Spazi immensi e dilatazione del tempo intrisi di nostalgia
Per chi riesce a giungere al finale di questo film, troverà le risposte sul senso del lavoro di Tsai, apparentemente molto ostico così privato come è di dialoghi e così dilatato nel tempo, quasi immobile.
Indubbiamente non è un film facile, sembra estenuarti con quelle riprese ferme ma da ognuna di esse trasuda la poetica del regista che appartiene di diritto a quel gruppo di cineasti che si ama o si odia , senza vie di mezzo.
Quello che un tempo era un cinema frequentatissimo è giunto all'ultimo giorno di apertura, poi finirà inghiottito da qualche centro commerciale o megastore, la sala è semivuota e ritrovo di personaggi in cerca di effimeri incontri, ma qualcosa sembra animarlo: fantasmi che sembrano usciti direttamente dallo schermo e che passano il tempo a fumare nei corridoi, due vecchi attori del film in proiezione che tornano a vederlo per l'ultima volta (Dragon Inn appunto, film del 1966), una cassiera tuttofare che, col suo incedere claudicante ritmato dal metallo della protesi, passa in rassegna i vari spazi del locale e un proiezionista che non vedremo mai , se non alla fine . Tutto sembra galleggiare in un clima di abbandono, di tristezza e di rimembranza dei tempi in cui il cinema era il luogo dei sogni e della magia, i personaggi vagano come entità autonome , isolate , incapaci di trovare alcun contatto anche solo emozionale.
Il film finisce , la sala si svuota e la vediamo inquadrata per due lunghissimi minuti , deserta con le sedie rosse e tutto ciò suona come un urlo lacerante di addio; i due attori si riconoscono nella hall e con serena tristezza si ripetono che "...nessuno si ricorda di noi...": la cassiera chiude e se ne va , il proiezionista sale in sella alla moto e fugge via, la pioggia scende imlpacabile e sulle immagini della ragazza claudicante che si allontana, parte una vecchia canzone degli anni sessanta che funge da chiosa e che racconta molto di questo film.
Tsai narra questa storia, a suo modo struggente, dilatando fino ad estenuare i tempi, fissa le immagini per lunghissimi attimi, ambienta il tutto su una scena derelitta e cadente come i soffitti che lasciano passare l'acqua e soprattutto trasforma la nostalgia in una sorta di pessimismo cosmico difficile da sostenere. Certo è anche un grandissimo omaggio al Cinema, a quello fatto di sale fumose, di popcorn e gelati e di tutta quella umanità che lo abitava, un cinema più casareccio, meno massificato, che aveva fortissimo il senso del mito e del sogno.
Ma è anche uno sguardo sulla solitudine, sulla incomunicabilità, sul vagare meccanicamente alla ricerca di qualcuno che porga una spalla o una mano. E' insomma un film sulla nostalgia e sul non compiuto, sul trascorrere del tempo che passa lasciando tracce indelebili e cancellandone tante altre.
Tsai ricorre ai lunghissimi piano sequenza, in cui i personaggi sono minime parti dello spazio che riesce a dilatare fino all'inverosimile, anche quando a prima vista può apparire angusto, trasforma le inquadrature in immagini statiche , quasi fossero quadri, ma che leggendole con occhio attento possiedono una loro forza di impatto, costruisce , insomma, un film che potrebbe venir definito con molta superficialità "lento", quando invece è semplicemente cinema che colpisce e pizzica le corde dei sentimenti .
Quello che un tempo era un cinema frequentatissimo è giunto all'ultimo giorno di apertura, poi finirà inghiottito da qualche centro commerciale o megastore, la sala è semivuota e ritrovo di personaggi in cerca di effimeri incontri, ma qualcosa sembra animarlo: fantasmi che sembrano usciti direttamente dallo schermo e che passano il tempo a fumare nei corridoi, due vecchi attori del film in proiezione che tornano a vederlo per l'ultima volta (Dragon Inn appunto, film del 1966), una cassiera tuttofare che, col suo incedere claudicante ritmato dal metallo della protesi, passa in rassegna i vari spazi del locale e un proiezionista che non vedremo mai , se non alla fine . Tutto sembra galleggiare in un clima di abbandono, di tristezza e di rimembranza dei tempi in cui il cinema era il luogo dei sogni e della magia, i personaggi vagano come entità autonome , isolate , incapaci di trovare alcun contatto anche solo emozionale.
Il film finisce , la sala si svuota e la vediamo inquadrata per due lunghissimi minuti , deserta con le sedie rosse e tutto ciò suona come un urlo lacerante di addio; i due attori si riconoscono nella hall e con serena tristezza si ripetono che "...nessuno si ricorda di noi...": la cassiera chiude e se ne va , il proiezionista sale in sella alla moto e fugge via, la pioggia scende imlpacabile e sulle immagini della ragazza claudicante che si allontana, parte una vecchia canzone degli anni sessanta che funge da chiosa e che racconta molto di questo film.
Tsai narra questa storia, a suo modo struggente, dilatando fino ad estenuare i tempi, fissa le immagini per lunghissimi attimi, ambienta il tutto su una scena derelitta e cadente come i soffitti che lasciano passare l'acqua e soprattutto trasforma la nostalgia in una sorta di pessimismo cosmico difficile da sostenere. Certo è anche un grandissimo omaggio al Cinema, a quello fatto di sale fumose, di popcorn e gelati e di tutta quella umanità che lo abitava, un cinema più casareccio, meno massificato, che aveva fortissimo il senso del mito e del sogno.
Ma è anche uno sguardo sulla solitudine, sulla incomunicabilità, sul vagare meccanicamente alla ricerca di qualcuno che porga una spalla o una mano. E' insomma un film sulla nostalgia e sul non compiuto, sul trascorrere del tempo che passa lasciando tracce indelebili e cancellandone tante altre.
Tsai ricorre ai lunghissimi piano sequenza, in cui i personaggi sono minime parti dello spazio che riesce a dilatare fino all'inverosimile, anche quando a prima vista può apparire angusto, trasforma le inquadrature in immagini statiche , quasi fossero quadri, ma che leggendole con occhio attento possiedono una loro forza di impatto, costruisce , insomma, un film che potrebbe venir definito con molta superficialità "lento", quando invece è semplicemente cinema che colpisce e pizzica le corde dei sentimenti .
Film magnifico, ovattato, avvolgente, ipnotico. Ricordo che lo vidi in sala (nella rassegna di qualche festival) e quando terminò mi dispiacque abbandonare quell'atmosfera in cui mi ero immerso. Naturalmente, oltre metà degli altri spettatori avevano invece già abbandonato la sala a metà pellicola... ;-(
RispondiEliminaTrovo poi azzeccata la scelta del vecchio e storico wuxiapian "Dragon Inn" come simbolo di un cinema che fisicamente non c'è più, visto che anche in quel film i personaggi erano legati a un luogo (la locanda) dal quale non potevano fuggire e dove il tempo sembrava dilatarsi e lo spazio restringersi (forse più nel remake di Tsui Hark, a dire il vero).
Vero Christian, tutto sembra casuale in questo film , ma non lo è, compresa la scelta del film in proiezione. Vero che Tsai possiede una notevole universalità di linguaggio, ma in questo caso credo proprio che il suo occhio fosse posato sul Cinema , inteso come mondo a sè stante.
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