domenica 28 febbraio 2010

L'imbalsamatore ( Matteo Garrone , 2002 )

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Esordio con ambiguità e morbosità

Un ambiguo colpo di pistola nel sottofinale chiude la storia come con un colpo d'accetta; il peregrinare tra lo squallido litorale dell'alta Campania, fatto di mare livido e di palazzoni abusivi, e la nebbiosa e silenziosa Cremona ,adagiata sul Po, trova conclusione nel buio di un'automobile. Tutta la vicenda ondeggia tra questi due estremi e dipana la matassa di un rapporto morboso, soprattutto nella psiche, tra Peppino, tassidermista nano cinquantenne, squartatore di cadaveri pieni di droga su incarico della camorra e Valerio, giovane dall'aria pulita in cui alberga la più totale apatia per la vita.
Il nano abborda, lusinga, circuisce , plagia e lega a sè il ragazzo , il quale da parte sua sembra solo desideroso di una vita che lo deresponsabilizzi il più possibile; la manipolazione di Valerio è spietata, subdola ed ha come motore una chiara attrazione sessuale che non vedremo mai però soddisfatta.
Dutante una delle missioni per la camorra, Valerio conosce Deborah, ragazza piccolo borghese di Cremona che , in cerca di una vita movimentata, si unisce ai due: non è la chiusura di un banale e pruriginoso triangolo, è semplicemente la bomba ad orologeria che si frappone nella strana coppia.
Peppino, perseguendo il suo scopo con paziena certosina e con furbizia, sembra accettare di buon grado la situazione: la ragazza può essere una sua involontaria alleata, come lo erano le disinibite amiche prezzolate che allietavano le loro serate; quando però è il momento della scelta e Valerio sembra avere un rigurgito di personalità, anche perchè prossimo padre, l'esplosione della bomba giunge al suo countdown finale; in un ultimo assalto finale Peppino sembrerà spuntarla, contando ancora una volta sulla totale manovrabilità del ragazzo, ma il colpo di pistola ,che non sapremo mai quale mano lo abbia tirato, metterà fine alle incertezze.

Il trono di sangue ( Akira Kurosawa , 1957 )

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Rivisitazioni cinematografiche
Il primo incontro Shakespeare-Kurosawa

E' ambientata nel Giappone medievale del XVI secolo la geniale e grandiosa rivisitazione shakespeariana del Macbeth da parte di Akira Kurosawa, che molto sentiva l'altissimo senso di tragicità insito nelle opere del grande scrittore inglese; è tanta l'affinità che nulla appare forzato, sebbene il film ricalchi in maniera quasi speculare gli eventi della tragedia.
Il tema universale della brama di potere che conduce alla follia offre terreno fertilissimo alla grande capacità del Maestro di raccontare l'Uomo: cambia l'epoca storica, cambia la struttura narrativa ma l'acutissimo occhio del regista scruta con la medesima maestosità le insane ambizioni che albergano nell'animo umano.
Il film , pur conservando la sua teatralità negli ambienti, si presenta di amplissimo respiro, percorso dai fremiti tragici e al contempo grandioso nella sua scenicità: la nebbia che avvolge il castello, le schiere di soldati pronte alla battaglia,le ampie vallate che compongono il feudo di Washizu, sono le quinte teatrali che avvolgono la storia di un uomo dai sani principi in cui la moglie instilla e porta alla luce la  recondita e sfrenata sete di potere che distruggerà tutto intorno alla lui, portandolo alla follia e alla morte.

venerdì 26 febbraio 2010

Goodbye Dragon Inn ( Tsai Ming-liang , 2003 )

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Spazi immensi e dilatazione del tempo intrisi di nostalgia

Per chi riesce a giungere al finale di questo film, troverà le risposte sul senso del lavoro di Tsai, apparentemente molto ostico così privato come è di dialoghi e così dilatato nel tempo, quasi immobile.
Indubbiamente non è un film facile, sembra estenuarti con quelle riprese ferme ma da ognuna di esse trasuda la poetica del regista che appartiene di diritto a quel gruppo di cineasti che si ama o si odia , senza vie di mezzo.
Quello che un tempo era un cinema frequentatissimo è giunto all'ultimo giorno di apertura, poi finirà inghiottito da qualche centro commerciale o megastore, la sala è semivuota e ritrovo di personaggi in cerca di effimeri incontri, ma qualcosa sembra animarlo: fantasmi che sembrano  usciti direttamente dallo schermo e che passano il tempo a fumare nei corridoi, due vecchi attori del film in proiezione che tornano a vederlo per l'ultima volta  (Dragon Inn appunto, film del 1966), una cassiera tuttofare che, col suo incedere claudicante ritmato dal metallo della protesi, passa in rassegna i vari spazi del locale e un proiezionista che non vedremo mai , se non alla fine . Tutto sembra galleggiare in un clima di abbandono, di tristezza e di rimembranza dei tempi in cui il cinema era il luogo dei sogni e della magia, i personaggi vagano come entità autonome , isolate , incapaci di trovare alcun contatto anche solo emozionale.

Diciassette anni ( Zhang Yuan , 1999 )

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Tragedia neorealista

"Guarda come ci siamo ridotti per 5 miseri yuan" , questa la frase  che viene prononciata dal padre a compendio finale di un dramma familiare iniziato diciassette anni prima e che trova la sua mesta conclusione sotto gli occhi di una poliziotta e nel mezzo di una cambiamento epocale che stravolge la Cina.
Tao Xiaolan e Yu Xiaoqin sono due ragazze , diversissime una dall'altra, figlie di genitori diversi, che vivono rispettivamente con la madre e con il padre divorziati e risposatisi tra loro: la famglia atipica vive in un clima in cui i genitori si insultano, le due si detestano amorevolmente, troppo diverse tra di loro, animate da ideali e sogni antitetici; da una banale disputa insorta per la scomparsa di cinque yuan, Tao uccide con una bastonata la sorellastra e finisce in carcere per diciassette anni. La ritroviamo in procinto di godere di un permesso premio per la buona condotta avuta in carcere che le permetterà di trascorrere il capodanno in famiglia.
L'uscita dal carcere sarà di un impatto drammatico e durissimo: nessuno ad attenderla, la città che è cambiata totalmente, le macchine che sfrecciano, lei che vaga atterrita ed inebetita. In suo soccorso verrà un capitano della polizia penitenziaria che se la prende in carico per accompagnarla a casa; il quartiere fatiscente dove viveva, ma che conservava forse ancora un po' di calore umano oltre che i ricordi della sua giovinezza, è stato raso al suolo in favore di moderne costruzioni, tutte uguali, in una delle quali vive ora la madre e il patrigno.

Invictus (Clint Eastwood , 2009)

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La nascita di una nazione

Nel 1991 si aprono le porte del carcere per Nelson Mandela che di lì a tre anni sarà eletto Presidente della Repubblica del Sudafrica con suffragio universale: una storia molto "americana" di rivincita morale e di riscatto che non poteva non carpire l'attenzione di Clint Eastwood, regista sempre più attento alle tematiche sociali e, almeno nell'ultimo film, al problema razziale.
Mandela non avrà vita facile nel primo periodo dopo la riacquistata libertà, in un paese dilaniato dalla lotta fratricida tra le fazioni dei militanti di colore e nel contempo percorso dalla paura dei bianchi , la cui elezione a Presidente non accolsero certo con favore.
La Coppa del Mondo di rugby che si svolse in Sudafrica nel 1995 fu una grandissima occasione per il paese intero, e per Mandela, per avviare in maniera concreta la nazione sulla via della conciliazione e del progresso.
Gli Springboks , nome col quale è conisciuta la nazionale di rugby, sono sempre stati un emblema del potere dell'apartheid, detestati invece dai neri, ma in essi Mandela vide il veicolo per iniziare a unificare il paese e quindi sposò appieno la loro causa in vista della Coppa.
Su questo canovaccio "storico" si dipana il film di Clint Eastwood, molto attento, col consueto stile secco e asciutto, a non cadere nel film cronachistico e tantomeno nell'apologia del leader nero.

lunedì 22 febbraio 2010

Sunflower ( Zhang Yang , 2005 )

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La titanica lotta padre-figlio


E' una splendida epopea familiare che abbraccia oltre 30 anni di storia quella raccontata da Zhang Yang in questo bellissimo film, una descrizione attenta e reale dei difficili e contrastati rapporti tra un padre, artista per vocazione integralista, e un figlio che approderà all'arte per vie più tortuose, in perenne battaglia tra di loro.
Già la nascita di Xiangyang nel 1967, in un cortile abbellito da girasoli vangoghiani, possiede le stigmate dell'arte, così come i suoi primi passi verso cartoncini e pennelli.
Nove anni dopo ritroviamo il ragazzino intento in giochi e schiamazzi da cortile, cresciuto senza la guida del padre, nel frattempo internato in un campo di rieducazione dove le sue velleità artistiche saranno soffocate con la forza e la violenza fisica. Il ragazzo non conosce il padre e il suo ritorno a casa sarà vissuto come una intrusione; d'altra parte Gengnian, il padre, getterà su di lui tutte le sue aspirazioni artistiche frustrate, imponendogli lo studio del disegno e della pittura.
La ribellione dell'ormai giovanotto, dieci anni dopo, pervaso dall'amore per una bella fanciulla e dall'estro artistico un po' scapigliato, verrà spezzata dal padre che non intende minimamente recedere dal suo ruolo di giuida e mentore, anche a costo del crescente odio che il ragazzo sviluppa verso di lui.
Ed infine alle soglie del nuovo millennio, divenuto Xiangyang artista a tempo pieno, la presenza opprimente dei genitori rimane una costante nella vita del giovane, ancora adesso incapace di scrollarsi di dosso completamente la presenza del padre e della madre.
Il finale ricco di simbolismo e carico di commozione porterà tutti i protagonisti, padre e figlio anzitutto, ad una serena accettazione dei ruoli e della realtà.

domenica 21 febbraio 2010

Bubble ( Steven Soderbergh , 2005 )

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Il vuoto desolante è altrove

Una cittadina dell'Ohio post industriale, squallida e uguale a tante altre dell'America provinciale , una fabbrica di bambole dove lavorano i protagonisti di questa storia e soprattutto il vacuo più totalizzante intorno, intorno alle cose e intorno alle persone.
Tutto è grigio, ovvio, banale, scontato, privo di qualsiasi segno di vitalità, rapporti umani compresi , almeno fino a che compare sulla scena Rose una giovane di una antipatia assoluta e che verrà trovata morta. Qualche sussulto lo vedremo, ma è poca cosa nel grigiore e nella desolazione.
Questo il quadro entro cui Soderbergh colloca la sua storia, e sicuramente lo fa con buona efficacia, ma la struttura narrativa è più che carente: nella prima parte si vedono solo i protagonisti mangiare, scambiarsi idee su come sbarcare il lunario, con tanto di sottofondo di denuncia sociale che sa di trito e ritrito; poi il film si incanala in una sorta di thriller quasi psicologico che anima un po' la vicenda, pur non facendola decollare per nulla.
Ma è soprattutto la quasi ostentata descrizione di uno stereotipo americano sempre alle prese con i problemi  economici, figlio delle grandi crisi industriali che risulta poco convincente; d'altronde se il cardine della storia doveva essere la desolazione interiore ed esteriore, lo si poteva fare senza far ricorso a tematiche troppo abusate, in special modo da certa ideologia liberal-americana da salotto.

sabato 20 febbraio 2010

Lebanon ( Samuel Maoz , 2009 )

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La guerra vista dal mirino


Libano 1982, l'invasione israeliana è appena inizata dando vita alla prima guerra del Libano, primo episodio di una lunga serie di efferatezze belliche; il campo di girasoli che riempe lo schermo nel primo fotogramma è drammaticamente illusorio, dopo pochi attimi siamo ingoiati nel ventre di un carroarmato insieme ai membri dell'equipaggio. E' come scendere in un sol attimo agli inferi, in un girone stretto ,angusto, lercio dove regna la paura e il rifiuto per la guerra, dove nessuno sa fare il lavoro per il quale è stato addestrato, dove l'inadeguatezza si tocca con mano come il continuo, viscido gocciolare delle pareti di ferro del tank; sembra quasi una metafora potente del lerciume della guerra, se non fosse che la guerra è la fuori, quasi lontana, toccata solo dal mirino che sa avvicinare molto di più di quanto possano consentire le leggi ottiche.
I quattro sono lontanissimi dagli stereotipi dei guerrieri per professione che popolano gli schermi da decenni : nessuna atteggiamento da esaltati, nessun eroismo , niente della tanto decantata professionalità dell'esercito israeliano, solo paura, terrore e incredulità: mai si erano visti descritti in questo modo dei soldati così lontani dalla guerra e dalla sua follia.
Il mirino rimanda negli occhi istantanee nitide, dolorose, cattura quello che l'occhio di un soldato mitra in spalla non percepirebbe mai: un asino agonizzante dai cui occhi scende una lacrima, un quadro della Madonna che osserva la strage, un manifesto con la Torre Eiffel , immagini affilate e taglenti che sbattono in faccia come in un attimo la normalità diventa emblema della morte.

venerdì 19 febbraio 2010

Green tea ( Zhang Yuan , 2003 )

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La foglie di te e la leggerezza dell'inquietudine


Appartenente al movimento della cosiddetta Sesta Generazione dei cineasti cinesi, Zhang stupisce con questo Green Tea ,un film che forse a molti farà storcere il naso, come spesso avviene per la cinematografia cinese moderna, ma che per altri è autentica e purissima gioia per gli occhi, come dovrebbero essere le arti visive. Stimola fortemente lo sguardo questa storia semplice all'apparenza, descritta con linearità e nobilitata dalla fotografia di Christopher Doyle, una storia che descrive i tormenti sentimentali che si sviluppano nella solitudine e attraverso strade tortuose.
Fang è una giovane studentessa che passa il suo tempo libero dedicandosi agli incontri al buio, in uno di questi incrocia Chen, appena mollato dalla fidanzata ed in evidente crisi amorosa. Nasce un rapporto travagliato, seppur descritto con molta leggerezza e senza isterie, in cui Chen si sente attratto da questa ragazza dall'apparenza dimessa , la quale a sua volta tende e rilascia la corda non mostrando le sue reli intenzioni; si raccontano storie di altri nei loro incontri, storie che hanno del surreale e del drammatico allo stesso tempo, si intuisce quasi che l'amica di cui parla Fang altri non sia che se stessa, accanita bevitrice di te verde di cui sa leggere le foglie come una aruspice sa farlo con le interiora degli uccelli. Quando Chen incontra una pianista da pianobar che somiglia in tutto e per tutto a Fang , solo più disinibita, più femminile e più disponibile, l'affare si complica: da chi è attratto Chen ? dalla dimessa Fang o dalla seducente pianista? è la doppia faccia di una stessa medaglia? sono la stessa persona ? Il finale ci darà una possibile linea di lettura, con l'immancabile  tazza  in cui volteggiano leggere le foglie di te verde a chiudere il film.

Devils on the doorstep ( Jiang Wen , 2000 )

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La guerra tra commedia, dramma ed odio

E' il 1945 ,  un villaggio sperduto tra le montagne della Cina dal nome profetico di Armappesa all'ombra della Grande Muraglia, di lì a poco la guerra avrà fine, una guerra che agli occhi dei contadini del villaggio ha la faccia della banda giapponese che ogni giorno scende al mare dal fortino che sovrasta le case suonando una marcetta militare, tra fanciulli curiosi e caramelle regalate, quasi una quotidiana fiera di paese insomma.
Le cose cambiano drasticamente quando uno sconosciuto bussa alla porta di Ma Dasan e con modi poco amichevoli gli consegna due sacchi con dentro due soldati giapponesi: il contadino dovrà tenerli nascosti per alcuni giorni fino a quando qualcuno tornerà a riprenderli.
Nel villaggio il trambusto è totale e lo diviene ancora di più quando il tempo passa e nessuno viene a ritirare i due. Frenetiche riunioni tra gli uomini del villaggio, interrogatori burla giocati sull'incomprensione linguistica, discussioni senza fine su cosa fare dei due non portano a nulla. Neppure la decisone di disfarsene uccidendoli risolve nulla, visto che lo stesso Ma Dasan, incaricato del compito , all'ultimo desisterà, probabilmente per atto di pietà.
Si decide al fine di mettere in piedi una sorta di pantomima  burlesca con la quale riconsegnare i giapponesi alla loro guarnigione ed ottenere in cambio provviste alimentari.
Il capitano Sakatsuka accetterà lo scambio , il grano arriva nel villaggio, esplode la festa , giapponesi e cinesi assieme, ma all'improvviso qualcuno si ricorda che c'è la guerra e , nonostante il Giappone abbia appena dichiarato la resa, l'ultimo atto militare decretato dal capitano della guarnigione nipponica sarà atroce.

giovedì 18 febbraio 2010

Gemini ( Shinya Tsukamoto , 1999 )

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Tsukamoto fuori dai suoi canoni

Uno Tsukamoto assolutamente irriconoscibile, almeno nella forma, quello che dirige questo thriller: svolgimento quasi canonico, abbandono del cyberpunk e dell'underground dei precedenti lavori, fascinoso ricorso ad un colore elegantissimo e ben maneggiato, tutte impronte stilistiche che finora il regista aveva rigorosamente evitato; anzi fa di più, ambienta il suo thriller ai primi del Novecento, facendo sfoggio di costumi ed ambienti quasi sofisticati.
Nulla toglie però, e questo è un ulteriore merito del regista, al prodotto finito, che se non possiede la dirompente e conturbante forza consueta, rimane pur sempre un film bello e girato magnificamente e che comunque tra le pieghe nasconde furtivamente tutta la capacità visiva di Tsukamoto.
In una bellissima casa immersa in un parco vive Yukio con la moglie Rin e i genitori di lui, annesso alla casa c'è l'ambulatorio dove il giovane svolge la professione medica; sembra un quadro perfetto, se non fosse che Rin sembra soffrire di amnesia legata ad un evento drammatico che le ha sterminato la famiglia e, in rapida successione, i genitori di lui muoiono in maniera a dir poco strana; il colpo definitivo sul tranquillo quadro familiare lo da un intruso dalle fattezze identiche a Yukio che scaraventa quest'ultimo in un pozzo e ne assume l'identità. Questo evento porterà a galla verità celate che si riveleranno di pari passo col crescere della tensione e che troveranno parziale soluzione in un finale che tende a ribaltare tante certezze e nel contempo a lasciare amari interrogativi.

Dog bite dog ( Soi Cheang , 2006 )

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Tanta violenza e un drammone sociale con pretese

Film di estrema violenza raccontata con dovizia di particolari immerso in un substrato da drammone sociale con notevoli pretese antropologiche, e lo si capisce subito, dai primi fotogrammi sbiaditi che mostrano un sottobosco di umanità che si azzuffa in una discarica alla ricerca di rifiuti commestibili.
E dire che il film parte benissimo, primi 10 minuti di sola azione a ritmo blando ma con crescendo, che ci imprimono subito negli occhi l'immagine del killer cambogiano, manovalanza allevata a botte e cazzotti nei recinti, che sin da bambino conosce la moderna interpretazione dell'evoluzionismo darwiniano e che è ben lungi dallo stereotipo del killer professionista perfetto in ogni sua minima mossa.
La polizia HKese brancola alla ricerca del killer che pure era riuscita a catturare e soprattutto vagano come scheggie impazzite i poliziotti alla prese con una profonda crisi di identità: troppe volte sentiamo la frase "noi siamo poliziotti" oppure "Siamo una squadra" che il capo urla ai suoi. Ne rimarranno sul terreno svariati di poliziotti e Wai, il più anarcoide di tutti, mosso da una rabbia violenta e dal rancore verso il padre ritenuto da tutti un bravo collega ma in effetti uomo al soldo della malavita, cercherà di risolvere le cose a modo suo.
La resa dei conti , in perfetto stile ossessivo, Wai la cercherà e la troverà giocando fuori casa, in Cambogia, dove il killer, portandosi dietro una scia di sangue e una fanciulla gravida, ha riparato.

martedì 16 febbraio 2010

Truck ( Kwon Hyeong-jin , 2007 )

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Il camionista, il serial killer e un carico di cadaveri


E' un piacevole thriller dalle forte tinte hitchcockiane ,solo un po' macchiate di sangue, questo Truck , proveniente dalla Corea. Tutta la storia tende a contorcersi intorno a situazioni che lungi dal tentare di risolverla la rendono sempre più ingarbugliata, dando però vita ad un film che fa la sua parte in quanto a tensione.
Cheol-min è un onesto lavoratore, con il faccione simpatico,di indole docile al punto che non sopporta vedere uccidere i maiali e che ha come unico motivo di vita la figlioletta malata di cuore che necessita di un costoso intervento per guarire e non fare la fine della madre morta della stessa malattia. Trovare il denaro diviene per il bravo uomo un ossessione e al tempo stesso l'inizio di una metamorfosi indotta dalla disperazione e dalle casualità. Tenta col gioco d'azzardo dove bellamente imbrogliato da una banda di delinquenti ,che fa capo ad uno psicopatico, che nel frattempo ha ammazzato un po' di gente e non sa come sbarazzarsene.
Cheol-min , mettendo in piedi una sorta di patto col diavolo, verrà incaricato di disfarsi dei cadaveri in cambio del camion che ha appena perso e che rimane l'unica possibilità per trovare il denaro.
Ma si sa che quando la iella ci mette lo zampino, lo fa pesantemente e il poveraccio si ritrova come indesiderato compagno di viaggio un feroce assassino seriale, fuggito dal pullman che lo trasportava in galera ,di cui il camionista scoprirà l'identità in seguito credendolo invece un poliziotto scampato all'incidente.

lunedì 15 febbraio 2010

Il settimo continente ( Michael Haneke , 1989)

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Haneke all'esordio


Cattivissimo e destruente esordio di Michael Haneke, quello che poi sarebbe diventato uno tra i più grandi registi viventi, poeta del marcio e del malvagio che alberga nell'uomo.
L'aspetto più sorprendente di questo lavoro sta nel fatto che Haneke è stato lui sin dall'inizio, sia nelle tematiche che nella scelta tecnica di regia.
Raramente si è visto un autore che sappia sviscerare senza retorica e senza nulla di mediato  il lato oscuro dell'animo umano con una freddezza e una lucidità tali.
Una bella famigliola medio borghese dalle apparenze invidiabili, una di quelle che si direbbe non le manca nulla; la vediamo muoversi nella vita di tutti i giorni, stessi gesti, stessi rituali : la macchina all'autolavaggio, la spesa, il lavoro con l'auto parcheggiata sempre nello stesso punto, il cibo ai pesci nel grande acquario , gli spazzolini da denti ordinati nei tre bicchieri, la sveglia che suona immancabilmente alle 6.... Tutto ci viene offerto con monotona ripetitività, con un certo grigiore privo di sentimento e di vitalità. 
Ma poi la bimba comincia a inventare malattie, la madre scoppia in lacrime inspiegabilmente, qualcosa traballa nella quiete famigliare senza che ci è dato conoscerne i motivi e arriva quindi l'impulso, sognando l'Australia vista nei cartelloni pubblicitari ,falsa destinazione di un viaggio senza ritorno che può essere invece solo verso un continente che non esiste.

Accident ( Soi Cheang , 2009)

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Noir d'autore

Non poteva che esserci lo zampino di Johnny To come produttore in quello che è stato senz'altro uno dei più bei film provenienti da Hong Kong nel 2009. Un thriller dall'ottima fattura che da linfa a questo genere di pellicole , sempre in bilico tra emulazione ed eccessivo sperimentalismo, capace di catturare gli occhi e di regalare momenti di genuina tensione, confezionati con grande capacità tecnica.
The Brain dirige ed organizza un manipolo di killer che hanno messo a punto la tecnica dell'omicidio camuffato da incidente: il film si apre proprio con uno di questi delitti e  solo l'occhio dello spettatore più smailiziato riesce ad intuire da subito che qualcosa di strano c'è nella morte del boss delle triadi. Mostrando un chiarissimo marchio di fabbrica proprio di Johnnie To la scena è splendida, con una armonia di eventi apparentemente casuali calati nella frenetica quotidianità di Hong Kong.
La banda non fallisce un colpo e, ovviamente, il prezzo da pagare per i servigi è notevole; the brain è ossessionato dal sospetto e dal ricordo della giovane moglie morta in un incidente d'auto, ma la sua esistenza è di un rigore monacale e di una professionalità inappuntabile, almeno fino a quando il destino decide di cambiare le carte in tavola, e  un lavoro meticolosamente preparato e riuscito si complica con un incidente nel quale perde la vita uno dei killer.
Nella mente del capo scocca subito la scintilla: è stato un vero incidente? Guardando gli avvenimenti che lo circondano sotto questa ottica si renderà conto che forse non lo è stato o che semplicemente la sua ossessione ha trovato pane per i denti. Tutto cambierà , sia nei rapporti con gli altri della banda , sia nel suo modo di osservare le piccole cose che gli passano vicino e noi stessi ad un certo punto non capiamo più bene ciò che è ossessione e ciò che è realtà.

Plastic City ( Yu Lik-Wai , 2008 )

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Digressione sulla sopravvivenza a forte impatto visivo


"Qui comincia il Brasile" recita un cartello nella foresta dove ha inizio e fine questo film: colpi di fucile, fuga tra gli alberi, un ragazzino giapponese rimasto senza famiglia e un uomo cinese che se ne prende cura. Anni dopo li vediamo a capo di una vasta organizzazione che gestisce il traffico di materiale contraffatto, con sede nel quartiere popolato di immigrati asiatici a San Paolo. Yuda e Kirin , padre putativo il primo e figlio adottivo il secondo, si muovono tra quartieri moderni e favelas della megaolopoli brasiliana con il loro esercito di lavoratori clandestini, fino a quando il vento che cambia fa girare le bandiere dei loro protettori politici e il loro business subisce pesanti colpi a vuoto.
Yuda prima e Kirin poi finiranno in galera, stritolati da un gioco che è diventato troppo pericoloso e che vede nuovi e più agguerriti protagonisti. La caduta è inesorabile, lenta dapprima , a picco poi e porterà a galla stati d'animo e situazioni nuove: Kirin capisce di non essere adeguato al mondo  della malavita cui ormai è ineluttabilmente legato da doppio filo, Yuda prende dolorosamente atto del suo tramonto e della sua sconfitta.
Il finale li vedrà nuovamente nella giungla, proprio dove tutto era iniziato tanti anni prima e dove tutto doveva necessariamente finire. Misticismo, spiritualità e religione animano un epilogo che in certi tratti zoppica un po', senza peraltro nulla togliere alla forza di questo film.

domenica 14 febbraio 2010

A history of violence (David Cronenberg , 2005)

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La violenza è ovunque , basta portarla a galla

David Cronenberg è regista duro, diretto che usa la forza delle immagini in maniera secca , senza interposizioni e mediazioni sia quando  racconta le mutazioni corporeee che quelle dell'anima: in History of violence non viene meno al suo stile e costruisce un film drammatico fino all'inverosimile, nel senso non catalogativo del termine, bensì nell'essenza stessa del dramma. Anzi a ben guardare potrebbe essere definito un thriller classico questo lavoro, se non fosse che l'aspetto narrativo dominante non è certo la storia ad alta tensione che si svuluppa, ma la descrizione di una violenza geneticamente determinata e che appartiene ineluttabilmente a tutti.
La lunga scena iniziale, vissuta come una sorta di incubo, è in perfetto stile tarantiniano e fa da prologio ideale alla storia di una famiglia come tante della provincia americana: un padre gestore di un bar, una mdre avvocato, un figlio maschio adolescente e una figlia bambina; quasi il perfetto sogno sogno americano fatto realtà, un american style life fatta di armonia e benessere, su cui tutto scivola senza lasciare tracce.
L'improvviso impatto con una realtà anch'essa molto americana fatta di delinquenti che rapinano il bar di Tom finendo con l'essere uccisi dalla sua reazione e la altrettanto improvvisa notorietà che l'uomo acquisisce nella città grazie al suo gesto eroico, hanno il potere di fare deragliare il film e tutte le esistenze, portando da una serie di eventi che connotano una storia fatta di violenza ancestrale.
Tom in realtà , molti anni prima era un altro: un killer violento e spietato che mal si sovrappone alla faccia pulita di Viggo Mortensen, ma che dei gangster venuti da Filadelfia fanno tornare a galla in un modo che nessuno, neppure lo stesso Tom, può nascondere; ha lasciato troppi conti in sospeso con la vecchia vita ed ora è giunto il momento di saldarli.

venerdì 12 febbraio 2010

Yi Yi - e uno...e due... (Edward Yang, 2000)

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Tre ore di grandissimo cinema


Non ingannino le quasi 3 ore di durata del film: Yi Yi è un grande film, di quelli che vorresti quasi non finissero mai, per cui anche una durata che lecitamente può apparire esagerata, di fatto non lo è assolutamente.
Sono tre ore che scorrono via in un lampo, nonostante il ritmo del film sia decisamente blando, ma in questa lentezza non c'è nulla di artificioso , di prolisso o di vacuo: è semplicemente una continua e profondissima riflessione sulla quotidianità della vita, quella che scorre tutti i giorni sotto le nostre mani e i nostri piedi.
Le vicende narrate sono imperniate su una famiglia medio borghese di Taipei, una famiglia in cui si possono rispecchiare una molitudine di persone : il padre, dirigente di una azienda in crisi, ancora impregnato di una certa etica del lavoro e di onestà ,in contrapposizione ad un ambiente lavorativo becero e cinico, una madre in profonda crisi esistenziale, avvolta da una aridità interiore che la spinge alla religione, una figlia adolescente alle prese con le prime illusioni d'amore e con un doloroso senso di incomunicabilità, una nonna in stato comatoso che diviene una sorta di confessionale privato per tutti i membri della famiglia ed un ragazzino di 8 anni, autentico perno della storia che racchiude nel suo candore la risposta a tanti malanni; intorno a loro ruotano personaggi vicini alla famiglia, una ex fiamma della giovinezza del padre che si ripresenta con una casualità devastante e , soprattutto, un imprenditore giapponese, candidato ad entrare in affari con il capo famiglia, che ci dona dei momenti splendidi nei dialoghi con quest'ultimo e in una improbabile , quanto stupenda  interpretazione della Sonata "Al chiaro di luna" di Beethoven eseguita niente meno che in un night club.

giovedì 11 febbraio 2010

Infernal affairs ( Andrew Lau , Alan Mak , 2002 )

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Identità smarrite e ritrovate

Sta tutto nel solco del grande cinema noir HKese tracciato da John Woo prima e da Johnny To poi questo film firmato dalla coppia Lau-Mak: la infinita guerra tra triadi e polizia stavolta si gioca a colpi di infiltrati e di colpi bassi in una Hong Kong affascinante, sfarzosa , patinata (forse anche troppo), fotografata con una bravura tecnica impressionante.
I boss reclutano giovanotti da infiltrare nella polizia attraverso l'accademia, istruendoli quasi come  potrebbe fare un sergente dei Marines; la polizia risponde con la talpa di cui nessuno conosce l'esistenza se non l'unico adibito a mantenere il contatto.
Yan e Ming, poliziotto vero uno , infiltrato della mafia l'altro ,sembrano proprio le due facce di una stessa medaglia che giacciono però su due barricate diverse, svolgono il loro lavoro egregiamente al servizio del boss  e del sovrintendente Wong; è la solita vita segnata , ingessata, dalla quale non è possibile liberarsi.
Quando il sospetto serpeggerà da entrambe le parti, i due si troveranno ancora sulla stessa barca decisi a difendere il proprio ruolo e la vita agendo con scaltrezza spinti dalla forza della disperazione.
Yan perderà il contatto che per lui vale più della sua vita, essendo il depositario della sua identità e pensando di avere di fronte l'unica sua salvezza, finirà nelle spire di Ming, il finto poliziotto, che vuoi per ambizione , vuoi forse per un rigurgito di dignità e di libero arbitrio sembra volere saltare il fosso e tornare al suo ruolo di poliziotto vero. Ma l'affare è infernale, appunto. Un piccolo, insignificante particolare che scoprirà Yan svelerà ai suoi occhi e, di conseguenza a quelli di Ming , che la via ormai è stata tracciata ed abbandonarla sarà impossibile.

martedì 9 febbraio 2010

Il boss ( Fernando Di Leo , 1973 )

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Rivisitazioni cinematografiche

Mafia, politici e poliziotti corrotti

Ultimo episodio della trilogia del milieu di Fernando Di Leo, film che, grazie al contributo di alcuni importanti cineasti che gli hanno decretato citazioni a josa, hanno subito una meritatissima rivalutazione, Il boss si distingue dagli altri due per una maggior impronta sociale e politica, cosa che gli ha procurato non pochi problemi all'epoca della proiezione nei cinema, inserita in un contesto di noir crudo.
Lanzetta è un sicario efficente e spietato al soldo del boss Don Giuseppe,  cui viene affidato il compito di sterminare una famiglia  avversaria radunata in un cinema per una prurigionsa proiezione di un film porno.
I sopravvissuti alla strage ovviamente cercheranno vendetta e rapiranno la figlia di Don Giuseppe, ragazza ribelle e disinibita che ben accetta la ripassata che le da tutta la banda al completo, durante la prigionia.
In un avvincente e incalzante incedere fatto di vendette continue, tradimenti, controtradimenti, iniziative di politici e poliziotti corrotti, colpi di scena che in un attimo ribaltano certezze acquisite, si arriva alla finale resa dei conti in cui il tradimento e la lotta per il potere spadroneggeranno, lasciando alcune porte aperte ad un possibile sequel che mai arriverà.
Una Palermo tutt'altro che luminosa ed assolata fa da palcoscenico alle guerre tra mafiosi in cui stavolta Di Leo inserisce pesantemente politici e poliziotti corrotti ,che di fatto appaiono come i veri manovratori delle fila, connotando il film quasi come una pellicola di denuncia.

Spring subway ( Zhang Yibai , 2002 )

*****Tormenti d'amore in una Pechino "occidentale"

E' questo il film d'esordio dei Zhang Yibai, uno dei registi più validi ed innovativi della moderna cinematografia cinese, con fortunati trascorsi nella TV e nella pubblicità (e si vedono tutti).
La critica ha accolto con grandissimo favore l'esordio, gridando quasi al miracolo, così come non sono mancate le schiere di detrattori, che accusano il regista di portarsi dietro la sua impronta da videoclip.
Il film comunque è bello , seppur con qualche difetto e mostra come la tendenza di Zhang a leggere la realtà sotto varie spigolature sia una caratteristica ben dominante sin dal suo primo lavoro.
Jian Bin e Xiao Shui sono una giovane coppia che giunge a Pechino e che sette anni dopo si trova ad affrontare in maniera sommessa, silenziosa e dolorosa una crisi che appare da un lato incomprensibile e dall'altro senza via d'uscita. Lui viene anche licenziato e passerà il suo tempo a vagare per la metropolitana della megalopoli, senza avere il coraggio di informare la moglie dell'evento. Sotto ai suoi occhi passano storie di tutti i giorni di piccoli e grandi amori, di delusioni amorose, di dolori insanabili, lei invece arriva vicina al tradimento dettato da una sorta di ricerca vitale che sente come bisogno primario.
Intorno a loro ruotano altre storie, come detto, che fungono da satelliti e che fugacemente incrociano le loro orbite.
Il malessere derivato da una profonda incomunicabilità  e da un pudore emozionale tracciano il film tra frequenti salti fatti di frasi dette, parole non dette e solo pensate, domande senza risposta, discorsi solo immaginati o sognati, al punto che possiamo solo immaginare il vero significato di un finale aperto a molte soluzioni di interpetazione.

Curiosity kills the cat ( Zhang Yibai , 2006 )

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Storia torbida nella Cina ricca e moderna


Una bella storia plurisfaccettata è quella che racconta Zhang Yibai, con pochi eventi tra loro concatenati  visti e scrutati da varie angolazioni, ognuna delle quali  con una impronta individuale dietro la quale si celano tensioni emotive e sociali.
Il tutto a prima vista può sembrare il classico triangolo amoroso piuttosto torbido con varianti impazzite che si inseriscono nel racconto: John è sposato con Rose, figlia del suo datore di lavoro e con la passione per la coltivazione delle rose, sono ricchi e vivono in una sontuosa casa; John ha un'amante , Sharon, che utilizza i soldi  ricevuti da lui a mo' di liquidazione per la fine del rapporto per comprarsi un negozio attiguo al condominio di lusso dove abita l'amante, ben intenzionata a perpetuare, con le buone o con le cattive , la relazione.
Momo è una giovane fotografa che passa il tempo a scrutare e imprimere su pellicola la realtà , soprattutto quella nascosta , che la circonda ed infine Liu Fendou è un'addetto alla sicurezza del condominio in cui abitano John e Rose, che neppure troppo a caso, si ritrova coinvolto nei torbidi eventi.
Tutto ciò viene raccontato sotto varie ottiche , che sono quelle dei protagonisti, che si incrociano nello spazio e nel tempo e che denotano l'approccio personale all'ingarbugliata storia: c'è la curosità quasi maniacale di Momo , dalla quale nasce tutto, c'è la voglia di emancipazione di Sharon che non si ferma di fronte a nulla, c'è la rivalsa sociale e l'avidità di Liu Fendou, pesantemente condita da una morbosa attrazione per Rose, che a sua volta, pur apparendo la più inquadrata di tutti è alla fine la vera burattinaia di questa tragedia a forti tinte sensuali.

sabato 6 febbraio 2010

Alexandra ( Alexandr Sokurov , 2006 )

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Poesia purissima e grandiosa


Alexandr Sokurov, uno tra i più grandi registi viventi,  mostrando la sua straordinaria sensibilità , dirige questo splendido film su una delle spine nel fianco della recente storia russa: la guerra in Cecenia; e lo fa senza mostrare nulla della guerra in senso stretto, ma colpendo in pieno petto per il suo messaggio antimilitarista e per la dolorosa descrizione dell'esistenza di chi in questa guerra ha messo in gioco tutto ciò che aveva.
Vedere Alexandra (una grandiosa Galina Vishnevskaya, grande cantate lirica russa e moglie di Rostropovic) girare per il campo militare presso cui è di stanza Denis ,il nipote che non vede da sette anni, ufficiale dell'esercito russo nella Cecenia, con la sua austerità e bonarietà da grande matriarca è una immagine che commuove e che lascia riflettere sul senso della guerra e di tante esistenze che con essa sono mutate radicalmente.
Alexandra viene vista da tutti i giovani soldati come la madre, la nonna che hanno lasciato a casa, su di lei si posano gli occhi di tanti militari sporchi di terra che vorrebbero attraverso lei poter sentire il calore della famiglia e della loro casa.
Dall'altra parte della barricata c'è un mercato tra macerie e rovine dove la donna conosce una cecena , la cui famiglia è stata decimata dalla guerra, l'incontro lungi dal portare a galla il rancore e l'odio, mette di fronte due donne sole, stanche che vivono il dramma della guerra su fronti diversi, ma che sentono e assaporano le stesse cose. La guerra non fa sconti nè a chi occupa nè a chi si ribella.

A better tomorrow ( John Woo , 1986 )

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Rivisitazioni Cinematografiche

Parole scolpite nella pietra

"Non c'è posto tra gli onesti per gente come noi" : questa frase pronunciata  da Mark all'amico Ho è la base , scolpita nella pietra, della filosofia filmica di John Woo e di tanta larga parte del cinema di Hong Kong, è il primum movens che rende A better tomorrow un film fondamentale nella storia del cinema, proseguendo sulla linea di Packinpah e Melville e proiettandosi fino ai nostri giorni con Tarantino , passando per Johnnie To; pochi film hanno avuto un' influenza così vasta sul cinema , ergendosi a manifesto del noir metropolitano tinto di eccessi e di iperrealismo.
La storia vede Mark e Ho, amici per la pelle e provetti killer, cadere in disgrazia in seguito ad una trappola tesa; l'uno rimarrà invalido ad una gamba, l'altro conoscerà la galera per tre anni ed una volta uscito , avrà solo voglia di iniziare una nuova vita, anche per riacquistare la fiducia del fratello, divenuto poliziotto nel frattempo. Il percorso di Ho sarà difficile con l'illusoria speranza di farcela, ma quando sia lui che Mark verrano nuovamente coinvolti dalla vecchia banda, dove ormai regnano i traditori, e anche Kit , fratello di Ho, si troverà invischiato nella faida, giungerà il doloroso ed inevitabile redde rationem.. A quel punto la scelta sarà obbligata: difendersi sarà possibile solo ad armi pari , tornando ad impugnare pistole e mitragliette; per Ho sarà la sconfitta della sua scelta di vita, per Mark sarà la conferma di quanto ha sempre pensato: la loro vita non può che essere quella, senza via d'uscita, uniti solo da quell'amicizia virile e da quel senso dell'onore che solo superifcialmente danno un senso diverso alla loro esistenza.

venerdì 5 febbraio 2010

The bird people in China ( Takashi Miike , 1998 )

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Miike ambientalista e spirituale


"Nella mia vita devo aver sognato almeno diecimila volte, ma mai ho sognato di volare" . Nessuno scommetterebbe un centesimo sul fatto che questa frase apre un film di Takashi Miike con ampi squarci di delicatezza e persino di poesia: sarebbe come scommettere di vedere spuntare la coda del diavolo da dentro un acquasantiera. E invece è proprio così, Miike dirige un film assolutamente atipico per i suoi canoni abituali, improntato ad un ambientalismo e ad un tocco paesaggistico assolutamente sorprendenti.
Wada viene inviato dalla compagnia giapponese per cui lavora in una sperduta regione della Cina alla ricerca di una miniera di giada. Qui trovera Shen, la sua guida e, suo malgrado, Ujiie ,mandato dalla mafia giapponese a pedinarlo, onde accertarsi che la miniera di giada possa diventare fonte di guadagno per la compagnia pesantemente indebitata con la Yakuza.
Il viaggio si rivelerà piuttosto avventuroso , tra fiumi in piena e vallate invase dalla nebbia, ma quando il villaggio verrà raggiunto, lo splendore incontaminato e la semplicità del luogo colpirà duramente i  due "cittadini"; nel villaggio inoltre si tramanda una sorta di leggenda secondo la quale esiste una scuola per imparare a volare, gestita da una giovane che la ha ereditata dal nonno, aviatore della Raf, precipitato nelle vicinanze molti anni prima e lì stabilitosi.

Kairo ( Kiyoshi Kurosawa , 2001)

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La solitudine dopo la morte


E' un film frammentato come pochi Kairo, di quelli che sgusciano e scappano via , al punto che risulta difficile accennarne una trama: se ciò in parte deriva da una sceneggiatura non certo perfetta, è anche vero che il regista giapponese ci ha ormai abituato a lavori di questo tipo, spesso tremendamente e fascinosamente criptici e oscuri.
Taguchi lavora in un vivaio, e quando dopo una settimana di assenza sembrano perse le sue tracce, le colleghe di lavoro decidono di cercarlo, lo trovano in casa e lui le accoglie impiccandosi. Tra i documenti informatici del ragazzo Michi trova un floppy all'interno del quale scorrono delle strane e angoscianti immagini che spingono Yabe a indagare: tutto sembra ruotare intorno ad un sito web nel quale appaiono immagini di fantasmi.
Si volta pagina e si scopre come anche lo studente Kawashima entra casualmente in questo sito: allarmato chiede consiglio ad una esperta di informatica , Harue. Nel frattempo le sparizioni e le morti misteriose aumentano e sempre più incombente diventa la presenza di fantasmi legati agli eventi.
Il finale apocalittico, che risolleva anche le sorti del film, è in linea con la teorizzazione strisciante nel film: i fantasmi si diffondono dall'aldilà , ormai saturo e lo fanno attraverso la falla tecnologica aperta dall'uso massiccio di internet.

Dogville ( Lars Von Trier , 2003 )

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Sembra il Monopoli , ma è Dogville


Una veduta dall'alto di Dogville, minuscolo villaggio ai piedi delle Montagne Rocciose, apre il film e ti trovi di fronte ad un tabellone di un gioco da tavola stile Monopoli: case , vie e giardini sono solo delle striscie bianche perimetrali sul fondo nero; indubbiamente un approccio sorprendente: niente scenografie, attori che vagano su una sorta di palcoscenico teatrale parcellizzato e con arredi nulli o quasi ed una voce narrante onnipresente che descrive ciò che non si vede ma che dobbiamo sapere e che si erge a faro nella nebbia.
E' così che Lars Von Trier , il più dissacrante tra i registi, ci immerge nella sua storia ambientata negli anni della grande depressione americana; il Dogma sembra alle spalle, ma non dimenticato, semmai evoluto nella sua essenzialità: voler fondere teatro e cinema in un unicum è operazione che solo un tipo alla Von Trier poteve mettere in piedi, assolutamente libero da vincoli canonici classici cinematografici.
A Dogville, in piena notte, giunge Grace bella e giovane ragazza misteriosamente inseguita da alcuni gangster : Tom, una sorta di filosofo  esistenzialista nonchè membro più autorevole della comunità, la sottrae nascondendola ai malviventi, la presenta alla ristretta popolazione che si prende  due settimane 2 di tempo per decidere se accettarla o meno; secondo Tom è una prova per mettere in luce la capacità di accettazione della comunità intera; dal canto suo Grace si renderà utile al villaggio aiutando le varie famiglie.
Passate le due settimane la ragazza sarà accettata e l'integrazione sembra filare via liscia almeno fino a quando la polizia non la accuserà di essere una rapinatrice affiggendo la sua foto con tanto di "wanted".

mercoledì 3 febbraio 2010

Nymph ( Pen-Ek Ratanaruang , 2009 )

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La ninfa e la foresta


Un incredibile , surreale, magico iniziale piano sequenza di quasi 10 minuti che ci immerge in una foresta, apre l'ultimo lavoro del regista thailandese ed è senz'altro uno dei momenti più belli del film : il mistero e la vita che pullulano tra gli alberi , nella penombra , i suoni , le luci, la violenza e la morte concorrono tutte a creare un clima che per tutto il film incombe, un'atmosfera ricca di ermetismo , di spiritualità, abitata da entità discrete, appena sfocate.
In questa foresta si immergono Nop e May , marito e moglie in evidente crisi di comunicabilità, lacerati da tradimenti e da una lontananza troppo pesante.
Nop sparisce , May lo cerca , non lo trova e torna a casa in attesa di avere sue notizie; con grande sorpresa scoprirà il giorno dopo che il marito è tornato a casa, presentando comportamenti strani; sentendosi di nuovo vicina al marito, troncherà la storia clandestina col suo collega di lavoro anche se Nop ne verrà comunque, misteriosamente , a conoscenza.
Il finale serba qualche sussulto di sorpresa e un tentativo di spiegare gli eventi, sui quali si staglia prepotente e fugace la figura di una giovane donna, moderna ninfa che abita la foresta.
E' difficile mettere gli steccati a questo film: non è certo un horror, nonostante la struttra spinga in quella direzione, non è certo un fantasy come sciaguratamente qualcuno lo ha classificato, potremmo definirlo un thriller psicologico ma con la certezza che l'orizzonte di Ratanaruang è troppo ampio per essere racchiuso in una catalogazione fredda.

martedì 2 febbraio 2010

Paris , je t'aime (Registi Vari , 2005)

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Parigi, i suoi quartieri e l'amore

L'esperimento , ardito a dire il vero, può dirsi riuscito: mettere insieme una ventina di registi europei e non , dare loro 5-6 minuti per descrivere Parigi "citta dell'amore" , ambientando le loro storie in quartieri diversi che danno il titolo al corto.
Non era facile uscire dagli schemi paesaggistici-turistici e dall'abusato concetto di Parigi  spettatrice di amori impossibili e passionali, ma gli episodi, quasi tutti, hanno schivato questa doppia trappola.
Inoltre abbiamo anche avuto il privilegio di assistere i fratelli Coen per la prima volta all'opera in un corto, raccontando una storia come al solito estrema , ambientata dentro la stazione delle Tuileries, in cui uno stralunato Steve Buscemi non dice una parola ma in compenso, nell'ordine e in rapida successione, incrocia lo sguardo di una giovane intenta in effusioni amorose con l'esuberante fidanzato, si becca una valanga di insulti poi un bacio in bocca (con la lingua) dalla ragazza, un po' di cazzotti e si ritrova sommerso di souvenir del Louvre che aveva appena acquistato.
Gli altri episodi ondeggiano tra il melo spinto di Iasabel Coixet (Bastille) all'insinuante e ammiccante Le Marais di Gus Van Sant , dal dovuto omaggio di Christopher Doyle a Chinatown ( Porte de Choisy) all'onirico Place des victoires di Nobuhiro Suwa, dal divertente, tenero e giocoso Parc Monceau di Alfonso Cuaron girato in un unico piano sequenza al drammatico e commovente Place des fetes di Olver Schmitz, per finire al Quartier Latin in cui un Depardieu regista e attore si cimenta con la coppia Gazzarra-Rowlands, coniugi in fase di di separazione ma ancora molto complici.

Ran ( Akira Kurosawa , 1985 )

 

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La tragedia della stupidità umana

Non sarà dal punto di vista artistico- storico assoluto l'opera più importante di Kurosawa , essendo Rashomon e I sette samurai universalmente riconosciuti come i più grandi capolavori del Maestro , ma Ran , sotto certi aspetti, raggiunge livelli di poesia e tragicità, oltre che di impatto visivo, unici.
Mettendo in scena una versione nipponica ambientata nel XVI secolo del Re Lear, Kurosawa compie un capolavoro di adattamento di una pagina di letteratura europea classica secondo i canoni del giappone feudale , parlando però della condizione universale umana.
La tragica figura di Hidetora signore temibile e patriarca di una importante famiglia padrona di vasti feudi che  dalla sua condizione di despota assoluto si ritrova a  quella di pazzo nomade e senza casa, passando attraverso  gli oltraggi dei figli e il rimorso per le angherie compiute che ritornano ai suoi occhi, fa da traccia per tutto il film. L'armonia che regna nel casato è disintegrata in pochi momenti allorquando Hidetora decide di dividere il regno tra i tre figli: da questo momento le pulsioni più violente, l'anelito al potere , la meschinità e il tradimento, l'omicidio , la feroce vendetta irrompono nella storia conducendo tutti i personaggi verso un inevitabile baratro.
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