lunedì 27 maggio 2024

Il male non esiste [aka Evil Does Not Exist] ( Hamaguchi Ryusuke , 2023 )

 





Evil Does Not Exist (2023) on IMDb
Giudizio: 8/10

Dopo avere ricevuto nel breve arco di tre anni prestigiosi riconoscimenti presso i tre maggiori Festival Cinematografici con in mezzo anche un Oscar per il miglior film in lingua straniera, si può tranquillamente affermare che Hamaguchi Ryusuke non solo si impone come uno tra gli autori giapponesi più stimati e quotati, ma anche come un regista tra quelli che possiedono uno stile talmente inconfondibile che basterebbero pochi fotogrammi per riconoscere una sua pellicola.
Per tale motivo non stupisce che ogni nuovo lavoro del regista giapponese sia atteso quasi come un evento e che intorno ad esso si costruisca ben presto un dibattito all'interno della critica.
Ad esempio questa ultima fatica , presentata a Venezia nel 2023, è stata ben presto etichettata come una "opera ecologista" , giudizio molto superficiale, come quasi sempre avviene quando si attaccano addosso ai film etichette che sembrano più slogan che altro; vedremo poi il perchè questa definizione sia oltre che superficiale anche fuorviante.
Di sicuro Hamaguchi per Il male non esiste sceglie un racconto che a partire dalla sua ampiezza , poco più di una ora e mezza, si discosta dai tempi dilatati di quasi tutte le sue opere precedenti, prediligendo atmosfere e tematiche più intimistiche.



In un villaggio di montagna non lontano da Tokyo vivono Takumi e la figlioletta in età preadolescenziale Hana, sebbene non se ne parli mai da poco non c'è più la mamma della ragazzina, la vediamo solo in due foto; lui è un po' il tuttofare della piccola comunità, grande conoscitore della vita nei boschi e dei ritmi della natura, la ragazzina mostra un interesse quasi magico verso i boschi e le creature che li abitano e ama farsi quasi inghiottire dalla boscaglia nelle sue lunghe camminate solitarie; tutto il villaggio, composto da poche decine di persone, vive in armonia con gli immutabili e incessanti ritmi della natura, sfruttando con grande sapienza tutto ciò che ha da offrire a cominciare dall'acqua raccolta direttamente alla sorgente del ruscello.
Questo quadro di calma e di immutabilità viene solo sporadicamente rotto da lontani spari, quelli dei cacciatori che vanno alla ricerca dei cervi, un tentativo esterno di rompere quel sottile equilibrio che regna in tutta la zona.
Tutto questo è messo a repentaglio dal progetto di una azienda che intende costruire un glamping ( ridicola e idiota crasi di glamour camping) proprio nei pressi del villaggio dove i nevrotici abitanti in fuga della vicina Tokyo possano andare a ritemprarsi nei week end; alla riunione che viene organizzata per spiegare il progetto, tutti gli abitanti mostrano con educazione ma con molta fermezza la loro contrarietà al progetto che metterebbe a rischio le falde acquifere oltre a stravolgere il microambiente; i due impiegati inviati nel villaggio pensando di raggirare un branco di poveri bifolchi se ne tornano quindi a casa incassando oltre tutto una figuraccia essendo praticamente all'oscuro del progetto e quindi incapaci di dare spiegazioni alla popolazione.
I due però torneranno, con l'incarico di ammorbidire la popolazione e soprattutto di cercare di convincere Takumi, che tra tutti era sembrato a loro il più carismatico del villaggio, ben consapevoli, forse , che la ragione sta tutta dalla parte degli abitanti, a maggior ragione osservando la loro vita da vicino nel periodo in cui si intrattengono.
La scomparsa di Hana che apre il finale, di cui parleremo più in là senza rischi di spoiler, ammesso che così si possa chiamare in questo caso specifico, è la chiave magica che fa svoltare il film verso un epilogo che possiede le stigmate del cinema di Hamaguchi e che risulta tra i più belli e inquietanti visti negli ultimi anni.
Per prima cosa va sottolineato ancora una volta come Hamaguchi sia regista di smisurato talento, anche e soprattutto dal punto di vista tecnico: la scena iniziale con la lunga carrellata sulle fronde degli alberi viste dal basso, i rumori del vento, la luce che gioca con le foglie e poi un'altro segmento senza parole in cui vediamo Takumi che con sapienza da boscaiolo provetto spacca la legna, la musica di Ishibashi Eiko con la quale ha stabilito un binomio artistico cinematografico-musicale, che asseconda magnificamente le immagini, la scena della riunione dei valligiani con la quale sembra di essere in un documentario, la scena finale che sembra richiamare quella iniziale dando una circolarità sostanziale al racconto che è uno dei punti fermi della narrazione; tutti momenti che dimostrano come Hamaguchi abbia un totale controllo sul film, e al contempo come sia in grado di lasciare fluire immagini, suoni, rumori, musica in maniera spontanea osservando una natura che si sente minacciata da qualcosa di esterno che tende a prevaricarla.
C'è una immagine che nel film viene spesso richiamata, una frase che può apparire ovvia, addirittura banale, ma che in effetti sta un po' alla base del concetto filosofico che regola il rapporto tra uomo e natura: " l'acqua scende sempre verso il basso" ammonisce l'anziano sindaco del villaggio alludendo al rischio di contaminare le falde acquifere costruendo una fossa biologica a monte , all'interno del glamping.
E' una immagine che spiega con semplicità quasi infantile quello che è il senso del rapporto causa-effetto che sta alla base a sua volta del rapporto uomo-natura: quasi fosse una legge fisica l'insulto dell'uomo sulla natura porta questa a rispondere con violenza, un qualcosa che al primo impatto sembra scevro dal racconto di Hamaguchi ma che in effetti ne è invece permeato; la violenza della natura è la reazione al tentativo di stravolgere il corso naturale dettato dalle leggi della vita e del mondo, e ben sappiamo come nello scintoismo, nel buddhismo , in tutta la cultura giapponese sia fondamentale la conservazione di questo equilibrio con il mondo in cui viviamo.
Ecco perchè Il male non esiste non è tout court un film ecologista, o comunque non principalmente questo e il regista, con un colpo graffiante costruisce un finale ambiguo, forse onirico, forse addirittura fiabesco, apertissimo, di certo potente che si presta a molteplici interpretazioni, lasciando aperto un dibattito interiore su quanto abbiamo assistito: ed i film che riescono a mettere in azione tale meccanismo sono quelli che hanno centrato il bersaglio, che impongono una rivalutazione anche critica di tutta la storia.
Se con Drive My Car Hamaguchi aveva affrontato in maniera magistrale il tema dell'arte e della solitudine, con questo ultimo lavoro prende di petto in maniera molto più forte e decisa di quanto i toni intimistici facciano pensare il tema della collocazione dell'uomo all'interno della natura, del suo rapporto con essa inteso come raggiungimento di un equilibrio in cui non esista la prevaricazione, della coscienza che l'uomo deve avere per inseguire una armonia che è dapprima esteriore e poi , conseguentemente, interiore.


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