giovedì 23 gennaio 2025

Black Dog / 狗阵 ( Guan Hu / 管虎 , 2024 )

 




Black Dog (2024) on IMDb
Giudizio: 8.5 /10

Nel panorama del cinema cinese contemporaneo, il nome di Guan Hu si distingue per la capacità di raccontare con sguardo critico e poetico le trasformazioni del paese, rimanendo aderente ai canoni propri della Sesta Generazione di cineasti cinesi. Ad un inizio sfolgorante di carriera cinematografica dietro la macchina da presa , culminato con gli eccellenti Cow e Design of Death, ha fatto seguito un secondo periodo più recente in cui il regista si è cimentato in opere più mainstream ad indirizzo nazionalistico. Black Dog, presentato al Festival di Cannes 2024 dove vince il premio nella rassegna collaterale  Un Certain Regard , si inserisce perfettamente in questa traiettoria come punto di ritorno circolare alla essenza del cinema d’autore proprio della corrente di cui Guan è parte integrante,  offrendo un ritratto intimo e malinconico della Cina post-industriale, a ridosso di uno degli eventi che hanno significato molto per la società cinese e cioè le Olimpiadi di Pechino del 2008 che hanno segnato il definitivo affermarsi del paese nel consesso delle nazioni che contano.  
Il film si muove tra realismo e metafora, utilizzando il legame tra un uomo e un cane per riflettere sulle tensioni sociali ed esistenziali che pervadono una nazione in continua evoluzione.
Il film è incentrato sulla figura di Lang , un ex detenuto che ritorna nella sua città natale dopo dieci anni e  dopo aver scontato una pena per omicidio colposo del quale probabilmente non è neppure pienamente colpevole. La città, Chixa, ai margini del deserto del Gobi ,un tempo fiorente polo industriale, è ora destinata alla demolizione per lasciare spazio a nuovi progetti urbanistici in vista delle Olimpiadi di Pechino 2008.
Come vediamo nella potente scena iniziale la città è popolata da branchi di cani randagi  che costituiscono un problema sia per l’imminente inizio delle Olimpiadi e soprattutto perché larghe zone della città , dove i cani vivono in strada ,sono state individuate per essere demolite per fare spazio a nuovi edifici ed industrie. 
Lang , un tempo abile motociclista nonché membro di una band rock , era considerato un personaggio famoso nella città, ma al suo ritorno pochi si ricordano di lui: il padre alcolizzato vive nel vecchio zoo abbandonato , molti sono partiti e hanno abbandonato la città natale e quei pochi che lo ricordano vivacchiano nella desolazione , c’è anche chi ancora prova rancore per lui considerato la causa di morte di un giovane dieci anni prima e c’è infine anche un fugace incontro con un’altra anima desolata e in cerca di un futuro che è la ballerina del circo che per un attimo ha fatto credere alla svolta sentimentale.
Per guadagnare qualche soldo Lang si arruola in una sorta di milizia civile organizzata dalle autorità locali che da la caccia ai cani randagi per bonificare le zone dove dovrebbero sorgere i nuovi insediamenti.
È in questo contesto che si imbatte in un levriero nero, un cane considerato erroneamente portatore di rabbia, con cui instaura un legame silenzioso e profondo, dando avvio a un viaggio di riconciliazione con se stesso e con il mondo.
Guan Hu appartiene alla cosiddetta "Sesta Generazione" di registi cinesi, un movimento sorto negli anni ‘90 che ha messo da parte le narrazioni epiche e propagandistiche per concentrarsi sulle disillusioni della modernità. Rispetto ai predecessori della Quinta Generazione (come Zhang Yimou e Chen Kaige, che hanno privilegiato estetiche sontuose e racconti storici), la Sesta Generazione si focalizza sulle storture del capitalismo, sulle vite ai margini e su un realismo spesso crudo. Black Dog si colloca pienamente in questa tradizione, raccontando la vita di chi è rimasto indietro in una Cina sempre più lanciata verso il progresso, prossima a giungere al traguardo della sua folle corsa che l'ha portata però a perdere per strada larghissime parti della popolazione.



Il cane randagio che accompagna Lang non è solo un semplice animale, ma un simbolo potente: il levriero nero rappresenta l’emarginazione e la sopravvivenza in un mondo che non ha più spazio per i deboli. Lang stesso è un reietto della società, tornato in una casa che non esiste più, costretto a fare un lavoro degradante in una città che sta scomparendo. Il loro rapporto silenzioso è una delle metafore più toccanti del film: la possibilità di trovare tra i "perdenti" comprensione e redenzione in un contesto apparentemente ostile.
Uno degli aspetti più affascinanti di Black Dog è il modo in cui Guan Hu filma il paesaggio urbano. La città in cui si muove Lang è uno spazio fantasma, un non-luogo sospeso tra un passato operaio e un futuro di speculazione edilizia, già emblema del fallimento dello statalismo e al contempo anche fotografia di un presente che ha portato anche esso rovine e abbandono. Questo scenario desolato richiama le "città-fantasma" cinesi, simbolo di un progresso sfrenato che spesso lascia indietro intere comunità. Le sequenze in cui Lang attraversa questi spazi evocano un senso di smarrimento esistenziale, in perfetta sintonia con la poetica della Sesta Generazione; i panorami e le atmosfere sembrano quelle di una città di frontiera , di quelle che annunciano però la fine di qualcosa e non l’inizio di una avventura, una città del Far West relitto di una società che è cambiata probabilmente troppo in fretta.
Visivamente, il film in effetti ricorda un western urbano: grandi spazi vuoti, silenzi carichi di tensione e un protagonista solitario che sembra appartenere a un altro tempo. La fotografia di Gao Weizhe sfrutta una tavolozza di colori desaturati, con toni terrosi , cieli opachi , terra e polvere che accentuano la sensazione di abbandono. 

martedì 21 gennaio 2025

La stanza accanto [aka The Next Room] ( Pedro Almodovar , 2024 )

 




The Room Next Door (2024) on IMDb
Giudizio: 8/10

Pedro Almodóvar torna al lungometraggio con La stanza accanto, il suo primo film interamente in lingua inglese; presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2024, il film ha ottenuto il Leone d’Oro con il quale Almodovar bissa quello alla carriera assegnatogli nel 2019 e ha suscitato grande interesse per la sua delicatezza nel trattare un tema complesso e controverso: l'eutanasia e il diritto a una morte dignitosa. 
Con il suo inconfondibile stile, Almodóvar affronta la questione con un approccio intimo, costruendo una storia di amicizia, dolore e riconciliazione che si snoda tra il presente e il passato, lasciando un po’ da parte il suo stile sempre al limite del dissacrante o comunque molto personale per affrontare una tematica con la giusta profondità che merita.
La storia segue Martha , una celebre reporter di guerra alla quale è stato diagnosticato un cancro in fase terminale; consapevole della sua condizione e determinata a non affrontare una lunga agonia, prende la decisione di porre fine alla propria vita attraverso il suicidio assistito. Per farlo, chiede l'aiuto della sua amica di lunga data, Ingrid , una scrittrice di successo con cui condivide un passato ricco di confidenze, ma di fatto un presente  fatto  di distanze oltre che di condivisione del sentimento per lo stesso uomo seppure in momenti diversi.
Il film si sviluppa attraverso un intreccio temporale non lineare, alternando momenti del presente, in cui Martha e Ingrid si preparano all'inevitabile, a frammenti del loro passato insieme, permettendo allo spettatore di comprendere la profondità della loro amicizia, le loro scelte di vita e il peso di un passato complicato per  Martha. 
Almodóvar utilizza una regia asciutta, ma carica di emotività, soffermandosi sui dettagli, sui silenzi e sulle espressioni delle protagoniste, evitando retorica o sentimentalismi eccessivi ; dal punto di vista dei tempi narrativi, riprese e dialoghi sono perfettamente incastonati nel racconto rendendo ogni momento del film come parte strutturale di tutta la messa in scena.
Uno degli aspetti più potenti del film è il modo in cui esplora non solo il significato della scelta da parte di Martha, ma anche  il ruolo di chi accompagna una persona verso la morte scelta consapevolmente. 



Ingrid, inizialmente restia ad accettare la richiesta di Martha, si trova di fronte a un conflitto morale devastante: rispettare la volontà dell'amica o tentare di dissuaderla? Il film non cerca di dare risposte definitive, ma mette in scena la complessità emotiva di chi, pur non condividendo pienamente la decisione, decide di restare accanto per offrire supporto.
Almodóvar evita di cadere in facili giudizi morali, atteggiamento al quale è fedele da sempre, mostrando il dolore silenzioso di Ingrid, il peso della responsabilità e l'amore incondizionato che la spinge ad essere presente fino all'ultimo istante, il suo rimorso per una figlia dalla quale sente di non essere amata in quanto colpevole delle sue scelte fatte da giovane. Il film mette in luce la necessità di considerare l'eutanasia non solo dal punto di vista del malato, ma anche da quello di chi resta, affrontando la perdita e il senso di colpa.
Un altro tema centrale è la morte come occasione di riavvicinamento. Martha, nel corso della sua vita, ha avuto un rapporto difficile con la figlia , con la quale non ha mai voluto condividere la verità sul padre, rimasto un'ombra nel passato. Questa distanza emotiva ha scavato un solco tra le due, portando la figlia a nutrire un profondo risentimento. La malattia e la scelta della madre di porre fine alla propria vita diventano, paradossalmente, il catalizzatore per una tardiva riconciliazione, che giunge però  nel momento in cui tutto è ormai ricordo.
Attraverso una serie di dialoghi intensi e sguardi carichi di sottintesi, il film esplora il bisogno di verità, la paura del rifiuto e il desiderio di chiudere i conti con il passato prima che sia troppo tardi. La scelta di Martha di svelare alla figlia il segreto sulla figura paterna rappresenta il suo ultimo tentativo di darle una forma di pace, anche se il tempo per una vera riconciliazione sembra ormai svanito.

giovedì 16 gennaio 2025

Challengers ( Luca Guadagnino , 2024 )


 


Challengers (2024) on IMDb
Giudizio: 6/10

Il ritorno di Luca Guadagnino alla regia con Challengers segna un’incursione nel mondo dello sport, ma con l’inequivocabile tocco autoriale che contraddistingue il regista. Presentato come un dramma sportivo e sentimentale, il film si sviluppa tra i campi da tennis e le complessità delle relazioni umane, affrontando temi come l’ambizione, il desiderio e le dinamiche di potere che si instaurano tra i personaggi. 
Il film doveva avere la sua premiere a Venezia80 ma la ben nota serrata che ha messo in crisi Hollywood non ha consentito a Guadagnino di presentare il suo film alla rassegna veneziana bensì nella ben meno prestigiosa cornice di Sydney; da lì il film ha raccolto riconoscimenti e premi in ogni angolo risultando tra i lavori più premiati del 2024.
La storia ruota attorno a Tashi Duncan (Zendaya), un’ex promessa del tennis trasformata in allenatrice di successo dopo che un infortunio ha stroncato la sua carriera. Tashi è sposata con Art Donaldson (Mike Faist), un giocatore che si trova in una fase della carriera che sembra aver intrapreso la parabola discendente, dopo aver trionfato in tutti i tornei più importanti del mondo , escluso l’US Open, al quale però ha intenzione di dare un ultimo assalto.
Pensando di poter ridare un po’ di fiducia al marito Tashi lo iscrive ad un torneo minore  del circuito Challenger dove incontrerà giocatori con una classifica nel ranking nettamente inferiore alla sua e quindi facilmente battibili. Quando però i due scoprono che iscritto al torneo è anche Partick, un vecchio amico sin dall’adolescenza di Art, oltre che primo fidanzato di Tashi ai tempi degli US Open juniores ormai parecchi anni indietro, ed ora giocatore di basso rango che cerca di sbarcare il lunario coi premi miseri del circuito satellite, la loro relazione è messa duramente alla prova  ed  il film inizia a svilupparsi  attraverso un intreccio di flashback nel passato remoto e in quello prossimo e il presente e a  mostrare come il passato influenzi le dinamiche attuali tra i personaggi.
Guadagnino utilizza il tennis come una metafora per esplorare le relazioni umane, facendo del campo da gioco un microcosmo in cui si manifestano tensioni, tradimenti e passioni. Ogni colpo, ogni partita, riflette una dinamica emotiva tra i personaggi, intrecciando il destino professionale e personale in un’unica narrazione.
Tashi incarna la figura dell’ambiziosa stratega che sacrifica tutto – inclusi i sentimenti e le relazioni più intime – per raggiungere il successo, una ambizione che non mostra pietà per nessun cedimento. Guadagnino mostra  come l’ambizione possa trasformarsi in un'ossessione capace di plasmare identità e destini, lasciando al contempo cicatrici profonde su chi ne è coinvolto. 



L’ambizione di Tashi è ritratta come un’arma a doppio taglio: da un lato, la sua determinazione la spinge a eccellere, ma dall’altro ne sottolinea la solitudine e l’incapacità di mantenere connessioni autentiche. Guadagnino non giudica la protagonista, ma mette in luce come l’ambizione, pur non essendo intrinsecamente positiva o negativa, possa essere al contempo una forza creativa e distruttiva.
Il triangolo, di fatto incompleto, tra Tashi, Art e Patrick è il cuore pulsante del film, e si intreccia con una delle tematiche ricorrenti nel cinema di Guadagnino: l'ambizione e i suoi costi emotivi. Già in opere come Chiamami col tuo nome e Suspiria, il regista ha esplorato il desiderio come forza che spinge i personaggi verso la realizzazione personale, ma che comporta anche sacrifici e conflitti. 
In Challengers, il desiderio assume una dimensione molteplice: romantico, sessuale e professionale, riflettendo la complessità delle relazioni umane, una tensione narrativa che diventa sempre più sottile  senza però avere mai una esplosione reale, il che rappresenta un po’ il limite maggiore di questo film. Guadagnino scava nelle implicazioni psicologiche e morali di questa forza, mostrando come possa essere al contempo un motore per il cambiamento e una fonte di distruzione. 
Attraverso Tashi, il regista mostra come l’ambizione e il desiderio si intreccino in un equilibrio precario, capace di generare sia connessioni che distanze incolmabili tra i personaggi, ma non riesce a far deflagrare una situazione dal potenziale esplosivo immenso prediligendo anzi un finale piuttosto scialbo oltre che eccessivamente buonista: un abbraccio quasi casuale, tecnicamente persino grottesco è capace di mettere una pietra sopra a tutto e a sanare un “triangolo” che stava diventando sempre più tossico.

mercoledì 15 gennaio 2025

The Seed Of the Sacred Fig ( Mohammad Rasoulof , 2024 )

 




The Seed of the Sacred Fig (2024) on IMDb
Giudizio: 8/10


Il cinema di Mohammad Rasoulof ha sempre sfidato con coraggio i limiti imposti dalla censura e dalla repressione politica in Iran fino a giungere al punto di rottura consumatosi con questa opera a causa della quale ha ricevuto una condanna ad 8 anni di carcere dalla quale si è salvato espatriando clandestinamente e trovando rifugio in occidente proprio poco prima che il film venisse presentato a Cannes, raccogliendo trofei e riconoscimenti pressoché unanimi dalla critica, seguiti da una scia interminabile di premi in ogni angolo del mondo.
In effetti il successo raccolto dal lavoro di Rasoulof non può che essere intimamente legato alla vicenda personale del regista e a quella di alcuni degli attori impossibilitati a recarsi a Cannes, oltre che ad ergersi come una delle forme artistiche più prepotenti nel denunciare lo stato di persecuzione che una parte della società civile subisce in Iran, facendolo senza alcun filtro o metafora , ma prendendo di petto il sistema teocratico che tiene in scacco il paese.  
Con The Seed of the Sacred Fig, il regista, da sempre impegnato nella lotta civile per la democratizzazione dell’Iran, alza ulteriormente l'asticella, confezionando un'opera stratificata che indaga le contraddizioni dell'Iran moderno attraverso un approccio non solo politico ma anche sociale e più intimo andando a descrivere come le contraddizioni e la repressione brutale possano condizionare e sconvolgere persino i legami famigliari, un po’ come avvenne nel periodo della Rivoluzione Culturale in Cina. 
Il titolo stesso, che richiama il fico sacro ,sia per il Buddhismo che per l’induismo , e per la sua peculiare maniera di nascere e crescere, descritto brevemente in una nota che precede l’inizio del film, avrà un senso molto più chiaro una volta finita la visione della pellicola. 
Il film si sviluppa attraverso le vicende della famiglia di Iman, appena promosso a  giudice istruttore, evento che comporta non solo una sorta di scalata sociale ma anche la possibilità di avere un appartamento più grande e altri vantaggi riservati all’estabilishment teocratico; l’uomo è  noto per la sua inflessibile applicazione delle leggi islamiche e per la sua moralità integerrima, che lo porta  a fare i conti con una crisi di coscienza quando gli viene chiesto di firmare la condanna a morte per due  giovani colpevoli di avere manifestato contro il regime . 



Al centro della storia ci sono anche le dinamiche familiari con sua moglie Najmeh, che cerca di mantenere unita la famiglia nonostante le crescenti tensioni, e le figlie Rezvan, una giovane studente universitaria che inizia a mettere in discussione i valori del padre e della società teocratica persiana e alla quale viene imposto di fare attenzione nelle scelte delle compagnie ora che il padre svolge un lavoro di responsabilità e comunque sotto il mirino dei contestatori , e Sana, la figlia più piccola, ancora non pienamente consapevole delle contraddizioni che la circondano. 
Gli eventi precipiteranno quando sparirà da casa la pistola che era stata assegnata a Iman con il rischio che tutto ciò che l’uomo aveva ottenuto con la sua indefessa lealtà al regime svanisca in un attimo: la famiglia sarà scossa nelle fondamenta e verranno a galla quelle che sembravano solo delle piccole tensioni superficiali
L’interrogatorio che Iman organizza per le sue figlie, sospettate di avere sottratto la pistola al padre, con la collaborazione di un amico ufficiale di polizia, è una delle scene più emblematiche del film. Questo momento drammatico e surreale, in cui le ragazze vengono costrette a confessare quello che potrebbero non aver compiuto  all'interno delle mura domestiche, simboleggia l’intrusione dell’integralismo ideologico e religioso nella sfera più privata. Il paradosso che ne emerge è sconcertante: il giudice, pur amando le sue figlie, si lascia accecare dal dogma, incapace di vedere come i suoi metodi stiano distruggendo il legame familiare.
Uno dei pilastri del film è l’esplorazione di come l’integralismo religioso penetri ogni aspetto della vita sociale e familiare. Iman rappresenta l’uomo che si è fatto strumento del sistema, ma che gradualmente inizia a vedere le crepe nella sua fede incrollabile. La sua crisi di coscienza si riflette nella crescente ossessione per il significato di giustizia, un concetto che il sistema stesso ha svuotato di senso, ma d’altra parte il suo ruolo di padre in una società fortemente patriarcale, gli impone di non poter perdere la faccia davanti alle figlie e alla moglie e nonostante i suoi tentativi di contrastare la china messa in atto, la crescente contrapposizione della parte femminile della famiglia lo porta verso l’accecamento della ragione.
Ogni membro all’interno della famiglia vive la repressione in modo unico, offrendo una visione sfaccettata delle contraddizioni  dell’Iran contemporaneo: Iman è il rappresentante di un sistema che schiaccia l’individuo in nome della collettività ,Rezvan incarna la generazione giovane, intrappolata tra l’eredità culturale e il desiderio di emancipazione e la crescente insofferenza verso l’oscurantismo del fanatismo religioso, Najmeh cerca di mediare tra il marito e le figlie, simboleggiando il ruolo complesso delle donne in una società patriarcale nella quale le madri fungono da stabilizzatrici cercando di coniugare i valori della famiglia con le aspirazioni più liberali.

martedì 14 gennaio 2025

A Traveler's Needs ( Hong Sangsoo , 2024 )


 


A Traveler's Needs (2024) on IMDb
Giudizio: 7/10


Nel 2024 il regista coreano Hong Sangsoo , puntuale come è ormai da anni, dirige due lavori il primo dei quali è questo A Traveler’s Needs che consente al regista coreano di mettere l’annuale tacca nel suo personale curriculum di riconoscimenti ottenendo a Berlino l’Orso d’Argento  Gran Premio della Giuria  perpetrando quella che ormai è una sorta di tradizione  nella rassegna berlinese sempre prodiga di premi; per noi osservatori, cinefili , fans e visceralmente affezionati al cinema di Hong è l’ennesima occasione per assistere alle sue riflessioni  sulla condizione umana.
Hong Sang-soo, maestro del minimalismo cinematografico e cantore delle sfumature emotive più sottili, torna con  un film che, pur conservando i tratti distintivi del suo cinema, introduce alcune deviazioni interessanti dal suo repertorio. 
La pellicola si distingue da gran parte delle precedenti per la mancanza di personaggi legati al mondo cinematografico, autentici alter ego di Hong stesso , il più delle volte impelagati e insabbiati in problemi di ispirazione, un elemento spesso centrale nei lavori del regista. Invece, il cuore narrativo si concentra sul viaggio interiore ed esteriore di una donna straniera in Corea, interpretata con straordinaria delicatezza da Isabelle Huppert, la quale insegna francese , pur non avendo praticamente nessuna esperienza come insegnante e le cui conversazioni sono sempre improntate all’importanza della trasmissione delle emozioni, oltre ad essere una grande bevitrice di makgeolli che soppianta in questo lavoro il proverbiale soju, introducendo una curiosa deviazione dal classico schema presente in quasi tutti i lavori precedenti.



Molti film di Hong Sang-soo esplorano la vita di registi, sceneggiatori e attori, riflettendo sull’arte stessa del narrare e del creare; in A Traveler’s Needs, tuttavia, questa forma di autoreferenzialità tutt’altro che fastidiosa cede il passo a una narrazione più universale. La protagonista, una donna francese di mezza età in cerca di un senso di appartenenza, si muove con leggerezza, dialogando con i suoi improbabili allievi , passeggiando nei parchi , e ricercando nei suoi incontri per lo più carichi di quella casualità tipica dei film di Hong, di dare un senso alla forma di linguaggio . L’assenza di riferimenti al mondo cinematografico permette al film di concentrarsi su tematiche più esistenziali, come la solitudine, il bisogno di comunicazione e la ricerca di una connessione autentica.
Il linguaggio gioca un ruolo cruciale in A Traveler’s Needs: Isabelle Huppert interpreta una donna che non parla coreano e si trova a navigare un mondo dove le sue parole non hanno lo stesso peso. La sua interazione con i personaggi coreani avviene principalmente attraverso gesti, espressioni facciali e un inglese stentato. Questo crea un costante senso di alienazione, ma anche di vulnerabilità, che diventa una metafora potente della condizione umana. La scelta di Huppert, con il suo volto capace di comunicare una gamma infinita di emozioni, amplifica questa tematica, rendendo palpabile il divario tra ciò che viene detto e ciò che viene compreso.

lunedì 13 gennaio 2025

Emilia Perez ( Jacques Audiard , 2024 )

 




Emilia Pérez (2024) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Jacques Audiard, maestro della narrazione viscerale, carnale  e fortemente umana, torna con Emilia Perez, un film che unisce il dramma personale alla tensione criminale, costruendo un'opera che esplora la trasformazione identitaria e la possibilità di redenzione. Con una sensibilità unica, Audiard affronta il tema della transizione sessuale, intrecciandolo a un passato oscuro di narcotraffico e violenza.
Il film si concentra su Juan “Manitas” Del Monte , spietato leader di un potentissimo cartello di narcotrafficanti messicano, che decide di fuggire dalla propria vita di crimini e tradimenti. La scelta non è solo una fuga fisica, ma una rinascita totale: Juan da sempre vive in un corpo da uomo spietato e animalesco per sopravvivere, ma dentro di sé si nasconde uno spirito autenticamente femminile; ingaggia un’avvocatessa, Rita, che impariamo a conoscere in un breve ma decisivo prologo che deve fungere da architetta per il suo piano, in cambio ovviamente di una fortuna colossale, per diventare Emilia e cancellare dalla terra Manitas, e assicurare alla famiglia , moglie e due pargoli, una fuga sicura e una vita agiata carichi di soldi. 
Attraverso questa transizione, Juan non cerca solo di cambiare corpo, ma anche di liberarsi dal peso di una vita costruita su violenza e paura e si impegna nella difesa delle famiglie che hanno avuto desaparecidos per mano dei narcos, con Rita accanto come fida consigliera e amica. 
Tuttavia, il passato non si lascia abbandonare facilmente e soprattutto il richiamo del legame di sangue la porta a chiedere all’avvocatessa un ultimo lavoro: rientrare in Messico e riportare da lei la sua famiglia, ovviamente ignara di tutto e che lo crede morto, spacciandola per una facoltosa cugina di Manitas ; vecchi alleati e nemici riemergono, rendendo la sua lotta per la pace interiore una battaglia contro fantasmi che cercano vendetta.
Audiard affronta il tema della transizione sessuale con una delicatezza e una profondità rare. Emilia non è solo una donna in senso fisico; è un'anima che si riappropria della propria verità, svelando una vulnerabilità che contrasta con l'implacabilità del narcotrafficante che era. Il film evita di ridurre la transizione a un semplice cambio di genere, esplorandola invece come una trasformazione esistenziale. Emilia non rinnega il Manitas che era , ma cerca di comprenderlo e, in un certo senso, di perdonarlo, trovando nella sua nuova identità la forza di affrontare i demoni del passato.



Va anche detto che dal racconto che tratteggia il regista e dalla parabola della figura della protagonista, quello che emerge è una certa sfiducia da parte di Audiard a credere che chi nasce lupo possa morire agnello, una impossibilità a cancellare il proprio Dna e il proprio passato e quindi a compiere una totale “transizione” in tutti i sensi, non solo quello sessuale.
Senza dubbio la decisione più sorprendente e , a suo modo anche rivoluzionaria,  è la scelta di Audiard di affidarsi al musical come veicolo narrativo per raccontare la storia. 
Le canzoni e le coreografie si intrecciano ai momenti più intensi del film, offrendo un contrasto affascinante tra leggerezza e dramma. Il musical, spesso associato a toni leggeri e spensierati ( in un paio di casi siamo all'avanspettacolo puro...), qui diventa un veicolo per esprimere la complessità emotiva di Emilia. 
Attraverso i numeri musicali, il personaggio trova una via per elaborare il proprio dolore e la propria trasformazione, con sequenze che alternano introspezione e ironia; i puristi del musical forse masticheranno amaro ed in effetti come musical non siamo di certo di fronte ad un lavoro indimenticabile, ma la sola idea di aver scelto di raccontare una storia così carica di drammaticità , di violenza,  di dolore e di redenzione con canzoni e balletti non può non lasciare il segno
Questa scelta, per quanto audace, non sempre risulta completamente bilanciata. Se da un lato aggiunge un elemento di originalità e crea momenti di grande impatto visivo ed emotivo, dall’altro rischia talvolta di distogliere l’attenzione dalla densità della trama. Tuttavia, Audiard riesce per la maggior parte del film a trovare un equilibrio, utilizzando il musical non come semplice spettacolo, ma come metafora della necessità di Emilia di riscrivere la propria parabola narrativa, trasformando il suo passato violento in una sorta di opera teatrale in cui lei è finalmente la protagonista e non un burattino nelle mani del destino; va considerato inoltre ,come ha dichiarato lo stesso regista, in origine ( l’idea risale  a diversi anni orsono) il film doveva essere addirittura sotto forma di un’opera 

lunedì 6 gennaio 2025

Maria ( Pablo Larrain , 2024 )

 




Maria (2024) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Dopo Jackie e Lady D , Pablo Larrain affronta un’altra figura straordinaria del XX secolo : Maria Callas infatti si pone anch’essa nel cerchio ristretto di figure femminili che hanno lasciato una impronta indelebile nel secolo scorso. 
Non è dato di sapere se i tre lavori facessero parte di una trilogia così strutturata sin dall’inizio, possiamo però dire con ragionevole certezza che la coerenza con cui affronta queste tre figure  è ferrea, soprattutto per la prospettiva che sceglie: niente biopic in senso stretto, bensì uno studio intimo, psicologico , profondo e formalmente elegante  su un preciso momento doloroso delle tre protagoniste con l’intento di mostrarle al di fuori del mito che le circonda.
Il film si focalizza su un momento cruciale nella vita di Maria Callas: il periodo che segue il declino della sua voce e il ritiro forzato dalle scene, aggravato dalla fine della relazione con Aristotele Onassis, sola nella sua casa magnifica di Parigi, in compagnia dei fidati domestici Ferruccio ( l’autista tuttofare) e Bruna , in perenne conflitto con i farmaci dai quale riesce ad ottenere una fallace sensazione di benessere e di forza . 
Questo segmento della sua esistenza è segnato dalla riflessione personale e dalla difficoltà di accettare il distacco sia dal mondo della lirica sia dalla sua identità di "Divina". Attraverso questa fase, il film esplora il conflitto tra il mito e la donna reale, rivelando le ferite e i rimpianti che hanno segnato Maria Callas, mentre cerca di ridefinire se stessa lontano dai riflettori; una lotta continua , strisciante che si consuma nel profondo dell’artista tra il suo ruolo pubblico ( la Callas , la Divina, come ripete svariate volte nel film) e quello privato (Maria).
Larraín non si limita a ricostruire la cronologia degli eventi, ma utilizza l’opera lirica come specchio della condizione interiore della protagonista. Le arie che Callas interpretava, spesso tragiche e intrise di pathos, diventano nel film un commento alle sue stesse esperienze di amore, perdita e solitudine. 
Questo parallelismo è rafforzato da una regia che alterna momenti di grande teatralità ( fra i momenti più belli ed emozionanti della pellicola) a sequenze intime e quasi spoglie, sottolineando il contrasto tra il mito pubblico e la fragilità personale.



Larraín approfondisce lo studio psicologico di Maria Callas con una sensibilità rara; il film si sofferma sul peso delle aspettative che gravavano sulla cantante: l’esigenza di essere sempre perfetta, non solo vocalmente, ma anche nell'immagine pubblica. 
Attraverso una narrazione frammentata e non lineare, con una manipolazione del tempo eseguita con grande efficacia ,il regista svela le cicatrici di un’infanzia segnata da un’ambizione imposta dalla madre priva di scrupoli, la costante lotta per affermarsi in un ambiente dominato dagli uomini e l’impossibilità di conciliare la vita privata con una carriera totalizzante.
La performance dell'attrice protagonista è centrale nella riuscita di questo ritratto: l’interprete ( una Agiolina Jolie straordinaria di cui parleremo in seguito), di cui Larraín esige una recitazione asciutta e priva di manierismi, restituisce con straordinaria intensità l’interiorità della Callas. I silenzi e gli sguardi raccontano tanto quanto i dialoghi, dando vita a un personaggio che vive continuamente in bilico tra il desiderio di libertà e la prigionia della propria leggenda. 
Un elemento cruciale del film è la scelta di Maria di scrivere un'autobiografia, raccontandosi a un giornalista immaginario che guarda caso ha il nome del barbiturico di cui la cantante non riusciva a fare a meno. Attraverso questa autoanalisi, la Callas si confronta con i propri successi, rimpianti e paure, offrendo un ulteriore livello di profondità alla narrazione e permettendo al pubblico di avvicinarsi alla sua essenza più intima.
Uno dei temi ricorrenti del cinema di Larraín è la solitudine del genio, e Maria non fa eccezione, la Callas è ritratta come una donna che appartiene più al palcoscenico che alla realtà, incapace di trovare un’autentica connessione con chi la circonda. 

sabato 4 gennaio 2025

La Beast [aka The Beast aka La Bete] ( Bertrand Bonello , 2023 )

 




The Beast (2023) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Con La Bête, Bertrand Bonello ci consegna un'opera complessa  e visionaria che si muove sul confine tra il cinema di genere e la riflessione filosofica. Il film è un adattamento libero del racconto di Henry James The Beast in the Jungle e ruota attorno a temi complessi come la memoria, il libero arbitrio e il ruolo delle emozioni umane nelle scelte della vita.
Ambientato in un futuro distopico, il film racconta la storia di Gabrielle (Léa Seydoux), una donna che decide di sottoporsi a una procedura tecnologica avanzata per purificare le sue emozioni, ritenute un ostacolo alla piena razionalità e alla serenità. 
Questo processo la conduce attraverso frammenti di vite passate e future, portandola a rivivere momenti cruciali in cui le sue decisioni sono state profondamente influenzate dalle sue emozioni e dai ricordi in un arco temporale di più di un secolo; parallelamente, emerge la figura di Louis (George MacKay), un uomo enigmatico con cui Gabrielle ha un legame intimo e ineluttabile che trascende il tempo.
L'Intelligenza Artificiale occupa un ruolo centrale nel mondo distopico di La Bête. La procedura tecnologica a cui Gabrielle si sottopone per "purificare" le sue emozioni rappresenta l'apice del controllo tecnologico sull'individualità umana. 
Attraverso questa tecnologia, Bonello esplora il conflitto tra l'aspirazione a un ordine razionale e la natura caotica delle emozioni umane. L'IA incarna sia la promessa che la minaccia di un'utopia priva di sofferenza: una società apparentemente perfetta ma che, nel processo, sacrifica ciò che rende gli esseri umani unici. 
Gabrielle diventa così il simbolo di una resistenza intima e personale contro l'omologazione, abbracciando le sue emozioni come parte irrinunciabile della sua essenza. Questa visione critica pone interrogativi profondi sull'etica del progresso tecnologico e sul rischio di perdere l'autenticità dell'esperienza umana in nome di una falsa perfezione.



La memoria è il cuore pulsante di La Bête, Bonello esplora l’idea che i ricordi non siano semplicemente tracce del passato, ma elementi fondanti dell’identità umana. Attraverso i viaggi temporali di Gabrielle, il film mostra come ogni decisione sia radicata in una rete intricata di emozioni e memorie, rendendo impossibile separare razionalità ed esperienza emotiva. 
La tecnologia del futuro che promette di purificare le emozioni è, in realtà, una minaccia all’umanità stessa, poiché elimina l’autenticità delle scelte personali.
Contrariamente alla distopia tecnologica in cui le emozioni vengono percepite come una debolezza, Bonello le celebra come la vera bussola dell’esistenza. Le emozioni, anche quelle dolorose, definiscono il significato della vita di Gabrielle e diventano il motore del suo rapporto con Louis. La scelta finale della protagonista – se rinunciare ai suoi ricordi e alle sue emozioni o abbracciarli – rappresenta un atto di resistenza contro un mondo che cerca di uniformare e controllare gli individui.
Il titolo stesso – La Bête – allude a una forza primordiale che risiede in ognuno di noi, una commistione di desideri, paure e istinti che non possono essere domati. La “bestia” rappresenta la parte più autentica e incontrollabile dell'essere umano, quella che sfugge a ogni razionalizzazione e riflette l'essenza dei conflitti interiori. 
Per Gabrielle, questa “bestia” non è solo una manifestazione della vulnerabilità delle emozioni, ma anche una fonte di potenza e autenticità. Bonello sembra suggerire che accettare e confrontarsi con questa forza primitiva sia cruciale per comprendere se stessi, abbracciare le proprie contraddizioni e vivere pienamente l’incertezza della vita.

domenica 29 dicembre 2024

Vermiglio ( Maura Delpero , 2024 )

 




Vermiglio (2024) on IMDb
Giudizio: 7/10

Vermiglio di Maura Delpero, Leone d’Argento Gran Premio della Giuria a Venezia 2024, è un'opera che esplora il fragile equilibrio tra memoria collettiva e identità personale, ambientandosi nelle suggestive Alpi trentine durante gli anni cruciali della fine della Seconda guerra mondiale. Attraverso una narrazione intima e stratificata, il film segue tre giovani donne – Ada, Lucia e Flavia – che si muovono tra i vincoli di una società patriarcale e i loro desideri di libertà, in una comunità molto racchiusa in se stessa  dove il passato è sempre presente e dove il destino è segnato da strade già assegnate ad ognuno; inoltre in paese ci sono due disertori, uno dei quali autoctono, ma l’altro siciliano, che  con la loro presenza rischiano di sovvertire il fragile equilibrio di una comunistiche vive il suo isolamento quasi come un destino ineluttabile.
Delpero costruisce con precisione il microcosmo di Vermiglio, un villaggio che diventa metafora dell'Italia lacerata dalla guerra. L'utilizzo del dialetto locale e la ricostruzione accurata delle tradizioni – dai rituali religiosi alle pratiche agricole – immergono lo spettatore in un tempo sospeso, dove il peso della cultura locale è tanto una protezione quanto un ostacolo e costituisce di certo uno dei punti di forza del film. 
La regista mette in luce come le comunità di montagna siano state attraversate da tensioni profonde: lo scontro tra modernità e tradizione, tra maschile e femminile, tra la vita quotidiana e le incursioni della storia. Le Alpi, con la loro imponenza, diventano quasi un personaggio, una presenza silente che osserva i drammi umani.Ada, la figlia maggiore, incarna la ribellione silenziosa. In un contesto in cui le donne devono sottostare a rigide regole familiari, il suo desiderio di fuga e autonomia è un grido che risuona sotto la superficie della sua compostezza. La tensione tra dovere e desiderio è palpabile nelle sue scelte,  soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto amoroso col disertore siciliano  che segnerà in maniera drammatica ed indelebile la sua vita ,e Delpero la rappresenta con una delicatezza che evita facili stereotipi.
Lucia, la secondogenita, rappresenta invece il conflitto interno: il suo percorso di crescita è segnato dalla scoperta della propria identità in una società che non lascia spazio all'individualità. Il personaggio di Lucia è il più complesso e stratificato, poiché incarna il passaggio dall'adolescenza all'età adulta in un mondo che chiede conformità.


Flavia, infine, è l'innocenza messa alla prova. La più giovane delle sorelle è testimone silenziosa di un mondo in cambiamento. Attraverso il suo sguardo, il film si concede momenti di poesia e speranza, contrapponendosi alle ombre della guerra.
Oltre alla trama personale delle tre protagoniste, Vermiglio si interroga sul rapporto tra memoria e identità. La comunità del villaggio, con i suoi riti e le sue abitudini, diventa il simbolo di un'Italia che tenta di ritrovare se stessa dopo il trauma del conflitto. L'acqua e la neve, elementi ricorrenti nella fotografia, assumono un valore simbolico: purificazione, ma anche immobilità.
Il patriarcato, incarnato nella figura del padre Cesare, è al centro di un discorso che non si limita alla critica, ma esplora le complessità delle relazioni familiari. Cesare non è solo oppressore, ma anche vittima di un sistema più grande di lui, che lo incatena a ruoli e aspettative, ma paradossalmente è anche il personaggio più colto ed evoluto del villaggio essendo un maestro che si spende per l’istruzione dei ragazzini e anche degli adulti in corsi serali.
Il personaggio di Cesare è forse quello più sfaccettato e meglio riuscito per lo meno relativamente al suo ruolo all’interno del racconto: evoluto, ma tiranno in casa, sceglie il destino delle figlie in base a regole arcaiche tramandate da secoli, ascolta la musica classica , ma affronta con gravità la situazione della figlia maggiore; una ambiguità insomma  che dà vita ad un personaggio ben riuscito anche grazie alla prova eccellente di Tommaso Ragno.

venerdì 27 dicembre 2024

Do Not Expect Too Much From the End of the World ( Radu Jude , 2023 )

 




Do Not Expect Too Much from the End of the World (2023) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Con Do Not Expect Too Much from the End of the World, Radu Jude confeziona un'opera che unisce sarcasmo tagliente, riflessione sociale e sperimentazione narrativa, offrendo un affresco tanto ironico quanto inquietante della Romania contemporanea e del suo rapporto ambiguo con l'Occidente. 
Il film, diviso idealmente tra passato e presente, riesce a mettere in dialogo due epoche attraverso un racconto che si muove tra il tragico e il grottesco, confermando Jude come uno dei registi più originali del panorama attuale dirigendo un’opera che ha molti punti in comune con l’osannato Sesso sfortunato o follie porno sia dal punto di vista narrativo che da quello delle tematiche discusse.
Al centro del film troviamo Angela ( una eccellente Ilinca Manolache ), un'assistente di produzione freelance che trascorre le sue giornate guidando freneticamente per Bucarest alla ricerca di lavoratori infortunati per un video aziendale commissionato da una multinazionale per una campagna rivolta alla sicurezza sul lavoro; nei momenti di pausa la protagonista da voce e volto sommariamente truccato da software su Tim Tok al suo alter ego Bobita un esaltato che sproloquia in perfetto stile trash da social.
Per gran parte del segmento iniziale la sua figura è messa in parallelo con quella di un'altra Angela, protagonista del film rumeno Angela Moves On (1981) di Lucian Bratu. Quest'ultimo racconta le vicende di una tassista nella Romania comunista, creando un parallelo efficace tra le due epoche.
Il confronto tra le Angela – la tassista di ieri e l'assistente stressata di oggi – rappresenta una riflessione potente sull'evoluzione della società rumena: se l'Angela degli anni '80 navigava in un sistema rigido e prevedibile, quella contemporanea è immersa in un mondo frammentato e alienante, dove il capitalismo ha sostituito il controllo centralizzato, ma non ha alleviato il peso dell'oppressione. 
La sovrapposizione di frammenti del film di Bratu con la narrazione contemporanea crea un dialogo ironico e malinconico, suggerendo che le dinamiche di potere e sfruttamento restano immutate, seppur cambino le forme e i colori , visto che il film dell’Angela comunista è in un bel colore d’annata mentre  quello della Angela-Bobita post comunista è un bianco e nero sporco e sgranato.



Una delle scene più emblematiche del film che occupa tutta la lunga  parte finale in un piano sequenza interminabile, è quella in cui Angela filma Ovidiu, un lavoratore infortunato su una sedia a rotelle. La sua testimonianza, che dovrebbe raccontare un incidente sul lavoro, viene manipolata per soddisfare le esigenze di comunicazione della multinazionale. 
Questo processo di distorsione etica non solo svilisce la voce di Ovidiu, ma mette in evidenza le dinamiche di potere insite nelle strategie di corporate storytelling. Simili pratiche, ormai diffuse globalmente, trasformano storie autentiche in strumenti di marketing, sollevando interrogativi sulla responsabilità morale di chi gestisce tali narrazioni. 
La scena, in questo senso, funge da specchio inquietante per il modo in cui la società moderna spesso monetizza il dolore personale, rendendo la verità un elemento secondario rispetto agli obiettivi commerciali. Questa dinamica non si limita a una critica alla realtà rumena, ma diventa uno specchio delle tendenze globali, dove la narrazione personale è spesso subordinata alle logiche aziendali.
La ripetizione ossessiva delle battute, che devono essere perfettamente allineate alla narrativa aziendale, evidenzia l'ipocrisia e la disumanizzazione del capitalismo contemporaneo. Il caso di Ovidiu non è un'eccezione, ma un esempio paradigmatico di come i lavoratori vengano ridotti a "storie" utili per alimentare il consenso o la promozione di valori aziendali. Questa manipolazione riflette un fenomeno globale, in cui le vite dei singoli sono strumentalizzate per creare contenuti appetibili e politicamente convenienti.
In questa scena, girata come detto in un lungo piano sequenza, l'alienazione kafkiana emerge con forza: la macchina da presa si sofferma con insistenza su dettagli apparentemente insignificanti, come il volto teso di Ovidiu o i movimenti monotoni di Angela, enfatizzando la ripetitività e l'assenza di via d'uscita. Il ritmo lento e claustrofobico del piano sequenza, unito alla scelta di inquadrature statiche o strette, sottolinea il senso di impotenza e assurdità, trasportando lo spettatore in un microcosmo di alienazione e sfruttamento, le parole ripetute fino alla loro completa perdita di significato trasformano un dramma umano in una farsa. Jude utilizza questo momento per sottolineare come le narrazioni ufficiali non siano mai innocue, ma strumenti per mantenere lo status quo. Al tempo stesso, il regista ci invita a riflettere su come queste pratiche si siano ormai infiltrate nei media globali, rendendo la critica urgente e universale.
Lo stile di Jude è volutamente frammentato e multistrato, combinando bianco e nero, riprese digitali, citazioni di cinema d'archivio e momenti surreali. La scelta di includere l'alter ego di Angela su TikTok – un personaggio volgare e satirico che prende di mira misoginia e stereotipi – aggiunge una tematica ormai universale che riflette sul nostro rapporto con i media e l'identità digitale.

mercoledì 25 dicembre 2024

Twilight of the Warriors:Walled In / 九龙城寨之围城 ( Soi Cheang /郑保瑞 , 2024 )

 




Twilight of the Warriors: Walled In (2024) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Soi Cheang per la presentazione del suo nuovo attesissimo film Twilight of the Warriors: Walled In, sceglie  la prestigiosa cornice del Festival di Cannes seppure fuori concorso nella sezione Midnight Screening, dopo avere avuto nel Festival di Berlino nelle due precedenti occasioni il trampolino di lancio; al di là dei giudizi positivi raccolti  il film si è rivelato come il secondo all time al botteghino di Hong Kong relativamente alle opere  prodotte nella ex colonia britannica.
Il film di Soi Cheang offre un'immersione senza compromessi nella Kowloon Walled City degli anni '80, un luogo che ha fatto la storia di Hong Kong e che in questo frangente sembra quasi una allegoria della società degli anni 80 dove vige l'anarchia e l’istinto di sopravvivenza umana. Questo thriller noir, adattamento dell'omonimo manhua di Andy Seto, non solo racconta una storia di giustizia e criminalità, ma dipinge un affresco crudo e suggestivo di un microcosmo che esisteva ai margini di Hong Kong, sospeso tra mito e realtà.
La vera protagonista del film è la Walled City stessa: un intricato labirinto di edifici sovrapposti, illuminato da neon tremolanti e popolato da un mix eterogeneo di personaggi. Soi Cheang filma questo spazio con uno sguardo quasi documentaristico, catturandone sia il fascino che il degrado. Scene emblematiche come il mercato notturno, dove i neon pulsano sopra banchi affollati di mercanzie, o il confronto tra bande in un vicolo stretto, con l'illuminazione che enfatizza il caos e la violenza, mettono in risalto la dualità della città. L'architettura claustrofobica diventa metafora della condizione umana: compressione fisica e morale, ma anche una sorprendente capacità di adattamento. 
Come sempre poi è la mano del regista a dare quel tocco che fa di Twilight of the Warriors un film ricco di fascino, anche laddove l’aspetto più puramente narrativo non convince sempre a pieno, e di molti dei numerosi sottotesti che hanno fatto la fortuna del grande cinema d’azione di Hong Kong.



Soi Cheang sfrutta la sua esperienza come regista di action thriller (“Dog Bite Dog”, “SPL II”, “ Limbo”) per costruire sequenze di combattimento intense e visceralmente coreografate, che trasmettono un senso di precarietà e pericolo costante. In particolare, una scena ambientata in un corridoio stretto, dove il protagonista combatte contro più avversari con oggetti improvvisati, cattura perfettamente questa tensione, mentre un altro momento clou mostra un inseguimento tra tetti instabili, dove il pericolo deriva tanto dai nemici quanto dall'ambiente circostante. Le scene d'azione, spesso girate in spazi angusti, enfatizzano la natura selvaggia e imprevedibile della vita all'interno delle mura.
La storia segue un giovane  immigrato clandestino mainlander, segnato da un passato turbolento e alla ricerca di redenzione che si trova lungo la strada uno dei signori della malavita locale di Hong Kong per fuggire dal quale si ritrova catapultato, quasi fosse in una favola dark, nell’ambiente che domina la Walley City.
Attratto dalla Kowloon Walled City come un luogo in cui rifarsi una vita, si confronta con un ambiente dominato da bande criminali e privo di regole, dove la sua forza e determinazione saranno messe alla prova e soprattutto dove in breve tempo capirà come sia meglio comportarsi per non finire stritolato.
Il protagonista, entrato nelle grazie di Cyclone il signore incontrastato di Kowloon che regola la comunità con un fare tra il paternalistico ed il tirannico, si allea con un gruppo di abitanti locali, composto da ex lavoratori, piccoli commercianti e giovani cresciuti tra le mura, che cercano di resistere alle conseguenze di una guerra per bande che affonda le sue radici in un passato che mette di fronte vecchi amici e compagni d’armi ora su barricate diverse, al quale il protagonista è in qualche modo connesso.
Uniti dalla volontà di proteggere ciò che rimane della loro comunità, trovano nel protagonista una speranza per ribellarsi al regime di terrore. Attraverso tradimenti, alleanze inaspettate e scontri violenti, la lotta per il controllo della città si intreccia con la ricerca di un senso di giustizia personale, che il protagonista manifesta affrontando i fantasmi del suo passato e cercando di proteggere gli innocenti all'interno della Walled City. Questa evoluzione lo porta a mettere in discussione il significato di giustizia e il ruolo che può avere in un mondo senza regole.
I personaggi sono scolpiti con il tipico approccio di Soi Cheang: figure moralmente ambigue, in bilico tra redenzione e dannazione. Il protagonista lotta non solo contro i criminali, ma anche contro il proprio passato e le sue scelte. Gli abitanti della città incarnano diverse sfumature di umanità, dall’eroismo alla disperazione: un ex medico combatte per mantenere un dispensario improvvisato, mentre un giovane orfano diventa il simbolo della ribellione comunitaria con il suo sogno di aprire una scuola all’interno delle mura.

venerdì 20 dicembre 2024

Caught by the Tides / 风流一代 ( Jia Zhangke / 贾樟柯 , 2024 )

 




Caught by the Tides (2024) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Con Caught by the Tides, Jia Zhangke realizza una delle opere più intime e riflessive della sua carriera, un film che attraversa decenni di cambiamenti personali e storici, intrecciando il passato con il presente. Presentato al Festival di Cannes 2024, il film unisce materiale d’archivio tratto dai precedenti lavori del regista con nuove riprese, creando una narrazione che è al tempo stesso nostalgica e profondamente critica nei confronti del rapido sviluppo della Cina contemporanea.
Profondamente influenzato dalle peripezie della pandemia che ha bloccato il cinema per quasi due anni, Jia da buon documentarista quale è, sfrutta tutto il girato di alcuni suoi lavori precedenti ( Still Life e Unknown Pleasures in primis) creando un filo che percorre la sua cinematografia, le storie personali e la trasformazione della Cina fino ai giorni nostri innestandosi sulle riprese vere e proprie del film girate subito dopo la fine dell’emergenza mondiale.
Il racconto si snoda su quasi venti anni, articolato in tre segmenti distinti e segue le gesta di Qiao Qiao e della sua tormentata storia d’amore con Guo Bin affidandosi per i primi due interamente a filmati di archivio; questo approccio non convenzionale evidenzia il passare del tempo in modo tangibile, mostrando l'invecchiamento reale dei luoghi e dei protagonisti, mentre la qualità visiva varia tra formati digitali, pellicole 35mm e video a bassa risoluzione, rendendo il tempo un elemento viscerale e quasi palpabile nel film.



La scelta di Jia di utilizzare filmati dai suoi lavori precedenti, non è solo un omaggio al suo cinema, ma un modo per esplorare il tempo come memoria collettiva e personale.  Questo approccio potrebbe sembrare auto-referenziale, ma offre una meditazione profonda sul potere del cinema come mezzo per preservare e rielaborare il passato, andando ad arricchire ulteriormente la riflessione sul tempo che trascorre , cardine imprescindibile delle tematiche cinematografiche dell’opera del regista cinese.
Il film si concentra su come il tempo plasmi non solo i personaggi ma anche il panorama culturale e sociale della Cina. 
La costruzione della diga delle Tre Gole e il conseguente spostamento di milioni di persone sono rappresentati come metafore della trasformazione nazionale, a costo della perdita di radici e tradizioni. Jia mostra con malinconia il contrasto tra la vitalità delle comunità dei primi anni 2000 e il senso di alienazione del periodo post-pandemico. Il tempo, nel suo cinema, è sia distruttore che custode, e il film cattura questo dualismo con straordinaria sensibilità.
Il film esplora due temi fondamentali: l'impatto del progresso cinese e il trascorrere del tempo. Dai villaggi minacciati dalla diga delle Tre Gole ai centri urbani in rapida espansione, Jia mette in luce i sacrifici umani e ambientali del progresso economico. 
La narrazione segue anche il viaggio emotivo di Qiao Qiao, che cerca un amore perduto ma finisce per intraprendere una ricerca più profonda di sé stessa, offrendo un parallelo con una nazione alla ricerca della propria identità in un mondo globalizzato.
Quello che Caught by the Times esprime con maggior forza è il rapporto tra il cinema ed esplorazione temporale che sebbene sia una tematica carissima al regista, diventa qui quasi un trattato filosofico per immagini: il cinema come custode imperituro del tempo, conservando il passato, descrivendo il presente e prefigurando il futuro.
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