sabato 25 novembre 2023

Anatomia di una caduta [aka Anatomie d'une chut aka Anatomy of a Fall] (Justine Triet , 2023 )

 




Anatomy of a Fall (2023) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes di quest'anno ( i francesi, si sa, come un loro film si elevi anche se di poco sopra la mediocrità, non vedono l'ora di impalmarlo...) Anatomia di una caduta è il quarto lungometraggio di Justine Triet, che dopo una carriera ormai ultraventennale nel mondo cinema, raccoglie il prestigioso riconoscimento dopo una serie di altri premi che l'hanno comunque imposta come una delle voci più interessanti del cinema francese.
Onde poter da subito sgombrare il campo da pericolosi equivoci e accuse di spoiler, occorre dire che l'opera della Triet non è un thriller, o meglio non lo è nel senso cinematografico-letterario, e tanto meno è un legal thriller, sebbene buoni tre quarti della durata del film siano ambientati in una aula di tribunale; più propriamente possiamo affermare che la regista ha optato per una struttura da thriller classico con apparentemente tutti i canoni del genere, per affrontare in maniera verrebbe da dire quasi originale, tutt'altre tematiche.



Diciamo che la storia è semplicissima , come potrebbe essere quella di un thriller di Hitchcock che poi si avvolge intorno ad essa creando suspance e tensione: Sandra e Samuel vivono in uno chalet di montagna nelle Alpi francesi, entrambi sono scrittori, di successo lei, molto meno lui che anzi sembra in piena crisi ispirativa; hanno un figlio di 10 anni ipovedente in seguito ad un incidente di cui Samuel si sente colpevole; un giorno, dopo che Sandra si vede costretta a rinunciare ad una intervista in casa a causa del comportamento del marito che non trova da fare nulla di meglio di sparare a volume assurdo niente meno che la versione strumentale di P.I.M.P. di 50 Cent, Samuel viene trovato morto dal figlio e dal cane che lo accudisce nella sua semicecità , caduto dall'ultimo piano dello chalet con presente in casa solo Sandra; ovviamente ci vorrà poco agli inquirenti, e non poteva essere altrimenti, considerare la donna come una possibile sospettata.
Un anno dopo inizia il processo nel quale dovrà testimoniare tra l'altro anche Daniel il ragazzino figlio della coppia che del giorno dell'incidente ha dato una testimonianza contraddittoria.
Da questo momento in poi , in larghissima parte, tranne brevi momenti, soprattutto verso il finale, il film trova il suo habitat nell'aula di tribunale dove si deve decidere se Sandra abbia ucciso il marito o se invece questi non si sia suicidato oppure semplicemente caduto accidentalmente.
Come ogni legal thriller naturalmente si disquisisce su indizi, moventi, prove, testimonianze , accusa e sospetti, ma ben presto si capisce che l'aula del tribunale serve solo da auditorio per raccontare non la caduta accidentale o meno cui il titolo dell'opera fa riferimento, ma il percorso ed il destino di una storia coniugale che dietro una parvenza di normalità nasconde un groviglio di sentimenti contrapposti, di verità e di bugie, di rancori e di accuse che piano piano verranno a galla con l'indagine.
Ecco perchè Anatomia di una caduta non è un thriller; inoltre la sensazione tangibile , man mano che la storia va avanti, è che abbia poca importanza sapere se Sandra abbia ucciso o no il marito, cambierebbe poco o nulla rispetto a quello che abbiamo visto e saputo, facendo quindi venire meno il cardine di un thriller che è appunto l'attesa della verità o in alternativa del colpo di scena clamoroso che stravolga tutto; nell'opera di Justine Triet non c'è nulla di ciò e soprattutto non ne sentiamo la necessità , al punto che quel timido accenno a colpo di scena che dovrebbe rovesciare le carte, oltre che ben poco riuscito sembra addirittura forzato.

martedì 21 novembre 2023

The Breaking Ice / 燃冬 ( Anthony Chen / 陈哲艺 , 2023 )

 




The Breaking Ice (2023) on IMDb
Giudizio: 8/10

Spinto da una forza propulsiva che sembra ormai inarrestabile Anthony Chen compie un ulteriore passo avanti in direzione di quella stretta cerchia di cineasti capaci sempre di regalare qualcosa di speciale e meritevole di essere ricordato; seguendo quasi un nascosto filo antropologico il regista singaporiano dopo Ilo Ilo, in cui racconta una storia che vede al centro un ragazzino ,e Wet Season ,in cui il protagonista è un adolescente in formazione, con The Braeaking Ice approda al mondo giovanile post adolescenziale con un racconto che in molti tratti si presenta crudo, cupo, ma sempre sostenuto da toni mai sopra le righe; l'opera del regista appare quindi quasi una dissertazione sulle varie fasi della vita, sebbene poi i protagonisti nei lavori citati sono anche altri.
Il tratto in comune di tutte le opere di Chen è la solitudine, la difficoltà a tenere in piedi una esistenza carica di insoddisfazione quando non di dolore vero e proprio.
The Breaking Ice probabilmente tocca il punto più alto di questa dissertazione che abbiamo definito antropologica perchè le tematiche che scaturiscono dal film sono molto profonde, nonostante Chen abbia una capacità straordinaria, quella di far emergere dei profili umani complessi e molto articolati senza indugiare in troppe spiegazioni, lasciando che il lato emozionale dei suoi film venga in superficie quasi con lentezza e spontaneamente.



Ambientato in una glaciale Yanji, città di confine tra la Cina e la Corea del Nord , abitata da entrambe le etnie, Haofeng sta partecipando con ben poco entusiasmo al matrimonio di un amico, subito capiamo che il giovane è in preda ad un malessere profondo confermato dalle continue telefonate che riceve dall'istituto per disordini mentali presso cui è in cura che gli ricorda le sue visite da compiere; il suo sguardo nel vuoto in cima ad una scala lascia capire quale gelo abiti nel suo profondo animo, un gelo prossimo a rompersi e ad esplodere in un gesto insano. Qualcosa però lo distrae: un pullman di turisti che si svuota e la guida che scende, lei è Nana una ragazza che si occupa appunto di fare la guida turistica conducendo le persone in un giro alla visita delle poco memorabili bellezze della città; i due si conoscono e così come è precisa e professionale sul lavoro, dismessi gli abiti professionali la ragazza mostra un volto meno formale dal quale traspare una verve giovanile profonda unita però ad una nota di tristezza; la ragazza frequenta in maniera ambigua un altro giovane Henxiao che aiuta la famiglia nel ristorante e che ha dovuto rinunciare a seguire la sua indole per rimanere vicino alla famiglia.
Il trio si compone, una sorta di menage a trois , dove però il sesso non c'entra, o meglio le sottili tensioni sessuali fanno da sfondo al loro modo di rapportarsi: Haofeng è il classico cittadino della megalopoli (Shanghai), timido ed introverso che di certo è attratto da Nana e che decide di rimanere a Yanjin qualche giorno, la ragazza da parte sua alterna la sua vivacità a momenti in cui un passato difficile fatto di rinunce e di situazioni dolorose non sembra volerla abbandonare, Henxiao è il guascone del gruppo, anche lui attratto da Nana, con la quale si intuisce c'è stato qualcosa, e anche lui con quel gelo interiore derivato da una vita che ha preso una strada che lui non voleva.

giovedì 9 novembre 2023

Killing Romance ( Lee Wonsuk , 2023 )

 




Killing Romance (2023) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Per chi come  chi scrive ha visto la nascita e l'affermazione cinematografica del regista Lee Wonsuk, ormai legato indissolubilmente al Far East Film Festival di Udine sin dal suo esordio nel 2013, ogni lavoro del regista coreano è un appuntamento immancabile, soprattutto perchè  con le due opere precedenti si è affermato come uno dei personaggi cinematografici più interessanti ed estrosi del cinema brillante coreano.
Killing Romance vede la luce ben nove anni dopo The Royal Tailor che già aveva mostrato la vivace estrosità del regista nonchè la sua evoluzione repentina verso un cinema comunque di larga portata e con budget non trascurabile rispetto all'esordio brillantissimo ma con mezzi ed ambizioni più contenute di How To Use Guys With Secret Tips e conferma in maniera inequivocabile l'approdo nel cinema popolare main stream, pur mantenendo comunque una sua caratterizzazione specifica.
Introdotta da una simpatica signora che sembra tanto una di quelle narratrici di fiabe per bambini ( così, tanto per capire di che tipo di film stiamo parlando...) la storia si impernia su Yeorae, attrice e cantante la cui trionfale ascesa viene improvvisamente e drammaticamente interrotta da una gaffe fatta durante un film di fantascienza che la trasforma in un lampo in oggetto di scherno feroce da parte del pubblico.



La donna non regge la pressione e decide di sparire andandosi a rifugiare in una sperduta isola nell'oceano, dove dopo una accoglienza a dir poco grottesca, viene messa in salvo da una sorta di principe azzurro comparso all'improvviso; i due si innamorano e in breve si sposano, sembra l'inizio di una fiaba a lieto fine che riporta felicità nella vita di Yeorae, ma dopo sette anni (guarda caso...), capiamo che il Jonathan che ha sposato è tutt'altro che un principe azzurro, anzi è un trucido parvenue, arricchito , che parla mezzo coreano e mezzo inglese ridicolo, che si nutre del suo ego smisurato riempiendo casa di giganteschi quadri che lo ritraggono con la faccia da ebete e che soprattutto tiranneggia la povera moglie che infatti vorrebbe tornare a fare il suo lavoro dopo il lungo periodo sabbatico, ipotesi alla quale ovviamente il gaglioffo si oppone in tutte le maniere.
Yeorae è sempre più sprofondata in un pozzo senza fondo, ma c'è ancora qualcuno che sta dalla sua parte: un vicino di casa a Seoul (dove nel frattempo è temporaneamente tornata col marito) è un suo fanatico fan, un ragazzotto mezzo fallito che però è disposto a tutto pur di vedere ancora l'attrice all'opera.
I due escogitano tutta una serie di azioni per liberarsi del marito e tutte ovviamente prevedono la morte del gaglioffo, progettata utilizzando i metodi più assurdi e inverosimili.
Da qui in poi Killing Romance diventa quasi una versione umana-coreana di Willy il coyote VS Beep-Beep con un crescendo che mescolando situazioni rocambolesche e registri narrativi varii procede a ritmo serrato e con momenti di assoluta ilarità sostenuti da un sense of humor che il regista aveva già ampiamente dimostrato come utilizzare.

martedì 7 novembre 2023

Wet Season / 热带雨 ( Anthony Chen / 陳哲藝 , 2019 )

 




Wet Season (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Sei anni dopo il clamoroso successo riscosso con la sua opera prima  Ilo Ilo, il regista singaporiano Anthony Chen riunisce i due protagonisti della storia che tanto aveva impressionato e convinto nei circuiti festivalieri, per dirigere Wet Season, altro racconto che fa di quel minimalismo realista che è orami il marchio di fabbrica di Chen, il suo caposaldo principale.
Se in Ilo Ilo il racconto è incentrato sul rapporto tra un ragazzino di 10 anni con la colf filippina  sullo sfondo della crisi che colpì nei tardi anni 90 l'economia asiatica, Wet Season è imperniato invece sul legame che si crea tra un adolescente e la sua insegnante di cinese , con sullo sfondo la crisi politica e sociale della Malesia, paese da cui proviene nella storia la protagonista, ed una sorta di sussurata denuncia verso un paese che sembra sempre più portato ad abbandonare i suoi tratti distintivi in favore di una globalizzazione che sembra inarrestabile ( emblematico il tema della lingua cinese che rimane comunque quella ufficiale della città-stato).
Senza indugiare oltre sui numerosi punti di contatto che Ilo Ilo e Wet Season possiedono, è chiaro che Chen è regista molto interessato al racconto delle problematiche di fanciulli ed adolescenti per sfociare poi nel  suo ultimo lavoro, Breaking Ice, di cui parleremo a breve, nell'universo dei giovani ventenni.



In Wet Season abbiamo la protagonista Ling, ancora una volta l'attrice malese Yeo Yann Yann pure stavolta, come nel precedente ricoperta di riconoscimenti per la sua eccellente interpretazione, una insegnante di cinese delle scuole superiori, in evidente fase di crisi coniugale anche per una gravidanza che non riesce ad avere nonostante tutti i tentativi messi in atto, compreso il bombardamento ormonale e l'inseminazione artificiale.
Tra i suoi allievi, l'unico che sembra dimostrare un minimo di interesse per le attività scolastiche è Wei Lun, un giovane trascurato dai genitori perennemente assenti che col passare del tempo si lega a Ling.
Quest'ultima passa le sue giornate tra l'attività scolastica e la cura del vecchio suocero semiparalizzato e incapace di parlare,  vede nel giovane allievo una persona anch'essa sola, abbandonata e desiderosa di un un rapporto umano e quindi ben volentieri passa i pomeriggi a scuola con lui, unico allievo nelle lezioni di recupero.
Il legame che Wei Lun instaura con Ling diventa ben presto di quelli pericolosi perchè l'affetto travalica in una sorta di passione insana alla quale Ling riesce a mettere argine con molta difficoltà.
Se in Ilo Ilo l'assenza della famiglia si riversava addosso ad un ragazzino di 10 anni in piena formazione , qui la medesima situazione si ripercuote su un giovane in fase di sviluppo, alla ricerca del suo spazio nel mondo degli adulti, che vaga però privo di qualsiasi guida e protezione.
L'incontro con una donna sola, malinconica , delusa e alla ricerca ossessionata di maternità diventa quindi comprensibilmente un cocktail esplosivo, una situazione pericolosa anche socialmente, che mette a repentaglio quanto costruito fin lì.

giovedì 26 ottobre 2023

Rapito ( Marco Bellocchio , 2023 )

 




Kidnapped (2023) on IMDb
Giudizio : 8/10

L'inesauribile verve cinematografica sostenuta da una vitalità sorprendente per un uomo che ha comunque superato già da un po' la soglia degli ottanta anni e che ha alle spalle ben 27 lungometraggi, più una decina di documentari, di cui 12 negli ultimi 23 anni, all'invidiabile ritmo di uno ogni due anni, fa di Marco Bellocchio uno degli autori italiani più longevi oltre che più stimati, capace di offrire ancora sprazzi di Cinema potente e vitalissimo.
L'ultima fatica, presentata alla rassegna di Cannes di quest'anno, è opera che rimane ben salda nei canoni ormai ben delineati del Cinema di Bellocchio, a conferma di una rigorosa coerenza da parte del regista , che contribuisce a farne una delle voci più alte del cinema europeo e mondiale.
Ispirandosi liberamente ad un testo di Daniele Scalise del 1996 ( prontamente ristampato), dal titolo Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa, Bellocchio mette in scena un'opera dallo spessore robusto, durissima , senza indugiare però in facili orpelli, e che soprattutto, mostra la modernità del suo cinema ( di cui parleremo dopo) nell'affrontare una storia che dimostra come l'intolleranza, l'integralismo e l'ottusità abbiano avuto già a partire dai secoli passati un ruolo fondamentale nella società civile.



Il fatto, realmente accaduto a metà del 1800 ha per protagonista un bambino ebreo , sesto genito di una famiglia di Bologna, il quale avendo subito un battesimo improvvisato da parte della  serva che vedendolo malato e temendone la morte col successivo approdo al Limbo, come la Chiesa ha sempre paventato per i neonati non battezzati, viene rapito all'età di sei anni dai gendarmi pontifici, dietro soffiata all'Inquisitore da parte della serva stessa, tipico esempio di cattolica becera, baciapile e ipocrita,  per una manciata di denari; naturalmente il tutto nella perfetta osservanza delle leggi clericali (ricordiamo che Bologna all'epoca faceva parte dello Stato Pontificio) da parte dell'alto prelato capo dell'Inquisizione: un battezzato infatti secondo la legge deve avere una educazione cristiana lontana dalle diaboliche superstizioni giudaiche.
Il ragazzino viene quindi trasferito a Roma dove nel collegio riceverà l'indottrinamento e , visto che l'opinione pubblica di tutta Europa aveva mostrato il suo sdegno per l'accaduto, Pio IX, già in evidente difficoltà politica, divenne il protettore personale del ragazzino, a sottolineare l'inviolabilità della legge , diretta emanazione di quella divina.
La storia del ragazzino Edgardo solcherà gli eventi storici di quegli anni, fino alla breccia di Porta Pia e alla unione d'Italia e alla morte di Pio IX, dopo un regno pluridecennale, per approdare ad un finale che suona come resa dei conti con la sua famiglia e con le sue origini, dimostrazione di una violenta coercizione psicologica e morale imposta dalla religione quando essa guarda più alla sacralità del suo essere che alla profondità dell'essere umano.
Bellocchio, lo sappiamo bene, è sempre stato sin dall'inizio della sua attività di regista molto critico con la religione e con l'autorità ecclesiastica, lasciando in secondo piano la vera essenza filosofica della religione e la presenza del divino, molto più interessato a dimostrare la violenza, il sopruso, la cattiveria e l'immoralità (intesa in senso umanistico) dell'applicazione della legge da parte dell'istituzione ecclesiastica: un mangia preti, come si sarebbe detto un volta, semplicemente una persona che semmai aspirerebbe eventualmente ad un rapporto più diretto con Dio, piuttosto che mediato da personaggi di dubbia moralità e di scarsissima apertura mentale.

giovedì 19 ottobre 2023

Mon Crime - La colpevole sono io [aka The Crime Is Mine] ( François Ozon , 2023 )

 




The Crime Is Mine (2023) on IMDb
Giudizio: 7/10

Ancora relativamente lontano dalla fatidica soglia dei 60 anni, Francois Ozon si afferma in maniera definitiva come uno dei più prolifici registi , grazie ai suoi 22 lungometraggio e ad un'altra ventina di corto e mediometraggi; il paragone viene quasi spontaneo con l'inarrivabile Hong Sangsoo che del più prolifico del mondo tiene ben stretta la palma. 
La cadenza annuale che sembra essere diventata un metronomo cinematografico per il regista parigino porta persino a situazioni per cui questo Mon Crime, presentato all'ultimo Festival di Cannes esce nelle sale ben prima del penultimo lavoro, quel Peter Von Kant che porta la data del 2022 e che invece vede la luce nelle sale italiane in questi giorni: situazione che molto spesso capita ai registi più prolifici oltre che più stimati, quale è appunto Ozon.
Mon Crime, film che in tutto e per tutto è un lavoro votato ad un femminismo, magari un po' snob , ma certamente sentito e attuale, rimanda per molti aspetti ad altri lavori di Ozon ( Potiche e 8 Donne e un mistero) in cui questi esplora con occhio divertito e curioso il mondo femminile.


In Mon Crime sebben lo sguardo rimanga apparentemente leggero e sostenuto da toni francamente da commedia classica alla francese, la tematica è però ben più sostanziosa: strascici del metoo, la violenza ( soprattutto psicologica) sulle donne,  la riflessione morale sulle attenuanti di fronte al sopruso subito e vendicato con la forza, la denuncia di una ambiente dello spettacolo ben poco propenso a dare una possibilità a tutti se non dietro qualcosa di utile di rimando.
Mom Crime si apre con una scena che per molti versi sembra derivare da un   prologo chabroliano o da racconto alla Maigret: Parigi, anni trenta, vediamo una giovane donna fuggire sconvolta da una lussuosa casa con splendido giardino; nel frattempo in un'altra casa , una catapecchia più che altro, vediamo un'altra giovane donna alle prese con un omaccione venuto a reclamare il pagamento degli affitti arretrati: le due ragazze si ritrovane nella catapecchia ed il film costruisce così il filone principale.
Madeleine è una giovane attrice, neanche tanto talentuosa, alla ricerca di una parte che possa avviarla alla professione e che ha appena subito l'assalto del solito produttore predatore, ha una specie di fidanzato che però ben si guarda dal rendere pubblica la loro relazione pena l'avversione della ricchissima famiglia; Pauline è la sua amica del cuore ( e forse anche qualcosa di più...) con cui condivide l'appartamento, avvocatessa alle prime armi in cerca di qualcuno da difendere per guadagnare qualche soldo.
Un quadro ben delineato in brevi passaggi da Ozon: due giovani donne in cerca di affermazione che debbono scontrarsi con un mondo di squali e maschi cinici.
Quando Madeleine viene accusata di avere ucciso il produttore nella sua villa per trafugare denaro, la ragazza dapprima insorge dichiarandosi innocente, ma poi anche dietro consiglio dell'amica avvocata confesserà il crimine, dando il via ad una poderosa ascesa nell'olimpo del cinema, grazie anche ad un processo, in cui viene assolta perchè la sua è stata leggittima difesa, che la porta all'attenzione di tutto il paese.

mercoledì 18 ottobre 2023

El Conde ( Pablo Larrain , 2023 )

 




El Conde (2023) on IMDb
Giudizio: 8/10

Augusto Pinochet è vivo, il 10 dicembre del 2006 ha solo inscenato l'ennesima finta morte, come fa ormai da 250 anni; sì, perchè quello che abbiamo conosciuto come uno dei personaggi più abietti che il XX secolo abbia prodotto, altro non è che un vampiro, venuto al mondo da un'altra vampira ( non vi dico chi è perchè è il colpo di scena più entusiasmante del film) poco prima della Rivoluzione Francese; da personaggio abominevole quale è ha sempre vissuto sulle spalle di qualcuno appoggiando i più efferati criminali incontrati nella sua lunga vita.
Ora , imbolsito e invecchiato, vive in una landa desolata all'estremo sud del Cile, in un complesso di ville diroccate , con accanto la prode moglie ed il fedele maggiordomo cosacco, stanco e deciso a porre fine alla sua esistenza semplicemente astenendosi dal nutrirsi del sangue e dei cuori ancora pulsanti estratti da corpi umani che lo hanno mantenuto in forma per secoli.
Venuti a conoscenza di questa decisione del padre i cinque figli si radunano presso di lui semplicemente per mettere in atto ai danni della propria famiglia quello che hanno sempre compiuto nei confronti del loro paese: rubare , imbrogliare e scovare i tesori nascosti.



Ospite inattesa della congrega una giovane suora, esperta in esorcismi , inviata dalle autorità per sanare il corpo di Pinochet ritenuto posseduto, e sotto sotto per rimediare qualcosa anche per la Chiesa, storica fiancheggiatrice del dittatore cileno.
Ed è così che dopo 17 anni di attività alla regia col decimo lavoro Pablo Larrain affronta in maniera quasi psicoanalitica colui che era stato il fulcro della trilogia informale sulla dittatura cilena , rimasto però sempre dietro le quinte  quasi a voler amplificare quella parte subdola del potere di Pinochet , il quale non ha mai formalmente ammazzato nessuno nè tanto meno torturato o fatto sparire.
Compie questa operazione, il regista cileno, nell'unica maniera in cui poteva farlo dimostrandosi credibile (ricordiamo che Larrain viene da una famiglia di personaggi politici conservatori appartenenti ad un partito che in varie circostante non prese le distanze a pieno da Pinochet): non considerando minimamente il biopic, come invece aveva fatto, seppur in maniera atipica, nei lavori precedenti incentrati su due tra le donne più importanti e influenti del XX secolo, Jacqueline Kennedy e Lady D ma affidandosi ad un intreccio di stili variegati quali l'horror , la commedia, il dramma e soprattutto la satira politica carica di allegorie, quasi nel tentativo di voler metabolizzare in maniera sarcastica 17 anni di profonda oscurità che hanno segnato per sempre la vita del Cile e dei suoi abitanti.
Inutile spiegare perchè Larrain ci racconti un Pinochet vampiro, essere che per antonomasia vive nutrendosi di altre persone e che , nel caso del dittatore cileno, non disdegna neppure dei bei frullati di cuore umano, ottimi corroboranti per mantenersi in forma; quello che invece colpisce maggiormente è la scelta di rappresentare il dittatore come un essere ignobile alla stregua di un miserabile ladro e affamatore, accumulatore di ricchezze infinite ottenute sulle spalle di un paese intero e con la complicità dei suoi compari americani e inglesi; toglie al personaggio insomma quella aura di Storia che inevitabilmente, seppur solo nell'esercizio del  male, potrebbe presentare, per ridurlo ad un mero delinquente che solca i secoli con il medesimo modo di agire, presentando così anche il suo concetto di rapporto tra il potere ed il tempo.

giovedì 12 ottobre 2023

Oppenheimer ( Christopher Nolan , 2023 )

 




Oppenheimer (2023) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Come tutte le opere di Cristopher Nolan, anche Oppenheimer , ultima fatica incentrata sulla figura dello scienziato americano considerato il creatore della bomba atomica che fu utilizzata sul finire della guerra sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, ha suscitato una mole di reazioni se possibile ancora più voluminosa di quanto avvenga normalmente per i suoi film; il motivo va chiaramente ricercato nel fatto che siamo di fronte ad un biopic, seppur molto sui generis, genere mai utilizzato dal regista finora nelle sue pellicole, e soprattutto perchè l'opera inevitabilmente apre un vasto dibattito sul tema legato alle armi nucleari e alla guerra, argomenti piuttosto attuali, e sull'eterno dibattito su quello che deve essere il ruolo della scienza nell'ambito della società e dei rapporti politici.
Il personaggio di J.Robert Oppenheimer di per sè si presta ad una disamina della sua figura che oscilla tra la genialità e la contraddizione, tra chiari e oscuri lati della sua personalità , tra ambizione e tormenti legati alla sua attività di fisico con simpatie comuniste che accetta però di dirigere il Progetto Manhattan che deve portare alla costruzione della prima arma di distruzione di massa costruita dall'uomo.
Verrebbe da dire un personaggio  costruito ad arte per il cinema di Nolan, sempre improntato ad "eroi" dilaniati dentro se stessi, dai quali emergono conflitti interiori laceranti.
Considerare però Oppenheimer come un biopic classico sarebbe un errore imperdonabile: Nolan comunque non rinuncia ad alcuni dei suoi capisaldi cinematografici per costruire un'opera per certi versi monumentale, della durata di tre ore , e che comunque qualche falla la presenta , soprattutto  per alcune scelte narrative di cui parleremo in seguito.



Il concetto di tempo, tanto caro a Nolan, che costituisce quasi sempre nelle sue opere il substrato sul quale la trama e la storia si costruiscono e si sviluppano, è comunque tenacemente presente anche nel suo ultimo lavoro: infatti abbiamo tre piani temporali ben individuati , cui va aggiunto un prologo che ci inquadra il protagonista da giovane: gli anni del progetto Manhattan e della sua drammatica conclusione con le bombe sul Giappone , una sorta di processo-farsa contro lo scienziato nel primo dopo guerra alimentato tra l'altro dal maccartismo incalzante, scatenato dal suo rifiuto di procedere oltre negli esperimenti che dovrebbero portare alla costruzione della bomba ad idrogeno, e una audizione  di Lewis Strauss, ex direttore della agenzia per le armi nucleari che di fatto arruolò Oppenheimer, in procinto di assumere la carica di Segretario per il Commercio nel 1959.
Un lasso di tempo di una quindicina di anni, attraverso i quali Nolan fa scorrazzare la sua storia, utilizzando il colore e un bianco e nero molto classico ed elegante, ovviamente evitando quei twist acrobatici di Interstellar o di Tenet , ma ponendo comunque l'attenzione su quello che è il concetto di tempo e del suo ruolo di involucro degli avvenimenti.
Se come è ovvio il nucleo centrale dell'opera è la figura dello scienziato, è chiaro che le tematcihe presenti , più o meno legate alla figura del protagonista, assumono un ruolo fondamentale , al punto di far deragliare spesso il racconto dai binari del biopic classico, cosa cui Nolan ha probabilmente mirato sin dall'inizio del film quando ad esempio ci mostra le insicurezze e le paure  del giovane Oppenheimer.
A riportarci sulla storia in senso stretto sono le presenze di Einstein e di Bohr, di Fermi e di Heisenberg, lo sforzo di Oppenheimer di introdurre la fisica quantistica negli studi universitari, tutti gli eventi che segnarono il Progetto Manhattan , gli esperimenti a Los Alamos culminati con la prova generale, le vicende personali del fisico; ma tutto rimane in sottofondo nel momento in cui Nolan decide di penetrare maggiormente la figura del protagonista.
Esiste in Oppenheimer una sorta di sottile filo conduttore filosofico che sembra sconfinare nella psicoanalisi nel momento in cui le mille contraddizioni che albergano in lui si appalesano : il punto di svolta, costruito con una scena magistrale da parte del regista ( e che rimanda inevitabilmente alla lunga scena dell'inizio del male di natura umana, magnificamente costruita da David Lynch nell'ottava puntata della terza serie di Twin Peaks), sono gli attimi che seguono l'esperimento compiuto nel deserto di Los Alamos, trasformati , grazie alla sua maestria nel manipolare il tempo  in un dilatato inciso quasi onirico ( o orrorifico): "Sono diventato Morte, il distruttore di mondi" è la frase che, fosse realmente quello il momento o altro, come alcune cronache riportano, in cui la abbia pronunciata , è il nucleo centrale della vicenda personale del fisico americano , l'attimo in cui le numerose contraddizioni che permeano la sua personalità esplodono senza freno.
Rifacendosi ad una citazione contenuta nel Bhagavadgita (Canto di Dio) , testo sacro indù scritto in sanscrito, lingua che il fisico conosceva e cultura che in qualche modo abbracciava, Oppenheimer trova giustificazione sull'utilizzo della atomica e sulla strage che ne consegue , come se facesse parte di quel disegno divino che nel testo indù viene raccontato , assumendo le vesti del valoroso guerriero Arjuna, che pur di essere fedele alla legge divina è disposto ad uccidere parenti ed amici.

lunedì 4 settembre 2023

Nightsiren ( Tereza Nvotovà , 2022 )

 




Nightsiren (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

Il cosiddetto folk horror, sottogenere , ma fino ad un certo punto ormai, che ha preso sempre più piede, soprattutto nel cinema europeo, con la unica parziale eccezione di Ari Aster che non a caso in Midsommer però si affida ad ambientazioni scandinave, sposta sempre di più il centro del dibattito sulla sua essenza verso tematiche femministe: la cultura europea ,a tutte le latitudini, è impregnata da secoli dalle figure femminili spesso viste come portatrici di malvagità e di stregoneria, il più delle volte espressione di una  ipocrita subcultura maschilista che demonizza la donna a maggior ragione quando animata da spirito di indipendenza.
Al già lungo elenco di opere rientranti a vario titolo nel genere, si aggiunge Nightsiren, opera seconda della regista slovacca Tereza Nvotová, che già nel 2017 con l'opera prima Filthy ottenne numerosi riconoscimenti, un dramma ad impronta folk che mette in scena una caccia alle streghe moderna, retaggio di una cultura montanara e contadina  che affonda le sue radici nella notte dei tempi, secoli e secoli indietro.
La scelta della regista di ambientare ai giorni nostri questa storia è chiaramente un messaggio forte e chiaro: il tempo è passato , la società ha (apparentemente) fatto enormi progressi nel rispetto e nella tolleranza, ma per alcune tematiche il tempo sembra essere rimasto all'epoca dei roghi che illuminavano la campagne e la misoginia moderna col suo corredo di violenza e sopraffazione non è altro che l'ovvia conseguenza temporale di quanto accaduto per secoli che ha instillato nella cultura popolare una immagine della donna-demone.



La protagonista del film è una giovane ,Sarlota, che torna nel suo paese natale tra le montagne per prendere atto del testamento lasciato dalla madre , morta da poco e con la quale lei non aveva più rapporti; sin dal suo arrivo viene presa di mira dai paesani che la accusano di essere una strega così come lo era la madre intorno alla quale sono proliferate storie di atrocità e di malvagità; Sarlota inoltre si porta dietro il senso di colpa per la morte della sua sorellina avvenuta per una tragica fatalità di cui lei si sente responsabile e motivo per il quale la comunità la accusa apertamente.
Insomma per la ragazza è un tuffo in un passato torbido, oscuro, foriero di dolore e di avversione, nel quale solo il rapporto amichevole ( a volte sembrerebbe anche qualcosa in più...)  con la inquietante Mira una ragazza che sembra conoscere qualcosa sul passato di Sarlota.
La protagonista sempre divisa tra il fuggire e lo scoprire la verità che non conosce, intraprende quindi un viaggio nel suo passato rimosso, in un ambiente ostile che la considera una strega ritornata in vita.
Se la scelta di ambientare la storia nel presente costituisce forse l'aspetto più interessante  del film, la costruzione della storia che utilizza la regista è altrettanto valido e coinvolgente: le atmosfere appaiono da subito inquietanti, cupe, morbose, man mano che la verità inizia a comparire; la tematica diventa sempre più una denuncia sociale che vuole condannare la violenza sulle donne ( qui picchiate, violentate, bruciate come streghe...) tanto più astiosa e bestiale quanto più le donne del racconto si ergono a paladine della libertà e dell'indipendenza, della conoscenza e della ricerca della liberazione da un giogo culturale e personale insopportabile.

mercoledì 30 agosto 2023

Full River Red / 满江红 ( Zhang Yimou / 张艺谋 , 2023 )

 




Full River Red (2023) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Sono trascorsi 35 anni ( e 25 film) da quando la carriera straordinaria di Zhang Yimou ha preso il via, facendo sì che il regista cinese venga universalmente riconosciuto come uno tra i più grandi cineasti viventi, avendo ormai abbattuto anche le ultime barriere culturali-nazionali che relegavano gli autori orientali in un limbo informe visto con una certa indifferenza dal mondo occidentale.
Zhang è regista che soprattutto , e basta scorrere semplicemente i titoli dei suoi lavori, ha esplorato praticamente tutti i generi , muovendosi tra il film a sfondo sociale (con tanto di guai con la censura cinese) a quelli storici, dal kolossal al remake, autentiche citazioni cinematografiche, dal film patriottico con robusta dose di propaganda, al wuxia.
Nella sua ultima fatica , Full River Red, mette in piedi una operazione che cerca con molta ambizione (ma se non lo fa lui chi può?...) di riunire in 3 ore  sprazzi di tutti i generi, partendo da una base, quella del kolossal storico, di sicuro impatto con continui cambi di registro che spaziano praticamente su numerosi generi.
Il collante di questa operazione risiede fondamentalmente nella grande maestria nella regia e nella messa in scena, nell'accuratezza formale che diventa stile che sono i pilastri del percorso cinematografico di Zhang perlomeno in questa seconda fase della carriera.



La trama potrebbe essere raccontata in cinque righe o in un trattato, a seconda di quanto si voglia scoprire le carte di un film che invece fa dell'intreccio , dell'ambiguità e dei clamorosi colpi di scena la vera essenza che riesce a catturare lo spettatore (l'opera è tuttora uno dei film più ricchi del botteghino in Cina e comunque quello che ha incassato di pù tra quelli del regista).
Il periodo storico in cui è ambientato Full River Red è il XII secolo, Dinastia Song ; per cercare di sedare la rivolta del popolo Jin il primo ministro dell'impero, Qin Hui, organizza ai confini del paese un incontro con un messo dei ribelli; quest'ultimo però viene ucciso e la lettera che doveva consegnare al ministro sparita; nel proverbiale clima di sospetto che regna in ogni corte due soldati di rango inferiore , un capitano, Sun Jun e un militare semplice Zhang Da vengono incaricati , non certo per fiducia, di risolvere il caso e recuperare la lettera entro poche ore, pena la morte.
Ci fermiamo qui , perchè di fatto questo è il nucleo narrativo sufficiente per una sinossi che non sveli , anche perchè l'opera di Zhang è molto giocata sul sospetto, sull'apparenza, su quello che è realmente a fronte di quello che appare, tutto piuttosto difficile da raccontare senza cadere in trappola.
Ovviamente Full River Red è moltissimo altro, anche troppo verrebbe da dire , perchè, giusto per raccontare quello che ha convinto meno del film, il difetto principale è proprio la ridondanza narrativa che solo parzialmente la bravura indiscussa di Zhang riesce a governare.
Una ridondanza che non è solo sostanziale, legata cioè al racconto e alla trama con le tematiche più o meno nascoste, ma anche strutturale: i fin troppo rapidi cambi di registri che fanno sì che non è difficile assistere ad una battuta demenziale nel bel mezzo di una climax drammatico, effettivamente spiazza, seppur appare chiaro che è un espediente utilizzato dal regista per accentuare ulteriormente la commistione di stili, quasi dovesse diventare , il film, un compendio di tutti i generei trattati dal regista nella sua luminosa carriera.

martedì 29 agosto 2023

Safe Place ( Juraj Lerotic , 2022 )

 




Safe Place (2022) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

E' un esordio tanto folgorante quanto carico di dramma quello del regista croato Juraj Lerotic con Safe Place, opera che ha raccolto una enorme mole di riconoscimenti in ogni angolo del mondo; un'opera prima che mostra la grande maturità del regista e la impronta stilistica e che , soprattutto, lascia filtrare con lo scorrere lento della storia e delle immagini tutto il dolore personale del regista che si è ispirato ad una pagina intima della sua vita. 
Già il solo fatto di avere avuto il coraggio di prendere di petto una esperienza così tragica per poterla raccontare attraverso il cinema dimostra la grande onestà intellettuale di Lerotic oltre che, come dimostra la pellicola, la profonda sincerità che si percepisce nel racconto.
Il film si svolge nell'arco di circa 24 ore, un lasso di tempo che però molto spesso nell'incedere della storia sembra dilatarsi all'infinito: in queste ore seguiamo Damir, un giovane affetto da una grave crisi depressiva che tenta il suicidio e gli sforzi compiuti dal fratello Bruno ( il regista che interpreta se stesso sotto mentite spoglie) e dalla madre per cercare di risolvere il problema enorme in contrasto con un ambiente esterno con cui debbono relazionarsi in cui prevale la superficialità e l'indifferenza.



Safe Place si apre con una scena fissa magistrale: uno scorcio qualsiasi della periferia di Zagabria, passanti , macchine ferme, un movimento compassato nell'insieme che improvvisamente viene rotto da un uomo che corre, entra in un portone, apre la porta a calci: è Bruno che corre a casa del fratello dopo che questi ha tentato il suicidio e lo vediamo al cambio di scena abbattere anche la porta di casa e trovare il fratello in un lago di sangue.
Da quel momento, dapprima con il personale dell'ospedale, quindi con i solerti e ottusi poliziotti, Bruno e la madre, prontamente accorsa da Spalato, metteranno in piedi una lotta impari contro il male che assilla Damir per cercare di proteggerlo come solo una famiglia sana può tentare di fare.
Lerotic sgombra subito il campo da fastidiosi equivoci: non c'è nulla che possa creare tensione sulla sorte di Damir, una magnifica scena in ospedale, tra sogno e realtà, ci farà immediatamente capire che il ragazzo morirà, e noi per la restante ora e mezzo vedremo il dramma del giovane ma anche quello di Bruno e della madre che saranno disposti a tutto pur di salvarlo, a costo di commettere dei chiarissimi reati.
E' un film triste come pochi Safe Place, ma è una tristezza ben poco ostentata o spettacolarizzata, piuttosto oserei dire sostanziale sostenuta da una massiccia dose di tenerezza, racchiusa in un nucleo di dolore che riesce difficile da essere spostato: la giovane vita di Damir persa nella depressione, nell'enorme tragedia che vive dentro, nell'incapacità di capire se stesso e il quando è iniziato tutto; dall'altra parte c'è una famiglia che non si arrende, che tenta ogni gesto per ricoprire di attenzioni e di affetto il ragazzo, che crede che solo il legame famigliare possa contrastare l'indifferenza e la mancanza di sensibilità che li circonda. 

lunedì 21 agosto 2023

Asteroid City ( Wes Anderson , 2023 )

 




Asteroid City (2023) on IMDb
Giudizio: 4.5/10

Cosa si può dire di un film il cui unico momento che merita di essere citato è la scena finale sui titoli di coda sostenuta da una simpatica canzonetta?  Asteroid City , ultimo lavoro di Wes Anderson , è , purtroppo mestamente, il film in questione, e in questo caso a poco valgono le consuete diatribe fideistiche tra adoratori del regista americano e suoi feroci detrattori: anche le schiere molto nutrite, almeno fino a qualche tempo fa, di fans sfegatati sono rimaste con l'amaro in bocca , sorrette solo da una sorta di adorazione aprioristica che lascia però il tempo che trova.
Come è facile capire quindi sarà molto più semplice e immediato, direi quasi scontato, elencare tutto ciò che non funziona nel film, anche se forse sarebbe il caso di cominciare ad analizzare cosa non convince più nel Cinema di Anderson, da diverso tempo ormai incastrato e impantanato in una palude ispirativa dalla quale stenta ad uscire.
Asteroid City, presentato a Cannes, dove il regista americano era stato solo un'altra volta è un lavoro del quale , come già anticipato, non è semplice parlare: da un lato possiede trama e contenuti appena accennati e anche piuttosto confusi, dall'altra il film si erge come l'ennesima dimostrazione narcisistica  da parte del regista che appare interessato a consolidare il suo stile fino a renderlo puro e semplice manierismo, con la inevitabile carrellata di tutto ciò che Anderson ha reiterato nel tempo fino a renderlo il suo inconfondibile marchio di fabbrica.



In effetti bastano i primi minuti di visione per capire che siamo di fronte ad un'opera del regista texano: un narratore racconta di un drammaturgo che sta scrivendo una piece teatrale che poi un regista porterà sugli schermi; il bianco e nero che gioca a rimpiattino col colore sgargiante fumettistico che ci presenta una città quasi fantasma nel mezzo del deserto, la Asteroid City del titolo, modello film western aggiornato nei meravigliosi anni 50 americani; qui si respira la paranoia e il terrore americano di quegli anni: gli esperimenti nucleari per fortificare la guerra fredda e il timore dell'assalto alieno dallo spazio infinito; in questa parodia di città infatti, tremila anni fa, è piombato un asteroide che ha lasciato un bel buco per terra, attrazione turistica infilata nel bel mezzo del deserto.
In questa località si radunano un po' di persone per partecipare ad una premiazione che intende esaltare i giovani genii dell'astrofisica e delle invenzioni.
Il film di Anderson racconta di questa reunion piuttosto sgangherata, dei giovani genii all'opera, dei loro accompagnatori, dell'arrivo di un astronave alinea , di una quarantena imposta dalle autorità in seguito all'incontro ravvicinato.
Ce ne sarebbe per mettere su almeno una commediola divertente, invece si accenna al clima degli anni 50, si scimmiotta il western, si finge di essere interessati all'esplorazione psicologica dei personaggi , alcuni dei quali con un bel carico potenziale di problematiche, si divaga sulla reazione alla certezza che non siamo soli nell'universo e altre amenità simili, con un paio di deragliamenti sconcertanti ( la scena in bianco e nero sulle scale antincendio tra il protagonista e il personaggio di Margot Robbie è una botta di ruffianaggine degna di una telenovela messicana) e per finire il brivido fugace quasi subliminale del nudo integrale di Scarlett Johansson.

lunedì 31 luglio 2023

The Cow Who Sang a Song Into the Future [aka La vaca que cantó una canción hacia el futuro] (Francisca Alegría , 2022 )

 




The Cow Who Sang a Song Into the Future (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

Il breve prologo con cui inizia The Cow Who Sang a Song Into the Future, animato da una atmosfera ipnotica  e placida nella quale però ben presto trova spazio la vita ( gli insetti, i pesci che nuotano) e la morte ( i pesci morti, un topo ormai mummificato ) sulle rive di un fiume; sentiamo addirittura i pesci cantare un grido di dolore terminale che lascia presagire la loro imminente morte; poi improvvisamente questa atmosfera quasi onirica è squarciata con violenza dall'emergere dalle acque limacciose del fiume di una donna con un casco da motociclista in testa; poco dopo capiremo chi sia e capiremo anche il suo ruolo di grimaldello narrativo, un po' come quei fantasmi che popolano certo cinema del sud est asiatico (Thailandia soprattutto) che vagano alla ricerca di una pace liberatoria.
In quella zona sta tornando Cecilia,  avvisata dal fratello delle cattive condizioni di salute del padre, con al seguito i due figli  Alma , ancora ragazzina e Tomas adolescente in grave conflitto con la madre per la sua decisione di sentirsi una donna entrando così in conflitto col genere di nascita.
Il padre di Cecilia è proprietario di un caseificio , e l'altro figlio, Bernardo, lo ha rilevato nella gestione vista la malattia; la madre è morta quando i due figli erano ragazzini in circostanza drammatiche, suicidatasi gettandosi con la moto in uno degli stagni che il fiume forma nelle campagne circostanti.



Apparo chiaro quindi che alla base dei rapporti personali della famiglia c'è un qualcosa di irrisolto, di drammatico che impedisce di poter rapportarsi in maniera serena.
Quando la donna emersa dal lago si presenta alla casa annessa la caseificio dove la famiglia di Cecilia vive capiamo chi era in realtà quella figura emersa dalle acque del fiume, un corso d'acqua terribilmente malato, contaminato da scarichi industriali che sta uccidendo la fauna del luogo.
Il padre di Cecilia aveva già visto il fantasma della moglie e ciò aveva causato il malore che lo aveva portato in ospedale; la donna avrà modo nel  silenzio che anima il suo corpo da giovane donna strappata con violenza alla vita di incontrare i nipoti, la figlia e il marito, riportando a galla vecchie tensioni, scoprendo cicatrici mai rimarginate, ma al tempo stesso sarà il confronto per quanto silenzioso con la sua famiglia a far sì che il passato non sia più così pesante ed insopportabile per tutti, aprendo ad una riconciliazione catartica.
Attraverso questa storia che galleggia tra la fiaba moderna, la storia di fantasmi ed un realismo ipnotico che concorrono a creare quelle atmosfere che tanto ammaliano quando escono dalle opere di registi come Apichatpong Weerasethakul, la regista cilena al suo primo lungometraggio presentato con risultati eccellenti al Sundance, forte anche di una coproduzione che oltre al Cile ha visto l'impegno franco-tedesco-americano, affronta una storia famigliare drammatica segnata da una tragedia mai risolta nell'ambito di una aura premonitrice preapocalittica legata al grave problema ormai globale del degrado dell'ambiente; la storia prende il via da un episodio accaduto circa 15 anni fa in Cile quando una industria riversò nel fiume Cruces prodotti altamente contaminanti che causarono un disastro ecologico immane.

venerdì 21 luglio 2023

R.M.N. [aka Animali selvatici] ( Cristian Mungiu , 2022 )

 




R.M.N. (2022) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Universalmente riconosciuto come uno dei più autorevoli capiscuola del nuovo cinema rumeno nato dalle ceneri del comunismo a partire dai primi anni novanta e giunto fino ad oggi con frequenti cambi di prospettive e di linguaggi, Cristian Mungiu è autore che distilla i suoi lavori avendo diretto nell'arco di oltre 20 anni sei lungometraggi, la gran parte dei quali ricoperti di riconoscimenti e premi soprattutto a Cannes , almeno fino a R.M.N. che sorprendentemente non ha ricevuto nessun riconoscimento nel 2022 quando fu presentato ( e come vedremo tanto a sorpresa il fatto non è, pur tenendo in considerazione l'ormai abituale opera di adozione cinematografica compiuta dal Festival francese con l'autore rumeno).
Presentato in sala anche in Italia col ben poco azzeccato titolo di Animali selvatici , R.M.N. (che forse trova ragione del titolo in una delle tante allegorie di cui l'opera di Mungiu è costellata) è pellicola in cui la grande impronta formale sostenuta da una regia rigorosa nella sua semplicità e staticità conferma il talento visivo di Mungiu già ampiamente espresso nelle opere precedenti, quello che convince meno è invece l'impianto del racconto e la sua struttura complessiva, come meglio vedremo in seguito.



Ambientato in una piccola comunità della Transilvania circondata da montagne e boschi, la storia si impernia su Matthias un giovane che lavora in un mattatoio tedesco e che in seguito una azione violenta contro un collega di lavoro è costretto scappare in fretta in furia e tornare al suo villaggio tra le montagne dove vive la moglie con la quale ormai il rapporto è deteriorato ed il figlio, oppresso da una forma di mutismo scatenata dalla paura  di aver visto qualcosa nei boschi; il padre incolpa la madre di essere troppo protettiva con lui e decide di prendere in mano l'educazione e la gestione del figlio basandosi su sue teorie personali basate su un senso di machismo e anche di violenza.
Nel villaggio incontra anche Csilla, sua amante,che nel frattempo ha fatto carriera come direttrice di un panifico locale, con la quale intenderebbe ricucire la vecchia unione.
Quando nel panificio dove lavora la donna vengono assunti tre lavoratori dello Sri Lanka perchè così l'UE  concederà dei fondi , la popolazione locale andrà incontro ad una sorta di rivolta , dapprima mediata dal web con relative minacce e in seguito anche con atti violenti  verso gli stranieri, riaprendo una ferita che in quella regione , punto di incrocio di varie etnie , non  è mai realmente guarita nonostante , come dichiarano fieri i membri della comunità, gli zingari siano stati cacciati.
Questo episodio detonante diventa per Mungiu un pretesto per poter affrontare a vari livelli e utilizzando diversi punti di vista  un coacervo di problematiche e di tensioni sottotraccia che a partire dalla piccola comunità in Transilvania, si estendono al paese intero e all'Europa in generale, ben lungi dall'essere una reale Unione ma pervasa invece da revanchismo nazionalista soprattutto in alcune aree dell'est e dei Balcani.
L'immagine complessiva che tratteggia Mungiu è sconfortante perchè mostra una società rurale chiusa in un isolazionismo a tratti fiero in altri frangenti patetico, all'interno di un paese in cui le aree urbane hanno visto una crescita e quelle rurali invece sono rimaste indietro, spaccando di fatto il paese in due con relative migrazioni interne sulle quali si è innestata una immigrazione "che ruba il lavoro ai locali" come troppe volte abbiamo sentito.

mercoledì 12 luglio 2023

Master Gardener ( Paul Schrader , 2022 )

 




Master Gardener (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

"Sono solo un giardiniere che un tempo era qualcos'altro" è una delle frasi che il pacato e taciturno Narvel Roth afferma durante una conversazione; una frase all'apparenza banale ma che se sin dall'inizio riusciamo a cogliere il senso della sua opera di giardiniere assume una valenza ben diversa e profonda.
In effetti Narvel è un giardiniere formidabile che si occupa di curare con professionalità certosina e severa i giardini di una magnifica residenza del Sud degli Stati Uniti d'America appartenente ad una ricca vedova , Miss Haverhill; lo vediamo spesso seduto al tavolino con un quaderno davanti dove scrive le sue riflessioni filosofiche sulla botanica e sul ruolo dell'orticoltore e sul suo ruolo nella creazione di una sorta di armonia botanica e vitale.
Non tardiamo però a capire che Narvel era veramente qualcosa di molto diverso nel suo passato neppure troppo lontano: come un condannato a vita porta sulla sua pelle  i segni grotteschi del suo passato turbolento e orribile dal quale è fuggito allontanandosi e abbracciando l'arte della botanica e del giardinaggio, scienza che impone rigore e indiscutibile aderenza alle regole.



Capiamo anche ben presto che Narvel è indissolubilmente legato alla ricca vedova, sua salvatrice e ferrea dominatrice sprezzante: un legame silenzioso, profondo , di dipendenza incrociata.
Quando la ricca vedova chiede a Narvel di accogliere nel suo staff una sua pronipote, Maya, che a malapena conosce ma che vuole tirare fuori dai guai con la droga, questi seppur con ritrosia accetta, non potendo fare diversamente: l'arrivo della giovane con le relative problematiche che si tira dietro sarà come togliere il tappo ad un vulcano silente riportando a galla un passato che Narvel tanto aveva faticato per lasciarsi alle spalle.
E' chiaro sin dalle prime immagini che scorrono sullo schermo che anche il compassato e metodico giardiniere che vediamo seduto ad uno spoglio tavolino trascrivere le sue riflessioni a metà strada tra la botanica e la filosofia è uno di quei personaggi che rientra a pieno titolo nella carrellata di protagonisti degli ultimi film di Paul Schrader: il richiamo al reverendo Toller di First Reformed  e al William Tell de Il collezionista di carte , ma anche, tornando a ritroso nel tempo, al Trevis di Taxi Driver, un po' il modello primigenio dei personaggi creati dal regista -sceneggiatore americano è fin troppo chiaro e dichiarato, perchè anche Mister Gardener è plasmato sul racconto di un uomo solo , col passato ingombrante e pieno di lati oscuri che cerca di scrollarselo di dosso ma che impietosamente torna a farsi vivo quasi a ricordare al protagonista quale è stato e quale dovrà ancora essere il suo percorso interiore.
In questo caso Schrader sceglie di imperniare il racconto su un uomo piegato dal passato fatto di violenza , razzismo e di fuga , con la dolorosa separazione dalla figlia e il tentativo di ricreare intorno a sè un ambiente che nella metodicità della orticultura lo possa incanalare nel giusto cammino.

sabato 1 luglio 2023

Return to Seoul ( Davy Chou , 2022 )

 




Return to Seoul (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

Diretto dal regista franco-cambogiano Davy Chou, Return to Seoul è uno dei lavori del 2022 che più hanno lasciato il segno nell'annata cinematografica: basato su una reale storia , quella di una amica di Chou ( ma di fatto storia comune a tutti gli immigrati di prima e seconda generazione, quale appunto è anche il regista) l'opera racconta il personaggio di Freddie , una giovane francese di origine coreana adottata quando era ancora in fasce, che per un banale ( ma non tanto, tutto lascia pensare) disguido si ritrova a Seoul invece che in Giappone dove era originariamente diretta prima che problemi di volo la portassero nella capitale coreana.
Nel corso del racconto scopriremo che Freddie in effetti era da molto che coltivava l'idea  di tornare in Corea  alla ricerca delle sue radici, per cui il trovarsi catapultata in una città dove paradossalmente è una perfetta estranea ha sulla ragazza l'effetto di circondarla di un alone di straniamento e di isolamento, sebbene Freddie trovi subito in Tena , la receptionist dell'albergo in cui alloggia una valida guida e amica.
La ragazza si rivolge all'agenzia che gestisce le adozioni internazionali e riesce ad avviare il complicato e burocratico iter per cercare di raggiungere i genitori biologici; il padre lo troverà subito ed accetterà di vederla, mentre la madre non darà segno di sè , di fatto bloccando la pratica avviata da Freddie.



L'incoontro col padre, un alcolizzato che vive con la madre e la sorella in una cittadina di provincia non produce nulla nella ragazza, troppo distante è il modo di vita  e di pensare del genitore che non fa altro che accentuare il suo disagio in un paese che sembra respingerla in continuazione.
Freddie, inoltre, scopriamo che è persona con cui rapportarsi non è facile, arroccata nel suo isolamento , fortificata ed indurita nel suo essere da sola senza avere l'aiuto di nessuno.
Il viaggio di Freddie in Corea porterà la ragazza , nel corso degli anni in cui si svolge la vicenda, a rivisitare il suo presente ma anche il suo passato verso il quale nutre ancora diffidenza e disinteresse, aspettando sempre che la madre si faccia viva, visto che le regole le proibiscono  ulteriori richieste dopo quella fatta all'inizio.
Quello che fa di Return to Seoul un film per certi versi straordinario è la prospettiva scelta dal regista per raccontare una storia che chiaramente ha molto di autobiografico: raramente il racconto cade nello scontato, anzi mantiene sempre quel filo di emotività  che è il caposaldo fondamentale, ci presenta l'evoluzione di Freddie man mano che il suo substrato coreano viene a galla,  il suo affrontare una esistenza dominata dalle domande senza risposte, dalla incapacità a creare legami duraturi, da una durezza interiore che funge da corazza verso l'esterno.

lunedì 19 giugno 2023

Saint Omer ( Alice Diop , 2022 )

 




Saint Omer (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

Apprezzata documentarista con lo sguardo rivolto al sociale, Alice Diop, francese di origini senegalesi , affronta per la prima volta il cinema di finzione dirigendo Saint Omer, opera che si è conquistata a Venezia  sia il premio come miglior debutto alla regia che il Leone d'Argento Premio della Giuria, dando il via ad una lunghissima scia di riconoscimenti provenienti dai quattro angoli del pianeta.
L'opera , per molti versi spigolosa quando non addirittura ostica e respingente, affronta tutta una serie di problematiche universali che se ben assorbite potrebbero stordire chi guarda, nonostante lo stile scelto dalla regista risenta della sua esperienza come documentarista, interessata quindi alla rappresentazione della realtà in maniera obiettiva.
Partendo da un fatto realmente accaduto qualche anno fa che la regista stessa seguì nel suo svolgimento processuale, Saint Omer potrebbe a prima vista rappresentare , anche perchè chiaramente esplicitato nel racconto,  una nuova rivisitazione del mito di Medea ( e la citazione pasoliniana con le immagini del capolavoro con Maria Callas stanno a testimoniarlo); ma in effetti lo sguardo della Diop nelle due ore di pellicola si amplia anche ad altre tematiche seppur rimanendo il tema della maternità quello basilare.



La protagonista è una giovane donna di origini senegalesi, nata in Francia , perfettamente inserita nel tessuto lavorativo e sociale, con alle spalle una famiglia di buon livello; insegna all'università ed è al lavoro per scrivere un nuovo libro che ha come spunto un fatto di cronaca avvenuto appunto a Saint Omer, cittadina del nord della Francia nel quale una giovane donna di origini africane anch'essa si è resa protagonista del reato di infanticidio uccidendo la figlioletta di 15 mesi abbandonandola sulla spiaggia durante la bassa marea , per approdare ad una personale rilettura del mito di Medea.
Rama, la protagonista , si trasferisce a Saint Omer per qualche giorno per seguire da vicino il processo, ma ben presto l'interesse di tipo letterario lascia il posto ai mille interrogativi che  la figura dell'imputata ed il suo gesto inconcepibile suscitano in lei.
Laurence Coly è una giovane donna, apparentemente ben istruita, dall'eloquio quasi raffinato, la cui storia però mostra enormi problemi irrisolti con la famiglia e con se stessa , a causa di una carriera universitaria naufragata, una vita personale vissuta sempre più nell'ombra, un autoreclusione alimentata da un rapporto amoroso con un uomo ben più vecchio di lei  che la tiene comunque ai margini della sua vita ed infine una gravidanza tenuta quasi segreta e una maternità vissuta sempre nell'ombra e culminata nel gesto atroce.
Rama soprattutto si rende conto come il gesto  di Laurence , assurdo, inconcepibile, contrario alla natura le ponga però degli interrogativi angoscianti anche sulla sua gravidanza giunta al quarto mese e sul rapporto conflittuale ed irrisolto con una madre a volte dura e con l'assenza di un padre morto giovane: è un po' il perpetuarsi della condizione femminile nella quale ieri eri figlia e oggi sei anche  madre, con tutto il carico di emotività e di impegno che ciò comporta.
Nello scrutare l'infanticida alla sbarra, nel suo incrociare lo sguardo, nell'ascoltare il racconto freddo e lacerante di un abominio Rama stabilisce una connessione emotiva che la porta a considerare non tanto il gesto, quanto la vita disperata dell'imputata e a cercarne di capire i motivi , andando oltre gli alibi prodotti da quest'ultima ( la stergoneria)  e le accuse del comune pensare ( la follia, le difficoltà culturali, lo strisciante razzismo ideologico).

giovedì 25 maggio 2023

Alcarràs ( Carla Simon , 2022 )

 




Alcarràs (2022) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Vincitore un po' a sorpresa dell'Orso d'Oro alla Berlinale del 2022, l'opera seconda della regista catalana Carla Simon è una sentita epopea famigliare sullo sfondo di una società che cambia velocemente , anche nelle zone rurali, mettendo a repentaglio tradizioni e memorie che hanno costituito per secoli il tessuto connettivo di una civiltà contadina che in Spagna , come in Italia, è stata il motore trainante del paese.
Il racconto della Simon, a probabilissima ispirazione autobiografica, si incentra su una famiglia patriarcale tipica delle zone rurali, di quelle in cui tutto il nucleo (padre, figli con la mogli, marmocchi) vive sotto lo stesso tetto impegnato a strappare alla terra il prodotto, in questo caso le pesche, che costituisce il suo sostentamento.
Il terreno su cui cresce il bellissimo e grandissimo pescheto appartiene ad un ricco proprietario terriero che per riconoscenza verso il vecchio padre della famiglia (autore di un gesto che gli ha salvato la vita durante la guerra civile) ha donato in usufrutto gratuito , sancito con una stretta di mano , come si faceva una volta tra galantuomini.
Il giovane rampollo della famiglia però è intenzionato a dismettere la coltivazione degli alberi di pesche per ricoprire l'appezzamento di terreno con pannelli solari che "producono soldi senza fare fatica"; naturalmente non essendoci alcun documento che comprovi il patto tra i vecchi patriarchi, il proprietario risulta essere il figlio di quest'ultimo  che non ha intenzione di recedere dai suoi progetti neppure dopo che la famiglia di contadini gli ricorda l'antico patto tra i genitori.
Il racconto di Alcarras si impernia tutto intorno a quello che potrebbe essere l'ultimo raccolto e di conseguenza la fine di una era per la famiglia contadina, portando alla luce le inevitabili contrapposizioni che si presentano tra i vari componenti: una sorta di implosione di un microcosmo che vede il suo futuro oscurato dalla fine di una epoca storica.



Per raccontare gli eventi Carla Simon opta per una varietà di prospettive proprie di ognuno dei personaggi: i bambini, gli adolescenti, i due fratelli in disaccordo tra loro su cosa fare (accettare o no la svolta) le rispettive mogli e su tutti lo sguardo austero e vissuto del silenzioso patriarca.
Questa scelta che potrebbe di per sè avere numerosi vantaggi dal punto di vista narrativo, a volte mostra il limite di imporre un quadro un po' troppo schematico, quasi didascalico al racconto con situazioni che appaiono un po' troppo stereotipate.
Di contro è chiaro il messaggio ed il grido di dolore sdegnato  cui la regista intende dare voce: in nome di un progresso, seppur idealmente pulito ( l'energia solare),  si distrugge una civiltà centenaria fatta di fatica , di schiene spezzate, di lavoro faticoso , di attesa, di tempo che scorre passando attraverso le stagioni, di simbiosi con la terra alla quale ci si abbraccia e si ancora per mezzo della fatica fisica; in questo il film ha un forte valore sociale e morale, proprio di quei registi che in molti modi hanno tenuto a galla per offrirla alla memoria una civiltà contadina che rischia sempre di più di scomparire seppellendo tutta quella messe di conoscenze e di regole che spiegano il legame con la natura.
La convinzione della regista è talmente forte da far apparire il film quasi una crociata anti-progresso, nonostante di progresso sostenibile si tratti, ma in effetti la Simon vuole solo lanciare l'allarme su quanto sia importante mantenere in vita una cultura che è radicata in larga parte del pianeta e che per secoli ha consentito lo svilupparsi del progresso dell'uomo prima di ogni cosa.
Condividi