giovedì 25 febbraio 2021

Summer Blur / 汉南夏日 ( Han Shuai / 韩帅 , 2020 )

 



Giudizio: 8/10

Prodotto da Factory Gate Films e distribuito da Rediance , entrambe etichette garanzia di successo e di qualità,  Summer Blur è l'opera d'esordio nei lungometraggi di Han Shuai, giovane regista cinese che ha avuto la sua prima al Festival di Pingyao  e subito dopo un passaggio a Busan: in entrambi i casi il film ha ottenuto importanti riconoscimenti e premi; con tale pedigree la pellicola approderà alla imminente Berlinale nella sezione Generation.
Il racconto si impernia su un frammento estivo di vita della tredicenne Guo, figlia di quello che è diventato uno dei fenomeni più pesanti della società cinese contemporanea, cioè l'affidamento dei ragazzini e degli adolescenti a nonni, zii e parenti vari da parte dei genitori per andare a cercare fortuna nelle grandi aree urbane; la protagonista infatti vive a Wuhan insieme ad una zia ben poco affettuosa , uno zio apatico e una cuginetta più piccola che ha la ben poco apprezzabile tendenza a bullizzare Guo, contando sulla protezione della famiglia. 



Il padre non si sa dove sia, la madre vive a Shanghai dove si sta creando una nuova famiglia facendo la spola con gli USA e non sa regalare altro alla figlia che promesse di un lusso e di una ricchezza di cui alla ragazzina interessa ben poco; viceversa, e ce lo spiega la metafora forse ovvia ma significativa dell'aereo, Guo sogna di volare via da quel luogo ed iniziare altrove una vita nuova.
Summer Blur è il racconto di una adolescenza vissuta in solitudine, abbandonata a se stessa, nella quale la protagonista prova  la pesantezza del suo crescere e  maturare e del prendere contatto tangibile con un mondo reale che appare fortemente ostile.
Intorno a lei tutto sembra respingerla: la madre che l'ha mollata ad una zia che mostra ben poco affetto, una cugina antipatica che la maltratta, il destino stesso che le fa toccare con mano sin da giovane il rimorso e il senso di colpa, il ricatto vile da parte del compagno di scuola.
Guo, contando solo su stessa, lotta strenuamente, cerca la forza nella sua triste solitudine di cui sente il peso per l'assenza della figura materna che lei vorrebbe raggiungere per poter vivere assieme a lei, proprio mentre , almeno fisicamente, sta diventando una donna.
E' un film sulla ostilità dell'ambiente capace di avvelenare l'esistenza di una ragazzina, relitto di una famiglia distrutta e costretta a crescere prima del tempo per sopravvivere alla tristezza e al dolore dell'abbandono che diventa sempre più forte a causa del comportamento materno e del vuoto di affetto che la circonda: in tal senso assume contorni veramente agghiaccianti la trasferta a Shanghai con la sola speranza di poter incontrare la madre che invece naturalmente è assente.

martedì 16 febbraio 2021

Preparations to Be Together for an Unknown Period of Time ( Lili Horvat , 2020 )

 




Preparations to be Together for an Unknown Period of Time (2020) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Innamorarsi perdutamente a 40 anni può essere terribilmente pericoloso: è vero amore o ossessiva infatuazione? è un imbroglio o peggio ancora una invenzione pura di una mente border line? è un modo per rimettere in gioco una vita di successo o un mezzo per conoscere finalmente l'abisso che abita in noi stessi?
Su queste premesse sembra strutturarsi la trama, semplice ed esile, ma al tempo stesso intricatissima dal punto di vista puramente narrativo di Preparations to Be Together for a Unknown Period of Time, opera seconda della regista ungherese Lili Horvat.
Marta, apprezzata e brillante neurochirurga nata a Budapest ma trasferitasi da ormai venti anni in America, conosce ad un congresso nel New Jersey Janos un collega ungherese col quale trascorre solo qualche ora sufficienti però a farla cadere in un deliquio amoroso in seguito al quale, molla tutto e ritorna a Budapest per presentarsi ad un appuntamento che i due, chissà con quale reale intenzione, si erano dati ai tempi del congresso dopo qualche tempo in un punto ben preciso della capitale ungherese; Janos non si presenta , Marta lo rintraccia facilmente presso l'ospedale universitario ma lui fa finta di non conoscerla (o non la conosce veramente...? ) lasciandola di stucco e letteralmente senza la terra sotto i piedi.



A questo punto il film prosegue su un duplice binario parallelo: da una parte una lunga confessione psicanalitica di Marta apparentemente resa alla fine della storia con la quale si indaga soprattutto la sua mente e gli eventuali disturbi ( può un desiderio essere talmente grande da far sì che si possa credere di averlo esaudito? è la domanda chiave che sta alla base del viaggio nella mente di Marta); l'altro filone narrativo invece ci mostra la donna intenta a pedinare Janos a cercare di avvicinarsi a lui e di carpire qualsiasi cosa della sua vita, riesce persino a farsi assumere dal suo vecchio mentore all'ospedale universitario senza troppe difficoltà vista la sua preparazione eccelsa( non è molto pertinente, oltre che inutilmente ovvio, il presentare l'ambiente medico di Budapest come una chiavica in confronto a quello americano, ma tant'è, la Horvat in certi passaggi sembra farne quasi un cavallo di battaglia...), ma qui diventa lei stessa oggetto di una attenzione ossessiva da parte di un giovane il cui padre ha operato al cervello salvandolo.
Alla fine tra inseguimenti, sguardi sfuggenti, vere e proprie manovre da stalker i due si incontrano aprendo una fase del film che sembra virare pericolosamente al lieto fine, ma fermiamoci qui.

lunedì 15 febbraio 2021

In the Dusk [aka Sutemose] ( Šarūnas Bartas , 2020 )

 




At Dusk (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Ambientato all'epoca della resistenza lituana alla sovietizzazione del paese nell'immediato dopoguerra, il film di Šarūnas Bartas non si discosta di molto dallo stile dell'autore che lo ha reso riconoscibile universalmente; è la tematica semmai da aver destato non poche polemiche in patria per la sua lettura ben poco apologetica del movimento partigiano che si opponeva allo smembramento dell'identità lituana attraverso la penetrazione forzata da parte dei  soviet all'interno del paese baltico.
Il racconto del regista , nella prima parte, oscilla tra un gruppo di partigiani, volto scolpito e sguardo perso dall'abbrutimento di una guerra senza speranza, ed una fattoria abitata da un proprietario terriero ,Pliauga con il suo figlio adottivo , Unte e una donna spettrale , la moglie di Pliauga che però da tempo ha abdicato il suo ruolo di coniuge e che vive nel doloroso ricordo e nella sua freddezza glaciale che spaventa.
Unte simpatizza per i partigiani, il padre, in un segmento incentrato su un loro dialogo, filosofeggia sul concetto di verità e su quello di bugia che diventa verità , dando al film un tono da tragedia dostoevskiana; arrivano i soldati sovietici che intendono requisire tutto , ma a parte la fattoria di Pliauga trovano ben poco da razziare prima di accanirsi sui suoi abitanti.



Bartas fa un grosso lavoro di caratterizzazione dei suoi personaggi per far emergere l'altro caposaldo narrativo e non solo del film: il tradimento che fa parte dell'animo umano che avvolge buoni e cattivi e che non lascia vie d'uscita; il tradimento domina all'interno del film permeandolo, nel bosco dove i partigiani , fantasmi che sembrano usciti da un quadro di qualche pittore nordico, sembra che non aspettino altro che la fine o il loro destino, dove il rosario del prete si avvolge intorno al mitra, dove la legge è quella imposta da uno, nella fattoria di Pliauga dove si cerca di insinuare nei poveracci l'idea del tradimento come via d'uscita, nella sede in cui si stabiliscono i soldati sovietici dove gli interrogatori alternano la carota ed il bastone.
Per tutto ciò In the Dusk manca di tutta quella epica bellica dei combattenti, essendo invece più incline a riflettere sull'animo umano e alle sue reazioni quando sembra che non ci sia più via di fuga.
Verità e menzogna, due facce della stessa medaglia , almeno fin quando una bugia può diventare verità , e qui il regista sembra voler riferirsi alle metodologie imperialiste sovietiche basate sulla menzogna istituzionalizzata, ma anche sulle verità di Pliauga che poi sono menzogne , come implicitamente afferma al ragazzo, sempre in quel dialogo che è un po' il cuore pulsante filosofico della storia di Bartas.

Quo Vadis, Aida? ( Jasmila Žbanić , 2020 )

 




Quo vadis, Aida? (2020) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

L'11 luglio del 1995, al culmine della lunga guerra Balcanica che nacque dalla dissoluzione della Jugoslavia, si consumò nell'enclave musulmana di Srebrenica il più grave atto bellico contro civili consumato sul suolo europeo  dai tempi della seconda guerra mondiale: quasi 9000 uomini tra i 12 e i 77 anni furono arrestati torturati uccisi e gettati in fosse comuni, oltre al forzato esodo delle donne dei vecchi e bambini con tanto di stupro etnico a carico delle donne musulmane della cittadina, il tutto sotto l'ebete impotenza dei caschi blu olandesi che dovevano garantire la safe zone instaurata dall' ONU a Srebrenica proprio per proteggere gli abitanti dell'enclave dalle prevedibili violenze  dei serbi, giunti in città al termine di un assedio durato numerosi mesi.
Jasmila Žbanic, autorevole voce cinematografica bosniaca , ospite ormai abituale nelle rassegne cinematografiche più importanti, porta a Venezia il suo racconto di quel drammatico giorno che ha segnato il destino e la vita di un intero popolo, oltre a scuotere le coscienze di tutto il mondo civile: Quo Vadis, Aida ? è infatti la ricostruzione dei fatti, con buona aderenza storica, attraverso gli occhi di Aida appunto, una insegnante di inglese che lavorava presso la sede dei caschi blu dell'ONU come interprete.



Sostituendo soltanto l'identità dei personaggi, la regista si ispira ad un fatto realmente avvenuto, mettendo il dramma personale al centro del racconto ma guardando con la prospettiva personale della protagonista quanto stava avvenendo intorno a lei con il disperato tentativo di salvare la sua famiglia              utilizzando il suo ruolo in qualche modo privilegiato, ma nello stesso tempo mettendo in evidenza la sua impotenza assoluta di fronte a quanto si stava preparando ad accadere in quella giornata d'estate di 25 anni orsono che avrebbe sconvolto per sempre le esistenze degli abitanti della cittadina.
Tutto il film della regista bosniaca si affida alla cronaca per presentare gli eventi e alla prospettiva di Aida per descrivere il dramma della donna, ma di fatto di tutti gli abitanti, di fronte a quanto stava accadendo, non evitando certo le sommesse denunce, ampiamente dimostratesi giuste, sul comportamento inerme degli olandesi, dell'ONU che tardò ad autorizzare l'intervento aereo, all'immobilismo ignavo e pusillanime di Boutros Ghali, le incertezze americane dovute a problemi politici interni e il solito atteggiamento di attesa e pilatesco della politica europea.
Fino alla fine Aida tenta di salvare marito e figli dalla deportazione, e nello stesso tempo vede intorno a sè la disperazione di chi tenta di trovare la salvezza in ogni modo.
L'opera di Jasmila Žbanic non è soltanto animata da uno profondo spirito civico, è anche un accorata denuncia della follia della guerra, soprattutto di quelle in cui non si intravede neppure minimamente un briciolo di motivazione e che , come la guerra dei Balcani nasce da odi atavici, anacronistici ed etnici , basati su eventi storici avvenuti centinaia di anni prima; una guerra che ha dissolto una convivenza pacifica raggiunta con grande sacrificio ma che in Bosnia era un esempio per la comunità civile; questo è veramente il colpo mortale che la guerra ha prodotto nella comunità della ex Jugoslavia, dove ancora oggi, vittime e carnefici vivono uno accanto all'altro ben lungi dall'aver superato le divisioni.

mercoledì 10 febbraio 2021

First Cow ( Kelly Reichardt , 2019 )

 




First Cow (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

L'inizio di First Cow getta un ponte di un secolo e mezzo sulla storia raccontata: una donna e il suo cane a  passeggio sul greto di un fiume solcato da enormi chiatte che trasportano chissà cosa trovano due scheletri sepolti ; quella terra che ha accolto per tanto tempo i due morti si trasforma in qualcosa di più vivo con la presenza di tanti funghi che una mano delicata raccoglie; siamo tornati indietro nel tempo , a metà del XIX secolo in piena epoca di conquista del west, di corsa all'oro, di assalto alle ricchezze di una terra sconfinata e vergine.
Siamo in Oregon e Cookie è un cuoco che ha attraversato tutto il paese per cercare fortuna all'ovest come cuoco al seguito di un gruppo di cacciatori anch'essi all'inseguimento dell'avventura e del guadagno; si capisce subito che l'uomo non è della stessa stoffa di quella masnada di bifolchi abbrutiti che si contrappongono alla sua gentilezza.
Sulla strada di Cookie si para nel mezzo della foresta King-Lu un immigrato cinese anch'esso in cerca di fortuna, che fugge da un gruppo di persone che lo inseguono perchè lo considerano l'assassino di uno dei loro compari.



Tra i due scatta subito un legame che si trasforma presto in amicizia quando uno ricambia l'altro vicendevolmente con un favore che gli salva la vita.
I due decidono di intraprendere il loro viaggio da soli e si stabiliscono nelle vicinanze del forte dove giungono gli altri avventurieri in cerca di gloria.
Quando irrompe sullo schermo in tutto il suo splendore una bellissima vacca trasportata sul fiume con una zattera, prima abitante di quelle terre lontane, la storia si incanala nel racconto di un imbroglio escogitato dai due compari: King-Lu , abile imprenditore di se stesso e fieramente convinto di essere capitato in una terra dove tutto può trasformarsi in denaro convince Cookie a rubare il latte della vacca che appartiene ad un ricco proprietario terriero per cucinare dei dolci al latte grazie alle sue capacità culinarie: come in ogni start-up che si rispetti c'è una mente e c'è un braccio.
La scelta porterà denaro e soddisfazioni ai due , al misero mercato del   forte si formerà la fila per assaggiare quel dolce delizioso almeno fino a quando l'imbroglio non verrà scoperto e per i due non rimarrà altro che la fuga.
E' proprio sul dualismo che si crea tra i due protagonisti che  First Cow crea il suo substrato narrativo più interessante che conduce ad una serie di riflessioni sulla civiltà capitalistica e sulla società americana.
Intanto Kelly Reichardt, anche sceneggiatrice insieme a Jonathan Raymond, autore del romanzo The Half-Life cui il film si ispira, opera una manovra di destrutturazione del mito americano della frontiera lasciando da parte i toni e le ambientazione più tipiche del western classico in favore di una riflessione sul concetto di opportunità infinite offerte dalla giovane nazione americana; il ritratto che emerge è quello di un western senza lo stereotipo del cowboy e senza pistoleri, c'è invece spazio per un racconto a tratti addirittura delicato, in alcuni tratti persino ambiguo , ma semplicemente perchè c'è spazio per una amicizia ben poco virile, che non mostra i muscoli , che non grida e invece lancia lo sguardo sulla natura e sui sentimenti più sinceri senza cadere però nel melenso.

martedì 2 febbraio 2021

Pari ( Siamak Etemadi , 2020 )

 




Pari (2020) on IMDb
Giudizio: 7/10

Muoversi per la prima volta dal paese natale per andare all'estero in età ormai matura e giungere all'aeroporto senza trovare il proprio figlio ad attendere, non deve essere una bella sensazione , soprattutto per chi proviene da un universo che per molti aspetti sta totalmente agli antipodi: è questo l'incipit di Pari, lungometraggio di esordio del regista di origini persiane ma trapiantato in Grecia Siamak Etemadi.
Pari e Farrokh sono  i genitori di uno studente fuori sede che da qualche anno studia ad Atene; dopo gli immancabili problemi di dogana a causa di cibo trasportato per far felice il giovanotto con i sapori di casa , acuiti dalla altrettanto inevitabile barriera linguistica nonostante la donna parli un discreto inglese, i due non trovano all'uscita il figlio ad attenderli come si aspettavano per cui si avviano all'indirizzo dove il ragazzo vive per accorgersi che è sparito da alcuni mesi lasciando per di più un buco di denaro con gli affitti arretrati che il padre, da integerrimo musulmano, salda subito.



Per di due inizia una avventura che assume man mano i connotati dell'incubo: all'ambasciata l'aiuto che ottengono è praticamente nullo, le autorità di polizia , essendo il giovane maggiorenne, non possono fare più di tanto e tra i due coniugi serpeggia anche molta tensione per la scelta del figlio di alcuni anni prima caldeggiata dalla madre ma avversata dal padre.
Le ricerche condotte come due detective in un paese lontanissimo che oltre tutto mostra tutte quelle che sono le trappole e i vizi della società occidentale (nell'ottica del musulmano fervente ovviamente), non conducono a nulla , in più Pari sarà costretta a continuarle da sola immergendosi in un sottobosco urbano inquietante, riuscendo però a parlare con un giovane che conosceva il figlio che la informerà che questi aveva lasciato gli studi per aderire ai gruppi anarchici.
Il vagare di Pari nelle notti ateniesi tra scontri tra manifestanti e polizia, anarchici, discoteche, insperati aiuti, aggressioni scampate solo grazie alla sua presenza di spirito, bordelli e prostitute portuali, diventa un viaggio non solo alla ricerca del figlio, ma anche un discesa nel suo animo a scoprire i lati che forse tradizioni troppo rigide hanno in qualche modo represso. 
Il finale aperto non ci dice molto ma di certo ci regala un personaggio profondamente cambiato dalle notti ateniesi.
Il lavoro di Siamak Etemadi , che ci ha tenuto a specificare che Pari è anche il nome della propria madre, parte da quel sentimento fortissimo tra l'impotenza e la disperazione per non riuscire a a riannodare un legame fortissimo che va annientandosi come quello tra madre e figlio, e il regista sceglie unicamente la prospettiva di Pari per osservare come la disperazione porti a delle scelte estreme.

lunedì 1 febbraio 2021

My Morning Laughter [aka Moj Jutarnji Smeh] ( Marko Djordjevic , 2020 )

 




My Morning Laughter (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Dejan ha quasi 30 anni, vive con la madre ed un vecchio ubriacone ( il padre? ) a Kragujevac, quella che in epoca della Jugoslavia di Tito degli anni 70 era la capitale industriale del paese grazie all'industria automobilistica principale che lì aveva sede e che ora vive le conseguenze del disastro postindustriale; Dejan lavora come insegnante e la sua esistenza è subdolamente ma impeccabilmente controllata da una madre iperprotettiva e come tutti coloro che vanno incontro ad una condizione simile, il ragazzo non ha mai avuto rapporti sessuali.
In una delle scene più drammaticamente umoristiche del film, un sensitivo tratteggia con grande precisione la condizione di Dejan , gettando in maniera inequivocabilmente sulla madre la responsabilità.
Le affermazioni del veggente hanno un qualche effetto sul protagonista il quale capisce che è forse l'ora di perdere la verginità.
A scuola frequenta una collega , Kaća, che sembra smuovere qualche interesse e infatti quando al termine di una serata a casa della ragazza Dejan , essendosi fatto tardi, rimane a dormire lì, finalmente l'incantesimo si rompe in uno dei momenti più belli del film, nella sua semplicità , realismo e comicità.



L'opera prima del regista serbo Marko Djordjevic è un film per molti versi originale, che affronta il tema della emancipazione di una generazione di iperprotetti che si trovano a fare i  conti col mondo là fuori popolato di brutti e cattivi e costellato di pericoli, un coming of age molto particolare insomma in cui l'esistenza del giovane Dejan viene messa sotto l'occhio esploratore per cercare di carpire come il suo mondo reagirà nel momento in cui colliderà col mondo reale.
Mentre in certi aspetti il film di Djordjevic presenta qualche tratto non pienamente convincente ( il ritmo ad esempio, troppo spesso blando), in altri, soprattutto per la regia, dimostra le buone doti del regista, il quale da parte sua è bravo nel descrivere una realtà quotidiana che troppo spesso si tinge di grigio, sullo sfondo di un paese che mostra i retaggi del passato comunista sopravvissuti alla guerra degli anni 80-90, lasciando però l'aspetto sociale decisamente sullo sfondo in favore di un racconto che a volte si avvicina all'intimismo, non rinunciando però mai ad un robusto umorismo.
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