venerdì 26 febbraio 2010

Diciassette anni ( Zhang Yuan , 1999 )

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Tragedia neorealista

"Guarda come ci siamo ridotti per 5 miseri yuan" , questa la frase  che viene prononciata dal padre a compendio finale di un dramma familiare iniziato diciassette anni prima e che trova la sua mesta conclusione sotto gli occhi di una poliziotta e nel mezzo di una cambiamento epocale che stravolge la Cina.
Tao Xiaolan e Yu Xiaoqin sono due ragazze , diversissime una dall'altra, figlie di genitori diversi, che vivono rispettivamente con la madre e con il padre divorziati e risposatisi tra loro: la famglia atipica vive in un clima in cui i genitori si insultano, le due si detestano amorevolmente, troppo diverse tra di loro, animate da ideali e sogni antitetici; da una banale disputa insorta per la scomparsa di cinque yuan, Tao uccide con una bastonata la sorellastra e finisce in carcere per diciassette anni. La ritroviamo in procinto di godere di un permesso premio per la buona condotta avuta in carcere che le permetterà di trascorrere il capodanno in famiglia.
L'uscita dal carcere sarà di un impatto drammatico e durissimo: nessuno ad attenderla, la città che è cambiata totalmente, le macchine che sfrecciano, lei che vaga atterrita ed inebetita. In suo soccorso verrà un capitano della polizia penitenziaria che se la prende in carico per accompagnarla a casa; il quartiere fatiscente dove viveva, ma che conservava forse ancora un po' di calore umano oltre che i ricordi della sua giovinezza, è stato raso al suolo in favore di moderne costruzioni, tutte uguali, in una delle quali vive ora la madre e il patrigno.

L'arrivo della ragazza a casa è una delle scene più drammatiche e cariche di pathos del film, con i genitori che sembrano ignorarla, quasi temendola. Sotto l'occhio della poliziotta, vero catalizzatore di tutta la storia, lentamente arriva il ricongiungimento fra i tre che, lungi dall'offrirci un finale ottimista, carica il film di rassegnazione, tristezza e dolore.
Pur nel suo ampio respiro, la storia rimane ad impronta intimistica-familiare, raccontando gli esiti devastanti che possono avere alcune dinamiche chiuse nel cerchio ristretto della famiglia; ma il terrore che pervade Tao all'uscita del carcere non ha solo i connotati del disagio personale di chi entra in galera adolescente e ne esce donna, è anche il contorno, l'ambiente che circonda l'esperienza umana, ad essere mutato fortemente, avviato in modo irreversibile al cambiamento. La paura di Tao diventa così l'emblema della paura di un intero popolo proiettato verso modelli di vita nuovi cui pochi sono preparati.
La mano di Zhang è molto abile nel fondere tematiche universali , aspetti sociali e intimismo, sempre con un grandissimo senso neorealista, fondato su una regia assloutamente asettica, fatta di lunghi piani sequenza, attenta ai gesti più piccoli e agli sguardi appena accennati che però spiegano tutto quello che il film non ci fa vedere: il dolore e l'annientamento del padre, la paura della madre, lo sbigottimento lacerante di Tao.
E' indubbiamente un film che emana odori e colori da tragedia quasi epica, in cui l'accettazione del dramma passa per una lunga serie di sofferenze, fino a sfociare in una pacificazione dell'anima che non porta felicità ma solo rassegnazione.




1 commento:

  1. Lo ricordo con piacere, un film semplice ma efficace e che riesce bene a comunicare con lo spettatore.

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