Giudizio: 8/10
Marija Kavtaradze, lituana, è una delle registe giovani più valutata in Europa: nonostante i suoi 32 anni, è presente nel mondo del cinema da quasi 15 anni con alle spalle una produzione non trascurabile considerata la sua età, sia come regista di corti, sia come sceneggiatrice e con un esordio nel 2018 (Summer Survivors) che ha ricevuto una infinità di giudizi lusinghieri; con Slow , da lai scritto e diretto e presentato al Sundance ha ottenuto il principale riconoscimento internazionale fino ad oggi, grazie al Premio come miglior Regista.
Con la sua ultima fatica mette una scena una storia d'amore molto fuori dai consueti canoni, tenendo il racconto in mano con grande fermezza grazie ad una regia che sa costruire atmosfere e momenti di grande intensità.
I protagonisti sono Elena , una ballerina di danza moderna e Dovydas, un interprete della lingua dei segni che si conoscono durante una lezione che la ragazza impartisce a dei ragazzi sordomuti con i quali fa da interprete appunto il ragazzo.
La loro inizia come una semplice conoscenza che però rapidamente si trasforma in una relazione amorosa.
Una relazione però che necessariamente deve trovare delle basi diverse perchè il ragazzo , che si definisce asessuale, rifiuta i rapporti sessuali per un motivo che non verrà mai dichiarato e, per la verità neppure tentato di essere indagato; i due comunque , che si sentono da subito molto legati, almeno inizialmente, cercano di rimuovere il problema affidandosi ad legame molto stretto e pieno di sentimento.
Naturalmente le cose non possono durare in questa maniera e inevitabilmente il problema si presenterà rischiando di minare ( o forse no...) il loro rapporto sentimentale.
Raccontata così, cercando di evitare descrizioni troppo approfondite che si configurerebbero come veri e propri spoiler, può apparire difficile credere che il film di Marija Kavaradze contenga invece una forza e una profondità di grande intensità: quello che fa la regista è il tentativo di raccontare una storia d'amore sui generis, che tenta di costruirsi su basi diverse , meno convenzionali, per necessità, e su questo per fortuna non va mai verso teorizzazioni alternative del rapporto amoroso ( triangoli, coppie aperte etc.) sebbene soprattutto da parte di Dovydas qualche accenno in tal senso viene fatto.
Quello che invece la regista cerca di costruire è una storia in cui esiste un sottofondo di dolore legato alla difficoltà di potere mettere in piedi un rapporto amoroso, ad una difficoltà nel rapportarsi, anche quando si crede , legittimamente, di provare un amore profondo per il partner, ma nel contempo di dover considerare la rinuncia come una parte del rapporto stesso ( in tale senso è molto indicativo il dialogo che Elena ha con la sua amica diventata suora).