Megalopolis è il viaggio visionario di un regista entrato ormai nel mito del Cinema che all’età di 85 anni , e dopo una gestazione durata decenni, riesce finalmente a gettare sullo schermo tutta la sua forza visionaria nella creazione di una opera che è un po’ il suo ultimo “all-in” che esplora le crepe del tempo moderno, proiettandolo e mostrandolo come una reincarnazione dell’impero romano; costruisce una fiaba ( come dichiara apertamente nel sottotitolo del film) dal forte impatto onirico incentrata su un futuro nel quale l’utopia fronteggia la decadenza e la morte per autodistruzione della nostra civiltà, nello stesso modo in cui la sete di potere di pochi portò alla rovina l’Impero romano.
Coppola ha plasmato questa opera colossale come un tributo al potenziale umano, celebrando l'innovazione e la capacità di evolvere verso un'esistenza in armonia con la Terra. Nel cuore della storia vi è il personaggio di Cesar (interpretato da Adam Driver), un ambizioso architetto il cui desiderio di ricostruire una “Nuova Roma” in stile futuristico si scontra con le forze retrograde rappresentate dal sindaco Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito). La dinamica tra progresso e conservazione crea un confronto che affonda le radici nel potere e nella possibilità che l'utopia possa trasformarsi in distopia, soprattutto se accompagnata da ambizioni smisurate.
Megalopoli ha tutti i crismi per entrare di diritto nella galleria in quei film cosiddetti “maledetti” che sono stati prima la croce e poi la delizia di tanti cineasti ( ricordiamo I cancelli del cielo di Cimino o lo stesso C’era una volta in America di Sergio Leone), per il semplice fatto che la reale essenza dell’opera non è apprezzabile alla prima visione ( basti pensare ai fischi alla prima a Cannes…) e probabilmente neanche ad una seconda; forse occorrerà che il mondo arrivi al punto narrato da Coppola per rivalutarne l’impatto, ma sta di fatto che Megalopolis è opera controversa, per molti versi difficile, mastodontica, coerente con il credo cinematografico di un autore che ha sempre tentato di plasmare la materia cinematografica portandola agli estremi.
Sebbene non manchi una chiaro riferimento a Trump e alla sua deriva populista becera enfatizzata nel personaggio di Clodio (un eccellente Shia LaBeouf), cugino invidioso di Cesar oltre che vizioso gaglioffo, cui è riservato un epilogo non proprio simpatico,il film allude continuamente al passato, paragonando l'America moderna all'impero romano.
Questa correlazione storica, utilizzata per riflettere sulla caducità dei grandi imperi, emerge non solo come una critica alle strutture di potere attuali, ma anche come uno spietato avvertimento: persino le civiltà più potenti sono soggette al decadimento. Tuttavia, invece di un giudizio cupo e definitivo, Coppola opta per una narrazione allegorica e fiabesca, densa di colori e scene di festa. Tra balli e momenti di gioiosa espressione, costruisce atmosfere che non si lasciano sopraffare dal peso dei temi trattati, conferendo al film un ritmo vibrante e, in alcuni momenti, quasi onirico.