
Delpero costruisce con precisione il microcosmo di Vermiglio, un villaggio che diventa metafora dell'Italia lacerata dalla guerra. L'utilizzo del dialetto locale e la ricostruzione accurata delle tradizioni – dai rituali religiosi alle pratiche agricole – immergono lo spettatore in un tempo sospeso, dove il peso della cultura locale è tanto una protezione quanto un ostacolo e costituisce di certo uno dei punti di forza del film.
La regista mette in luce come le comunità di montagna siano state attraversate da tensioni profonde: lo scontro tra modernità e tradizione, tra maschile e femminile, tra la vita quotidiana e le incursioni della storia. Le Alpi, con la loro imponenza, diventano quasi un personaggio, una presenza silente che osserva i drammi umani.Ada, la figlia maggiore, incarna la ribellione silenziosa. In un contesto in cui le donne devono sottostare a rigide regole familiari, il suo desiderio di fuga e autonomia è un grido che risuona sotto la superficie della sua compostezza. La tensione tra dovere e desiderio è palpabile nelle sue scelte, soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto amoroso col disertore siciliano che segnerà in maniera drammatica ed indelebile la sua vita ,e Delpero la rappresenta con una delicatezza che evita facili stereotipi.
Lucia, la secondogenita, rappresenta invece il conflitto interno: il suo percorso di crescita è segnato dalla scoperta della propria identità in una società che non lascia spazio all'individualità. Il personaggio di Lucia è il più complesso e stratificato, poiché incarna il passaggio dall'adolescenza all'età adulta in un mondo che chiede conformità.
Flavia, infine, è l'innocenza messa alla prova. La più giovane delle sorelle è testimone silenziosa di un mondo in cambiamento. Attraverso il suo sguardo, il film si concede momenti di poesia e speranza, contrapponendosi alle ombre della guerra.
Oltre alla trama personale delle tre protagoniste, Vermiglio si interroga sul rapporto tra memoria e identità. La comunità del villaggio, con i suoi riti e le sue abitudini, diventa il simbolo di un'Italia che tenta di ritrovare se stessa dopo il trauma del conflitto. L'acqua e la neve, elementi ricorrenti nella fotografia, assumono un valore simbolico: purificazione, ma anche immobilità.
Il patriarcato, incarnato nella figura del padre Cesare, è al centro di un discorso che non si limita alla critica, ma esplora le complessità delle relazioni familiari. Cesare non è solo oppressore, ma anche vittima di un sistema più grande di lui, che lo incatena a ruoli e aspettative, ma paradossalmente è anche il personaggio più colto ed evoluto del villaggio essendo un maestro che si spende per l’istruzione dei ragazzini e anche degli adulti in corsi serali.
Il personaggio di Cesare è forse quello più sfaccettato e meglio riuscito per lo meno relativamente al suo ruolo all’interno del racconto: evoluto, ma tiranno in casa, sceglie il destino delle figlie in base a regole arcaiche tramandate da secoli, ascolta la musica classica , ma affronta con gravità la situazione della figlia maggiore; una ambiguità insomma che dà vita ad un personaggio ben riuscito anche grazie alla prova eccellente di Tommaso Ragno.