lunedì 13 luglio 2009

A Est di Bucarest ( Corneliu Porumboiu , 2006 )


Giudizio: 7.5/10
Fu vera Rivoluzione ?

Fu vera rivoluzione ? E' questo il dilemma che serpeggia neppure tanto nascosto in tutto il film d'esordio di Corneliu Porumboiu . Una scalcinata TV locale di una città a est di Bucarest mette in onda un programma che rievoca i fatti di 16 anni prima che portarono alla caduta di Ceaucescu: partecipano al dibattito un giornalista che funge da conduttore e due personaggi che a modo loro furono protagonisti in quei giorni drammatici. Nonostante i dibatttiti e le testimonianze, alcune delle quali telefoniche, si è ben lontani dal fare chiarezza sul succedersi degli eventi e la trasmissione assume a tratti più le tinte del varietà che quelle dell'inchiesta.
Sembra proprio una metafora questa storia: per quanti sforzi si facciano, molto di ciò che accadde rimane avvolto nella nebbia e nell'oscurità; emerge solo una profonda disillusione da parte della società rumena cui la caduta del conducator poco ha portato in dono; vediamo i personaggi muoversi nella vita di tutti i giorni oppressi dai soliti problemi che la libertà (presunta) acquistata non ha certo allontanato. Li vediamo interrogarsi con ironia , sarcasmo, ma anche con tristezza su cosa non abbia funzionato e li sentiamo ripetersi le domande che non hanno avuto ancora risposte.
E' senza dubbio un film che tratta di una tematica cui sono molto legati i rumeni ancora oggi, un film che pone quasi in modo ossessivo, ma con leggerezza insieme, la fatidica domanda: "Cosa accadde in quei giorni?"; è un po' la ricerca di una identità che sembra persa, la ricerca di una verità che faccia luce sulle moderne basi della giovane democrazia.
La bravura del regista sta nel miscelare con sapienza i momenti drammatici e quelli leggeri, quasi da commedia e nell'offrirci un film che a fronte della sua apparente leggerezza, scava anche nel profondo dei suoi connazionali, non senza una vena di rassegnazione, perchè quello che successe in quei giorni, probabilmente, non lo sapremo mai.

2046 ( Wong Kar Wai , 2004 )


Giudizio: 8.5/10
Film e poesia


Per comprendere in pieno questo film bisogna uscire subito da un equivoco: non è il sequel di "In the mood for love" , anche se taluni elementi lo lascerebbero intendere (il nome del protagonista, il numero della stanza, certi rapidi flashback); è semplicemente un film che riprende le tematiche e che si vuole porre come ideale proseguimento ed integraziome della poetica di Wong.
Tutta la storia ruota intorno a questo numero che è quello della stanza attigua a quella occupata dal protagonista, un giornalista scrittore, viveur impenitente, che sente però il peso di una vita solitaria e di un amore passato di cui non riesce a cancellare il ricordo. Scrive un romanzo di pseudofantascienza , dal titolo 2046, in cui proietta i personaggi femminili da lui frequentati tra locali e bische e che in maniera diversa hanno comunque lasciato un segno nella sua vita.
Le storie (film e romanzo) si intersecano pericolosamente: la vita reale e quella immaginata dal protagonista hanno lo stesso sottofondo di mestizia e ineluttabilità, si sovrappongono e si diradano lasciando lo spettatore a volte confuso.
Più che un film è un turbinio continuo di immagini , suoni, colori, emozioni , quasi privo di una trama lineare che lo sostenga, in ciò assolutamnente agli antipodi rispetto a "In the mood for love" , in cui il rigore formale era assoluto.
E' questo che rende il film magico, questo apparente caos emotivo che travolge e che contiene i capisaldi della filosofia di Wang: il rimpianto, l'impossibilità di tornare indietro, l'incapacità di poter cambiare il flusso delle storie personali; tutto si mescola , si fonde, si nasconde e si appalesa improvvisamente nelle storie dei vari personaggi del film , tutti con un unico punto in comune: la solitudine che li attanaglia in una morsa implacabile.
Il regista, volutamente, crea allusioni, dubbi, stende le numerose matasse fino a creare un groviglio affascinante e al tempo stesso struggente; descrive le passioni, il dolore, il sesso con la consueta delicatezza e stile, mostrando stavolta una sensualità carnale, ma mai eccessiva; crea degli spazi chiusi, avvalendosi di una fotografia straordinaria, in cui si aprono i sentimenti dell'uomo e delle donne del film che tendono a diradarsi all'infinito per accogliere il mare emotivo che emerge; immagina un futuro , proiezione dei desideri e delle aspirazioni, cupo come rare volte si è visto, dove chi vi si reca cerca la soluzione al rimpianto, ma trova solo la sua lacerante conferma.
La consueta, infallibile tecnica cinematografica di Wang racchiude la storia in un guscio di perfezione stilistica, in cui tutto , anche il minimo dettaglio, concorre a dare vita ad un film indimenticabile, di un rigore stilistico che entusiasma e colpisce duro; gli attori concorrono in maniera determinanate a questo gioiello: Tony Leung ,clone di Clark Gable, è strepitoso così come le altre star femminili del cinema orientale presenti; su tutte spicca in maniera magnifica, con una recitazione e una presenza strabiliante Zhang Ziyi.

mercoledì 8 luglio 2009

Primavera, Estate , Autunno , Inverno...e ancora Primavera ( Kim Ki-Duk , 2003 )


Giudizio: 8/10
Splendido affresco


La casa galleggiante sullo specchio d'acqua dove vive il monaco è uno di quei luoghi fatati e ipnotici che il Cinema ogni tanto ci dona (cito ad esempio solo il porticato di Rashomon); luoghi che sono essi stessi l'essenza del film: in questo lavoro di Kim Ki-Duk c'è un'altro fattore che ne ingigantisce la suggestione: lo splendido affresco che ne fa il regista, pittore prima che cineasta, mescolando immagini statiche , con poco movimento ma stupefacenti per i colori e per la cura con cui vengono disegnate.
Il film va considerato come una colorata e poetica metafora sulla vita che scorre, passa , ciclicamente come le stagioni; ogni fase con i suoi turbamenti , le sue passioni, i suoi dolori: inelluttabile scorrere del tempo di cui si è troppo passivamente, a volte, solo spettatori. Vediamo dapprima il fanciullo che mostra già la sua tempra troppo incline all'istinto, lo troviamo poi giovanotto alle prese con la passione amorosa e col desiderio , sempre sotto lo sguardo austero del monaco che gli ricorda come seguire il desiderio può portare ad azioni mortali; lo ritroviamo adulto bussare ancora alla porta del vecchio in mezzo al lago , in fuga dopo avere ucciso la moglie ed infine, a chiusura del cerchio, ormai maturo liberato dalla colpa, tornare per sempre sulla casa galleggiante dove il vecchio monaco nel frattempo è morto; qui infine giungerà una madre col piccolo figlio che lascerà e che darà inizio nuovamente al ciclo vitale.
E' un film di grandissimo rigore morale filosofico e religioso raccontato con sconfinata grazia e delicatezza, con qualche cenno di ironia pure; è un tentativo di descrivere la vità e la sua caducità contrapposte alla forza del rigore morale , magnificamente incarnata dal monaco anziano, arricchito da allegorie e simboli che potrebbero, apparentemente, renderlo di difficile lettura.
Ma è soprattutto la straordinaria capacità pittorica del regista che rende il film unico: sembra divertirsi a giocare coi colori, con le foglie che cadono, con le acque che scorrono ; un affresco quasi naturalista che fa da specchio all'incedere del tempo che lascia , come sempre, una scia di storie ed esperienze da raccontare.

lunedì 6 luglio 2009

Ashes of time ( Wong Kar-Wai , 1994 )


Giudizio: 10/10
Il Manifesto di Wong


Consigli per l'uso: chi non ha mai visto un film di Wong Kar-Wai, inizi con questo; chi ne ha visto qualcuno e non questo, li veda tutti e alla fine questo; chi li ha visti tutti riveda questo ancora una volta. Sì perchè questa opera è il prologo e insieme la summa artistica del grande cineasta: c'è già tutto in Ashes of time,terzo lungometraggio del regista, che poi svilupperà quello che qui è accennato, appena tracciato ma con forza, nelle sue opere seguenti.
Diciamolo subito: è un film non facile, di quelli che i burloni americanofili definirebbero lento ed invece è un susseguirsi di storie tracciate, lasciate appese, di squarci violenti e penetranti, di esaltazione visiva cromatica che convergono tutte alla fine nel momento in cui ogni cosa torna precisamente ed ineluttabilmente al suo posto.
La storia narra di uno spadaccino abilissimo che sceglie di vivere come un eremita in mezzo al deserto in attesa di ricevere incarichi da portare a termine: incarichi che puntualmente arrivano, spesso molto oscuri e strani; unica visita fissa che riceve è quella di un suo vecchio amico , uomo d'armi anche esso , latore di notizie sulla donna un tempo amata dal nostro eroe , ed ora sposa di suo fratello.
In quella sua dimora in mezzo al deserto vediamo svolgersi drammi ed episodi che all'inizio sembrano inspiegabili: commitenti di omicidi che divengono a loro volta bersaglio di altri delitti richiesti per procura, personaggi che cambiano sesso (seppur interpretati dalla stessa formidabile Brigitte Lin), aspiranti sicari che cercano un mentore cui ispirarsi; tutto in un ambiente rarefatto nel tempo e nello spazio, dove solo la pioggia battente (marchio del regista) sembra avere vita; dove il dramma si sposa alla vendetta e il colore della terra riempie lo schermo.
La grandezza di Wong sta nel sottomettere un genere (la wuxiapian) ai suoi voleri creando un film mirabile in cui lo scorrere del tempo, il rimpianto, il ricordo, l'amore doloroso permeano tutti i personaggi come sarà anche per quasi tutte le sue opere che verranno; le lotte interiori , l'impossibilità di tornare sui passi già percorsi, il dolore immenso che tutto questo procura fanno di questo film un manifesto dell'intimità e della forza dei sentimenti.
Tutto rimane inerte, penzolante , le storie monche fino a quando irrompe sullo schermo nella sua grandezza Maggie Cheung, promessa sposa un tempo del nostro eroe, ora macerata dal suo ricordo e dal rimpianto: sarà lei con la sua presenza scenica stupefacente a tirare le fila di tutto e far tornare , finalmente chiara, ogni cosa al suo posto.
La poetica di Wong sta nel suo enorme garbo , nel disegnare, accennandoli, personaggi bellissimi e a tratti commoventi, quasi sempre soli con se stessi, creando un marea montante di emozioni, ancher grazie al ricorso massiccio alla narrazione fuori campo che altro non è che il dipinto dell'animo dei vari protagonisti; tutto ciò con una maestria tecnica affascinante da autentico fuoriclasse, coadiuvato da musiche sempre calzanti e da una fotografia che lascia senza fiato (Cristopher Doyle, lo stesso di Heroe); il potentissimo cast di attori, tra i quali il mai tanto compianto Leslie Cheung nel ruolo dell'eroico spadaccino e la già citata, spendida Meggie Cheung danno il tocco finale a questo che giustamente viene considerato il Capolavoro del Maestro di Shangai.
L'opera, ridigitalizzata, rielaborata e ritoccata con tagli per mano del regista (Ashes of Time Redux) avrà la sua prima assoluta italiana al VII Asian Film Festival di Roma l'8 di luglio.
“Pensavo di essere io la vincitrice…fino al giorno in cui ho visto allo specchio il volto di una perdente.
Non sono riuscita ad avere vicino a me la persona che amavo di più nei miei anni migliori. Quanto meraviglioso sarebbe poter tornare indietro nel tempo” , così recita la Cheung nel sottofinale, autentico manifesto programmatico dell'arte di questo immenso Regista.

sabato 4 luglio 2009

Lasciami entrare ( Tomas Alfredson, 2008 )


Giudizio: 8/10
Vampiri e adolescenti


Non era facile per il talentuoso Tomas Alfredson mettere in piedi un film del genere con equilibrio senza cadere da una parte nelle storie vampiresche di genere e dall'altra nel "tempo delle mele" ed affini; e questo è già un risultato prodigioso. Se poi il film è fatto con grande bravura tecnica e con un coinvolgimento notevole, il giudizio è ancora più positivo.
Oskar è un fanciullo di 12 anni che sin dalle prime scene del film lascia intuire il suo profondo disagio esistenziale,con genitori separati e assenti e vessato in continuazione da alcuni bulletti compagni di scuola. Eli è una ragazzina che vediamo arrivare in piena notte in taxi e stabilirsi vicina di casa di Oskar, in compagnia di un inquietante personaggio di cui non sapremo mai il ruolo nella vita della ragazza. I due si incontrano nel giardino innevato fuori di casa , in piena notte e ben presto si capisce che Eli non è una semplce dodicenne: è un vampiro ranchiuso in un corpo adolescenziale che come tutte le creature della notte che si rispettino ha bisogno di sangue per vivere. Tra i due nasce una amicizia affettuosa che vince la diffidenza di Oskar soprattutto, il quale ha però dalla sua il candore dell'adolescenza che gli impedisce di scappare e di inorridere di fronte alla verità confidata da Eli; anzi si integrano, fondono i loro drammi esistenziali, si danno coraggio uno con l'altra.
I due ragazzini si muovo in un ambiente ottimamente cesellato dal regista, in un clima tendente allo squallore tra ubriaconi e casermoni algidi immersi nella neve alla periferia di Stoccolma; affrontano in piena solitudine, per scelta lui , per necessità lei, gli eventi della vita; sembrano in alcuni momenti quei personaggi dei romanzi di fine 800, gettati nella vita e che debbono crescere troppo in fretta.
Anche il finale, molto apparentemente consolatorio e lieto è a suo modo agghiacciante e crudo: se da un lato l'amore (come può esser quello tra due dodicenni) ha una grossa forza rassicurante, dall'altro il mostare come solo la comprensione tra "disadattati" sia l'unica forza propulsiva lascia sgomenti.
Alfredson ci offre un gran bel film, equilibrato, soave in alcuni momenti, molto allusorio in altri, enigmatico al punto giusto , senza svelare tutto fino in fondo; le enormi distese bianche aperte a tutti gli stati d'animo e la bravura dei due ragazzi attori ,soprattutto lei,Lina Leandersson (segnamoci il nome che sentiremo presto parlarne ancora ), fanno il resto.
Un film che intenerisce, commuove e al tempo stesso atterrisce, sgomenta , lascia un po' di amaro in bocca e infila dritto nel nostro cervello quel ticchettio dell'alfabeto Morse col quale si chiude.
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