesso e volentieri, cuori teneri sempre pronti a sciogliersi di fronte ad una donna che piange, ma nonostante ciò una affidabilità sul lavoro notevole che li rende ricercatissimi su un mercato che non sembra soffrire crisi.
Il film inizia come un action movie in cui vediamo la banda all'opera, ma ben presto vira verso la commedia , metà noir e metà parodia, con qualche influsso di sentimentalismo, sempre visto però con grande e simpatica ironia.
Quando i sentimenti inizieranno a farsi strada nei cuori dei quattro, le pistole del titolo lasceranno spazio alle chiacchiere e agli intoppi sul lavoro: una donna incinta di cui il marito fedigrafo ha commissionato l'omicidio, una adolescente che vuole uccide l'ignaro professore di inglese che le ha rubato il cuore e che è in procinto di sposarsi ed una speaker del telegiornale di cui i quattro sono follemente invaghiti che commissiona l'omicidio del secolo; tutte situazioni che minano le certezze della banda e che li porta ad agire guidati dai sentimenti.

lunedì 15 marzo 2010

La promessa dell'assassino (David Cronenberg , 2007)

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Mafia russa e questione etica

Uno sgozzamento in grande stile e in primissimo piano, una giovane ragazza in un lago di sangue che sta partorendo e, in ultimo, un neonato ancora ricoperto di sangue e liquido amniotico: questi i tre quadri di apertura che fungono da prologo del film di David Cronenberg, dimostrando in maniera netta quello che è ancora l'interesse spasmodico del regista per i corpi e la carne.
L'incipit non fa altro che creare subito un clima cupo e tetro che si stende su tutto il film, un noir potente e bello, che trova proprio nell'atmosfera inquitante il suo punto di forza.
Anna , l'ostetrica che fa nascere il neonato, strappandolo alla morte della giovane madre, trova nella borsa di quest'ultima un diario e una flebile traccia per poter risalire all'identità della ragazza.
Il sottilissimo filo la porta dritta nella bocca del lupo: un ristorante gestito da un sanguinario capo della mafia russa dall'apparenza bonaria e rassicurante , padre di un figlio, Kirill, che mostra subito l'inadeguatezza al ruolo di erede degli affari del genitore, nonostante la rassicurante e protettiva vicinanza di Nkolaj, uno sgherro tuttofare che, si intuisce, è anche l'oggetto delle sue brame criptogay. Il diario che la donna ha trovato è una importante prova delle turpitudini che i mafiosi russi perpetrano nei loro traffici di schiavi umani ed una volta giunto nelle mani del patriarca gli eventi precipitano inevitabilmente.

Tetsuo - The iron man (Shinya Tsukamoto , 1989 )

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Rivisitazioni cinematografiche
Ferraglia che vive e pulsa

Ammetto che la prima visione di questo film , alcuni anni orsono ormai, mi aveva lasciato molto poco convinto, probabilmente perchè stordito dal furore quasi psichedelico che emana la pellicola.
La ri-visione, oltre che la conoscenza un po' più approfondita di un regista assolutamente geniale e particolare quale è Tsukamoto, hanno squarciato in maniera inequivocabile il velo che mi aveva impedito di vedere oltre nella prima visione.
Possiamo definirlo un unico lunghissimo videoclip assolutamente allucinato, debordante di immagini pesantissime e quasi assurde che si fanno strada in un ammasso di ferro contorto.
Sin dal suo primo lungometraggio Tsukamoto lascia intendere di che pasta è fatto, ponendo le basi per una lunga serie di film a metà  strada tra il punk e l'underground che lo hanno imposto all'attenzione come uno dei più originali artisti visivi moderni.
Le immagini che scaturiscono da Tetsuo sono frenetiche sculture di un artista che vuole cercare il confine tra l'umo e la macchina e tra l'uomo e la modernità fino a compenetrarli.
Trama praticamente assente e solo deducibile da immagini che sono al contempo flashback ed allucinazioni di corpi in sfacelo, ritmo ossessivo, effetti speciali non fini a se stessi , stupefacenti per essere datai ormai più di venti anni e costruiti quasi artigianalmente, come sempre nel primo Tsukamoto, ma soprattutto quella orrida mutazione dell'uomo in ferraglia informe da cui spuntano solo due occhi, essendo tutto, genitali compresi, trasformato in metallo.

domenica 14 marzo 2010

[REC]2 (Jaume Balaguerò, Paco Plaza , 2009)

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Ancora quel vecchio palazzo di Barcellona...

Sono passati  due anni dal primo capitolo di quella che ha tutta l'aria di diventare una saga, ma nel vecchio palazzo di Barcellona è trascorso solo un quarto d'ora da quando Angela viene trascinata via nell'immagine finale che chiude [REC].
Le truppe speciali e un prete sotto mentite spoglie vengono introdotti nel condominio, con la finalità unica di recuperare il sangue della ragazzina che ha dato il via agli eventi, conservato dal prete che ne stava studiando il caso per sperimentare un vaccino. Ben presto si capisce che le finalità con le quali gli uomini sono stati introdotti nel palazzo sono diverse: il prete, che si svelerà presto, con lucida e cinica finalità scientifica (o pseudo tale) , i poliziotti con la speranza di salvare qualcuno. Inevitabilmente l'istinto di sopravvivenza porterà tutti a comportamenti estremi e all'uccisione di qualsiasi indemoniato  assetato di sangue gli si pari davanti con un colpo di pistola alla testa.
Il finale, con immancabile colpo di scena, ben preparato ed evocato dalle riprese con visore notturno capaci di svelare quello che la visione normale non riesce a fare, oltre che sorprendere, lascia amplissime porte aperte ad un altro sequel che perpetui la saga.

sabato 13 marzo 2010

Tokyo sonata ( Kiyoshi Kurosawa , 2008 )

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Il dramma di Kurosawa che non ti aspetti

La parabola artistica di Kurosawa raggiunge con Tokyo Sonata un punto di svolta fondamentale: quello che era a tutti gli effetti uno dei più illustri esponenti del J-horror, approda ad un film totalmente diverso, un dramma familiare e sociale , in cui anche la sua consueta visione apocalittica viene messa da parte e rielaborata sotto forme meno drastiche.
La storia si impernia su una famiglia media giapponese in cui Ryuhei, il padre, perde il lavoro in conseguenza della globalizazzione e dell'immissione sul mercato di risorse umane provenienti dalla Cina a costi notevolmente più bassi.Il proverbiale senso di autorità, onore e competizione che anima la società nipponica gli impedisce di riferire il suo nuovo status alla moglie, che da brava donna  di casa continua imperterrita nelle sue attività casalinghe; il figlio maggiore si arruola nell'esercito giapponese e quello minore decide di seguire la sua passione per il pianoforte, venendo meno agli ordini del padre.
Il disfacimento della famiglia è lento e progressivo e procede di pari passo con l'insoddisfazione che cresce nei componenti, fino ad arrivare ad una deflagrazione parossistica, in cui ogni scheggia vagherà per una notte alla ricerca di una nuova vita da cominciare,sia essa in riva al mare o nel bagagliaio di un pullman, per poi ricomporsi la mattina nell'ambito delle mura domestiche.
Nel finale li ritroviamo, qualche mese dopo, all'audizione del ragazzo aspirante pianista e la scena conclusiva , falsamente ottimistica, non è altro che il trionfo della rassegnazione.

venerdì 12 marzo 2010

Alila ( Amos Gitai , 2003 )

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La convivenza caotica salverà Israele

Un condominio popolare in qualche insediamento tra Tel Aviv e Jaffa, come potrebbe esistere a Napoli, a Trastevere o a Il Cairo, fa da palcoscenico a questa rappresentazione di umanità variegata, racchiusa in un microcosmo all'interno di un paese  sempre in guerra e ossessionato dal terrorismo. Uno spaccato di vita reale in cui gomito a gomito convivono le tensioni di una coppia ormai divisa ma tenuta assieme solo da un figlio che rifiuta il servizio militare, con il padre che vive in un furgoncino insieme a un manipolo di muratori immigrati cinesi parcheggiato proprio davanti la porta della sua ex casa , dove la moglie vive col suo nuovo uomo; un reduce da Auschwitz ossessionato dai ricordi e in preda a vaneggiamenti, una giovane e bella ragazza che vive nell'attesa dell'amante per focosi incontri d'amore, una poliziotta che fa del suo potere e della sua divisa una ragione di vita per imporre la sua prepotenza e la sua stravaganza, un uomo dall'aspetto trasandato che vive col suo cane. Tutti si incontrano e si scontrano nel cortile, vivendo quasi in simbiosi, scrutandosi dalle porte lasciate aperte; non nascondono i loro disagi e le loro follie, non esiste segreto per nessuno di loro; una convivenza caotica, chiassosa alla base della quale c'è però una vitalità prorompente, una voglia di vivere e di cambiare la propria vita, nonostante i frequenti bollettini di guerra che tv e radio ripetono in sottofondo,unica traccia che ci ricorda la dura realtà israeliana.

Unagi - L'anguilla (Shohei Imamura , 1997)

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L'anguilla, metafora del ciclo della vita

Le lettere sono chiarissime e inequivocabili, circostanziate, così come quello che vedono gli occhi di Yamashita di ritorno anzitempo dalla pesca: l'adulterio della moglie, colta dal marito in palese flagranza e la tempesta di coltellate che affonda nel corpo della donna. Ma quelle lettere potrebbero non essere mai esistite , se non nella mente del marito geloso che non tollera il tradimento. La macchina da presa insozzata dal sangue che sgorga furioso dalle ferite inferte chiude il prologo di questo bellissimo lavoro di Shohei Imamura.
Un inizio duro che immerge subito nel dramma di un uomo che ritroviamo otto anni dopo in libertà condizionata sotto la sorveglianza di un bonzo, in un piccolo villaggio ai margini di una palude. In carcere Yamashita ha allevato una anguilla che di fatto è l'unico tramite che ha col mondo dei vivi.
L'animale non è scelto a caso: tutto il film vive sul ruolo metaforico dell'anguilla, che, con la sua vita circolare che la porta a nascere all'equatore e a tornare a vivere nella melma stagnante, prima di intraprendere di nuovo l'ultimo viaggio per deporre le uova, rappresenta la ciclicità della vita umana e degli eventi che la determinano.
Nella vita di Yamashita compare una donna che lui salva dopo un tentato suicidio; un altro essere problematico, combattutto tra vitalità e abbandono e che trova subito nell'uomo che la prende a lavorare con sè  nel salone di barbiere , un appiglio alla vita; ma lui conserva la sua diffidenza da misantropo, ancora incredulo di come abbia potuto uccidere colei che amava più di ogni cosa e conservare nelle mani il calore del corpo martoriato dalla sua rabbia cieca.

giovedì 11 marzo 2010

The hurt locker (Kathryn Bigelow , 2008 )

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Un film che passa senza lasciare traccia.

Pur non volendo prendere in considerazione l'assurda incetta fatta da questo film all'ultima edizione degli Oscar, non si può non riflettere sulla mediocrità del cinema americano che intende ora, con due anni di ritardo, spacciarci per capolavoro, quello che è soltanto un filmetto che nulla di meglio offre rispetto alle decine di omologhi, clamorosamente ricicciati negli ultimi anni grazie alla massiccia presenza americana nei più drammatici scenari di guerra, infarcito come è dei soliti luoghi comuni e delle consuete situazioni streotipate (dai dialoghi alle scene da caserma) cui il cinema di guerra ci ha abituati dai tempi dello sbarco in Normandia.
E' vero, la storia racconta di una squadra di artificieri, professione poco narrata sugli schermi ed è altrettanto vero che la regia in alcuni momenti è buona finchè non viene soverchiata da una sceneggiatura modesta, ma il film nel suo insieme non dice nulla che possa essere degno di essere ricordato. Forse, se invece di mostrarci il sergente James perennemente in tuta anti-esplosione, più simile ad un astronauta con camminata alla Frankstein, la Bigelow si fosse incentrata sulla sua figura che aveva i crismi dell'estremo e che impersonificava alla perfezione la frase che apre il film "la guerra è una droga", la pellicola avrebbe senz'altro avuto qualche qualità in più , laddove, invece, regna sovrana la confusione e , spesso la noia, diretta conseguenza di una sceneggiatura troppo zoppicante e approssimativa.

mercoledì 10 marzo 2010

Vive l'amour ( Tsai Ming-liang , 1994 )

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Rivisitazioni cinematografiche
Il mondo privo di rapporti umani


Mai ri-visione di un film fu così provvidenziale, perchè a prima vista, anni addietro, lasciò non poco amaro in bocca, che poi è il risultato al quale ambisce il regista, e quindi una seconda visone libera dallo sforzo di cercare di assimilare ogni immagine, restituisce a questo lavoro la sua giusta dimensione di grandezza che merita.
Rimane un Cinema difficile, ostico, quasi antitetico quello di Tsai, ma il fortissimo impatto delle immagini e dei personaggi che racconta ha un altrettanto grande potere ipnotico.
Tre vite sciatte, marginali ed "estreme" racchiuse in una casa in vendita, rifiugio di tre anime perse e votate alla solitudine devastante, si sfiorano , si attraggono , si compenetrano e fuggono via come atomi opposti che giunti al punto di fondersi, rimbalzano via con una forza distruttrice che lascia privi di parola.
L'amore del titolo è falsamente fuorviante, nulla di amorevole lega i tre , salvo forse un appena accennato bacio omosessuale, che forse è l'unico momento in cui il sentimento affiora timidamente.
Sono altre le immagini che impregano lo schermo: solitudine e assoluta incomunicabilità , persino corporea ,che viene volutamente eclissata dal regista, lasciandoci solo mugolii che sembrano di piacere , ma che in effetti sono solo grida di dolore.

lunedì 8 marzo 2010

Nord ( Rune Denstad Langlo , 2009 )

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Road movie scandinavo

Interessante esordio alla regia per il giovane regista norvegese Rune Denstad Langlo che firma questo road movie dal sapore agrodolce, in cui dramma e commedia si mescolano in maniera appropriata.
Jomar ex campione di sci, ora in preda a profondissima depressione, passa la sua vita da rudere lavorando come guardiano in una stazione sciistica ed i suoi unici interessi ,oltre all'alcool e al fumo , sono i documentari National Geographic che trattano di disastri.
Un incendio apparentemente causale, proprio mentre guarda la Tv e cucina, fa scoccare in lui la scintilla della ribellione: si arma di abbondante riserva di alcool e in motoslitta parte alla volta del nord della Norvegia dove vive la ex moglie e il figlioletto che lo hanno abbandonato in seguito alla inedia causata dalla depressione.
Il viaggio catartico lo porta a conoscere per pochi attimi o per poche ore persone che hanno fatto della solitudine, voluta o coatta, la loro compagna di vita.
Il toccare con mano i disagi degli altri e una graduale presa di coscienza della sua residua forza vitale lo conduce dritto nel giardinetto di casa dove il figlioletto gioca beato con lo slittino.

Revanche - Ti ucciderò ( Gotz Spielmann , 2008)

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Vendetta e colpa

Per prima cosa occorrerebbe rimuovere l'osceno sottotitolo italiano dato al film per prepararsi alla visione in maniera neutra, come richiedono le tematiche affrontate, perchè se di riflessione effettivamente sul senso della vendetta si tratta, quel sottotitolo da horror di quart'ordine c'entra veramente poco.
Alex lavora come autista tuttofare di un proprietario di bordelli a Vienna, è appena uscito di galera e cerca nell'amore , corrisposto, della prostituta più ricercata del bordello una nuova vita. La ragazza è una ucraina clandestina, si droga , ma d'accordo con Alex decide di dare un taglio alla squallida vita; il denaro occorrente lo troveranno con una rapina che lui pianifica ma che per un contrattempo si complica con la morte della ragazza, semplice spettatrice dell'atto criminoso.
Alex troverà rifiugio, macerato dal dolore, presso la fattoria dell'anziano nonno, i cui vicini di casa sono il poliziotto che ha ucciso la ragazza e sua moglie, tutti ignari di questa coincidenza.
Man mano che le verità vengono a galla si avvicina la vendetta che da il titolo al film, ma questa non sarà necessariamente portata da un colpo di pistola.
Con una regia austera che non può non richiamare al migliore Haneke, soprattutto nella costruzione di un ambiente quasi asettico, Spielmann dirige un film bellissimo e coinvolgente , in cui vediamo da una parte un uomo la cui angoscia e desiderio di vendetta crescono lentamente ma inesorabilmente come la catasta di legna che taglia in continuazione, dall'altra un altro uomo corroso dal senso di colpa per quel proiettile finito al bersaglio; in mezzo ai due si pone la moglie del poliziotto che qualcosa da farsi perdonare ha anche lei, essendosi offerta neppure tanto celatamente ad Alex ( e da cui , sospettiamo, rimane ingravidata ponendo fine al suo tormento per la mancata maternità).

domenica 7 marzo 2010

Ai confini del paradiso ( Fatih Akin , 2007 )

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Beffardo intreccio di destini

Sul triangolo Amburgo-Brema-Istanbul si sviluppa la storia raccontata da Fatih Akin, un film dalla trama volutamente complessa e articolata che vede protagonisti un padre puttaniere e un figlio professore universitario immigrati in Germania, una madre prostituta e una figlia lontana, affiliata ai gruppi rivoluzionari turchi, una madre e una figlia tedesche, i cui destini porteranno lontano da casa in una Istanbul ormai prossima all'entrata in Europa.
E' un puzzle interessante e intrigato nella trama quello che ci presenta il regista, in cui le vite e le storie dei protagonisti procedono parallele, si intersecano per un attimo e si allontanano senza apparente possibilità di congiunzione, beffate dagli scherzi del destino sotto forma di coincidenze anche troppo curiose.
Ognuno insegue il proprio obiettivo, sia esso mettersi in casa una prostituta oppure combattere contro le ingiustizie, sia esso l'amore filiale o quello carnale, ma tutti inevitabilmente sbeffeggiati da attimi che segnano la vita.
Un disegno cinematografico così ardito , soprattutto sul piano narrativo, era tutt'altro che facile da affrontare, ma Akin tutto sommato ci riesce bene, anche se il volere mettere troppa carne al fuoco inevitabilmente porta ad esemplificare e a buttarla giù con un po' troppa superficialità.

sabato 6 marzo 2010

Il sapore della ciliegia ( Abbas Kiarostami , 1997 )

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Il suicidio e il sapore del gelso.

La jeep del signor Badii si muove lenta nella periferia di Teheran, si inerpica sulle strade sterrate delle colline brulle intorno alla città, incrocia camion e lambisce cave di pietra; il suo guidatore, sguardo fisso in avanti privo di espressione, cerca qualcuno che risolva il suo problema: ricoprire la fossa da lui scavata una volta che si sarà suicidato, previo accertamento che non sia ancora in vita.
Un giovane soldato scapperà impaurito alla richiesta, un seminarista afghano rifiuterà, forte della religione che condanna il suicidio, un vecchio custode di un museo accetterà, non prima però di aver raccontato all'uomo di come molti anni prima anche lui aveva deciso di togliersi la vita, salvo poi ripensarci nel momento in cui aveva assaporato il gusto di un gelso, frutto dell'albero prescelto per il cappio.
Il lungo monologo del vecchio , seduto con Badii  in auto mentre questa percorre gli infiniti tornanti delle colline argillose, contiene il senso del film e, estrapolando, il senso della vita secondo Kiarostami: " devi cambiare il tuo modo di vedere le cose" dice l'anziano all'aspirante suicida , appellandosi alla grande forza taumaturgica della natura, espressione della volontà divina.

Himalaya, where the wind dwells ( Jeon Soo-il , 2009 )

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La natura che respinge

In uno scenario che per larghi tratti rimanda più ad un documentario naturalistico, si svolge il viaggio di Choi, temporaneamente senza lavoro in attesa di trasferimento, che si reca in Nepal per riconsegnare ai familiari le ceneri di un dipendente del fratello morto in Corea.
Non è un viaggio di piacere e neppure un viaggio per ritrovare qualcosa di perso, è semplicemente un immergere se stesso in quanto di più inospitale e arcigno esista. L'Himalaya troneggia sul piccolo villaggio dove Choi giunge dopo un viaggio che sembra un calvario, la natura è ostile, dura, di quelle che respinge e per niente ospitale, il vento soffia perenne e porta con se il karma fino in fondo alla valle. Gli abitanti del villaggio mostrano la loro austera ospitalità, unico sollievo per l'uomo della città ,soverchiato in ogni momento da uno spazio che opprime  con glaciale freddezza senza possibilità di interazione.
Choi non avrà neppure il coraggio di consegnare l'urna cineraria ai familiari del defunto, ogni cosa gioca contro la possibilità che il suo stato d'animo possa trovare giovamento. Non sappiamo quali siano gli eventi che hanno reso l'uomo così tormentato, vediamo solo che la sua permanenza altro non è che uno scontrarsi con un ambiente tanto bello quanto inospitale e soverchiante, che in alcun modo gli giova: ripartirà nello stesso modo con cui era arrivato; se cercava qualcosa dentro sè non lo ha trovato, se sperava di placare il suo animo ha fallito.

venerdì 5 marzo 2010

Woman is the future of man ( Hong Sang-soo , 2004 )

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Disagi visti con occhio cattivo


Dietro la facciata di un film dall'apparenza leggero e minimalista, il regista Hong  racconta una storia che presenta larghi tratti di cattiveria quando non di perfidia. Un incedere assolutamente calmo , quasi delicato, che sembra approdare a tematiche paradossalmente mucciniane, nasconde invece un montante disagio malefico , proprio di personaggi che mescolano nei loro gesti meschinità e indolenza.
In una Seoul perennemente innevata e stretta dalla morsa del gelo (un grande freddo esteriore? ), due amici si ritrovano dopo un lungo periodo, nel quale uno dei due ha studiato in America ed ora sogna di diventare regista.Già il loro incontro dopo tanto tempo possiede una sorta di freddezza in assoluta sintonia con la neve che cade e ricopre le strade; una abbondante bevuta li porta a ricordare i tempi passati e fa tornare a galla il ricordo di Sen-hwa, ragazza di Hyeon-gon, prima e ,una volta partito questo, di Mun-ho poi. Un ponte tra i due, il vertice acuto di un triangolo, insomma , che  tenteranno di rimettere subito in piedi, col risultato di riportare in superifcie antichi rancori, rimpianti e dispute.
Con uno stile che ha reso Hong il più europeo tra i registi coreani, spesso accostato a certe tematiche rohmeriane, i tre non fanno nulla per risolvere i conti in sospeso, anzi sembrano voler immergersi ancora di più in contrasti non risolti, al punto di offrirci una bella dose di inspiegabile meschinità.

mercoledì 3 marzo 2010

Lanterne rosse ( Zhang Yimou , 1991 )

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Rivisitazioni cinematografiche
La ribellione alla meschinità


E' questo il film che imposto nel mondo intero Zhang Yimou come uno dei registi più apprezzati e che a iniziato a squarciare il velo che nascondeva larghissima parte della cinematografia cinese. Indubbiamente contribuì non poco il premio ricevuto a Venezia e il fatto che il film fosse prodotto con capitali stranieri, cosa che a sua volta ne ostacolò la distribuzione in Cina.
Tutta la vicenda si svolge nei primi anni del 1900, in una magnifico palazzo signorile, in cui vive Chen, signorotto locale, e le sue concubine, rigidamente e militarescamente relegate in appartamenti singoli annessi alla grande dimora.
L'ultima delle concubine è Songlian ,diciannove anni, costretta a lasciare gli studi dalla madre che la indirizza verso il benessere. La ragazza mostra subito insofferenza al clima che si respira nel palazzo e alle sue rigide regole cerimoniali; inoltre il suo rapporto con le altre concubine, assuefatte alle tradizioni e alle regole della casa, si dimostra subito problematico.
Tenta , forzando sè stessa, a fare suoi comportamenti consoni al caso, fatti di meschinità ed inganno, ma ciò la porterà solo a causare danni irreparabili che peseranno come il macigno del rimorso. A nulla serve la sua battaglia di dignità, per prima con sè stessa, e il suo destino sarà un vagare folle nel cortile della sua abitazione, mentre la tradizione si perpetua con l'arrivo di una nuova concubina.

martedì 2 marzo 2010

Kagemusha, l'ombra del guerriero ( Akira Kurosawa , 1980)

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Rivisitazioni cinematografiche
Film epico e l'occhio di Kurosawa che scruta l'uomo

E' senz'altro il più maestoso tra i film di Kurosawa, tanto da potersi definire un kolossal epico, in cui l'omaggio del Maestro alla storia medievale del Giappone si fonde, in un connubio splendido, con le riflessioni sull'uomo e la sua natura. Questa è una straordinaria dote che aveva Kurosawa, il sapere fondere la grande ampiezza degli eventi storici con l'intimismo e la meditazione che sono proprie dell'analisi e della descrizione dei drammi umani.
La morte del Principe Shingen, feudatario potentissimo e temutissimo rischia di scatenare una guerra senza confine, motivo per cui , e dietro disposizione del signore stesso quando era in vita, i dignitari di corte decidono di nasconderne il trapasso e di sostituire il principe con un sosia, ladruncolo da quattro soldi, salvatosi dalla morte solo per la sua incredibile somiglianza col potente feudatario.
Guidato ed addestrato, l'uomo ombra svolge il suo ruolo positivamente , fino a immedesimarsi nella figura di Shingen, ma quando l'inganno è scoperto per lui non resterà altro che tornare nei bassifondi da cui proviene. In un sussulto di dignità personale assiste dapprima alla battaglia in cui le truppe di Shingen ora guidate dal figlio vengono sbaragliate ed infine trova la morte nella sua folle corse verso l'accampamanto nemico, gesto eroico di riappropriazione della sua identità.

The longest nite ( Patrick Yau , 1998 )

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Noir torbido e grandi attori

Tipico noir di estrazione Hkese con la forte e tangibile impronta di Johnnie To, che qui si limita, almeno ufficialmente, solo alla produzione. Il clichè è sempre il solito: poliziotti corrotti, bande legate alle triadi, il misterioso killer venuto da lontano, la versione asiatica della femme fatale, il grande vecchio che manovra come un burattinaio; tutto parte secondo i canoni quindi. Ma lo svolgimento , sempre a gran ritmo e ben sostenuto da una onnipresente colonna sonora, mai fastidiosa però, prende una piega torbida, intricata a tal punto da affascinare, piena di dubbi e di duplici letture, quando non di autentica ambiguità. Chi ha messo la taglia sul boss mafioso? Chi manovra il killer sconosciuto? Chi vuole incastrare il poliziotto corrotto? Sono tutte domande che si insinuano nella testa dello spettatore e che per lunghi tratti del film rimangono sospese, prive di una risposta plausibile; solo di tanto e in tanto flebili indizi affiorano e sembrano ricmporre il quadro, anche se in modo molto frammentario.
Il dualismo tra il poliziotto corrotto e il killer serpeggia in tutta la storia , e ci serve sul vassoio il profilo di due personaggi schiavi del loro destino, senza scampo nè via di fuga, calati in un ambiente tetro, buio fatto di trame nascoste e di tradimenti: un bell'intreccio insomma che appassiona e incuriosisce.

lunedì 1 marzo 2010

El secreto de sus ojos ( Juan Josè Campanella , 2009 )

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Occhi che parlano e grandi passioni

E' un noir sui generis, ricco di passioni e melanconia , questo lavoro candidato all'Oscar come miglior film straniero. Una storia che corre su 25 anni, che volge spesso lo sguardo indietro e in cui due storie d'amore, diversissime tra loro, trovano l'epilogo.
Esposito è assistente del Pubblico Ministero a Buenos Aires e quando viene chiamato sulla scena di un delitto brutale , intuiamo subito che per lui non sarà una pratica come le altre; rimane enormemente colpito dalla sofferenza e dal dolore del giovane marito, scorre le foto della defunta tra le quali è colpito da un uomo che figura in tutte e negli occhi del quale sembra leggere qualcosa di insano. L'indizio è valido, e dopo una ricerca condotta anche con mezzi poco canonici, l'assassino è catturato.
Nel frattempo la vita di Esposito viene in modo inesorabile segnata dalla presenza di Irene , segretaria del Pubblico Ministero per cui lavora: una storia d'amore sottaciuta, silenziosa, fatta di sguardi , che rimarrà sottotraccia per 25 lunghi anni.
Ritroviamo all'inizio del film Esposito ingrigito e in pensione che pensa di scrivere un romanzo su quell'omicido che tanto lo appassionò; nel frattempo l'assassino, con manovre titpiche da Argentina anni 70-80, è stato liberato, essendosi dimostrato buon spione ed infiltrato e  ha avviato la sua vendetta che porterà Esposito al trasferimento e alla separazione da Irene in una scena da tipico melò anni 50.

Agora ( Alejandro Amenabar , 2009 )

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Un omaggio alla laicità del pensiero

E' una totale apologia della laicità della scienza e del penisero, contrapposta all'oscurantismo gretto e becero dell'intolleranza e dell'integralismo religioso, l'ultimo lavoro del talentuoso Alejandro Amenabar, affermatosi ormai come uno dei più bravi registi europei.
Di sicuro il film non avrà vita facile nelle sale italiane, se mai vi approderà, considerato il suo chiarissimo messaggio e la sua rigorosità storica.
Siamo nel IV secolo dc ad Alessandria in Egitto, città che all'epoca si ergeva  come una delle più  importanti dell'impero romano in lento declino, una città dove ferveva una vita culurale e scientifica tra le più produttive di tutto il mondo e che poteva vantare la più grande e magnificente biblioteca che il mondo abbia mai ricordato.
In questo clima , nell'impero ormai quasi totalmente cristianizzato da Costantino prima e da Teodosio poi, ci viene narrata la storia di Ipazia eminente filosofa e studiosa di astronomia e dei suoi allievi. L'ascesa inarrestabile dei cristiani modifica profondamente i modi di vita e crea turbolenze sociali che le autorità con difficoltà riescono a tenere a bada; in seguito ad una di queste periodiche sommosse , un editto dell'imperatore stabilisce che la biblioteca deve essere consegnata ai Cristiani, in cambio della salvezza per i pagani che vi serano asserragliati dentro in difesa. Lo scempio sarà completo: poco sarà messo in salvo da Ipazia prima che la biblioteca venga devastata; i non cristiani saranno costretti alla fuga (quando non trucidati) e la città verrà dominata ,di fatto, da bande di predicatori invasati. Ritroviamo qualche anno dopo gli allievi di Ipazia nei ruoli chiave del potere: Oreste è prefetto, Sinesio è vescovo di Cirene mentre ad Alessandria il vescovo Cirillo spadroneggia, imponendo usi e costumi e muovendo orde di beceri predicatori in violenze e scempi; basandosi su le sacre scritture, che impongono alla donna la sottomissione (alla faccia dei critici dell'Islam...), scatena la sue truppe di invasati contro Ipazia, rea di essere rimasta laicamente atea nonchè figura di riferimento per il suo ex allievo ora prefetto della città.
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