lunedì 21 aprile 2025

The Shrouds [aka The Shrouds-Segreti Sepolti] ( David Cronenberg , 2024 )

 




The Shrouds (2024) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

The Shrouds (sottotitolo italiano: Segreti sepolti) è l’ultima fatica del regista David Cronenberg, presentata in concorso al Festival di Cannes 2024. Un’opera profondamente personale, inquieta, stratificata, che sembra sintetizzare molti dei temi cardine della sua filmografia — il corpo, la tecnologia, la perdita di identità — attraverso una narrazione intima e algida, carica di dolore esistenziale e riflessione filosofica. 
È anche il suo film più esplicitamente autobiografico, nato come una elaborazione del lutto per la morte della moglie Carolyn Zeifman, avvenuta  nel 2017. The Shrouds è quindi un’opera sulla morte, ma anche della speculazione sul futuro, sul corpo e sull’irreversibilità della perdita.
Il protagonista Karsh (interpretato da Vincent Cassel, in uno dei ruoli più complessi e asciutti della sua carriera, quasi un clone anche fisicamente del regista stesso) è un imprenditore sessantenne che, devastato dalla morte della moglie Becca, ha sviluppato un’innovativa tecnologia funeraria chiamata “GraveTech” strutturata su un cimitero privato ( con annesso ristorante di alta qualità) nel quale attraverso  un sistema iper tecnologico basato su un sudario che permette di osservare in tempo reale la decomposizione dei corpi dei propri cari attraverso delle telecamere installate nei sudari stessi e nelle bare. La finalità — o forse l’illusione — è quella di continuare a “comunicare” con chi non c’è più, di prolungare un legame, di non arrendersi al vuoto definitivo del distacco.
Quando un atto vandalico distrugge alcune tombe dotate di GraveTech, tra cui quella della moglie, Karsh si ritrova coinvolto in un’indagine che è prima di tutto interiore. Il film prende presto però una piega cospirativa, con complotti che coinvolgono russi americani cinesi, hacker e soggetti oscuri senza diventarre però mai un thriller a tutti gli effetti. 
È piuttosto una riflessione disturbante e contemplativa sulla memoria, sul bisogno di dare forma alla perdita, sull’identità fratturata. Attorno a Karsh ruotano figure enigmatiche: la sorella gemella  di Becca (interpretata da Diane Kruger, in un doppio ruolo ambiguo), un maldestro hacker nonché  ex cognato , la moglie di un magnate di origini franco-coreane e i fantasmi — reali o immaginati — del passato coniugale.



La morte, da sempre una delle grandi ossessioni cronenberghiane, in The Shrouds non è tanto un evento biologico quanto un enigma metafisico e mediatico. L’idea di “guardare” la decomposizione del corpo attraverso uno schermo riprende in modo inquietante le teorie di Jean Baudrillard e l’estetica del postumano: ciò che è morto continua a esistere come immagine, dato, simulacro. È un lutto tecnologico, anestetizzato, ma mai elaborato davvero. La visione diventa una forma di controllo e di negazione della perdita: osservare la corruzione del corpo come se ciò bastasse a contenerne la scomparsa.
Karsh è un uomo che ha digitalizzato il dolore, che ha mercificato il cordoglio, ma non per cinismo: è un atto disperato, quasi religioso, che cerca una trascendenza là dove la biologia ha messo un punto. Il sudario tecnologico diventa così il nuovo sacrario, e Cronenberg insinua un parallelo tra la sacralità dei riti funebri e le nuove forme di culto digitale.
Il corpo, che nel cinema di Cronenberg è sempre stato teatro di trasformazione, qui è corpo morto, putrefatto, osservato. Dall’horror della carne mutante di The Fly e Videodrome si passa a una fissità glaciale: l’orrore non è più nella mutazione ma nell’inerzia, nella decomposizione. 
La tecnologia non serve più a potenziare il corpo, ma a fossilizzarlo e in questo senso, The Shrouds rappresenta una svolta nella poetica del regista: il postumano non è più un’estensione del desiderio, ma una forma di paralisi emotiva.
Karsh è un alter ego evidente di Cronenberg,è un uomo colto, ossessivo, solitario, che usa la creazione come forma di elaborazione del dolore. Ma come sempre nei personaggi cronenberghiani, la creazione sfugge di mano, si contamina, si ritorce contro il suo artefice. La paranoia cresce: chi ha distrutto le tombe? Perché? Cosa nascondeva davvero Becca? Cosa sono quei fenomeni post mortem che sembrano crescere adesi alle ossa della donna? 
La morte diventa anche occasione per riscrivere la narrazione dell’altro, per proiettare su di lui i propri fantasmi; ma è proprio su questi punti che il film mostra vistose pecche: tutte le sottotrame complottiste geopolitiche, di guerra digitale addirittura intercontinentale, sembrano un qualcosa di assolutamente superfluo, per lo meno elaborato in questa maniera, anche perché il film non è , e non vuole essere , un thriller classico; semmai Cronenberg ha cercato maggiormente , non riuscendoci neppure bene, una tensione e una inquietudine interna alla sua riflessione sulla morte e sulla elaborazione del lutto facendo affidamento sui suoi consueti canoni di narrazione.
In tal senso, il film si inserisce perfettamente nella tradizione cronenberghiana della soggettività instabile:  la realtà esterna sembra rispondere a una logica mentale alterata, come se tutto avvenisse dentro la psiche del protagonista. I dialoghi sono spesso ellittici, le situazioni rarefatte, il tempo stesso appare sfalsato. La sensazione è quella di assistere a un sogno (o incubo) lucido, in cui la coerenza narrativa è sacrificata a favore della densità emotiva e simbolica.
Molti critici hanno parlato di The Shrouds come di un film “testamentario”, e in parte è vero, non tanto perché Cronenberg vi saluta il cinema — tutt’altro — ma perché si confronta con la fine, con la propria finitezza, con la perdita reale di una persona amata. 
C’è un tono malinconico e riflessivo che pervade tutto il film, un senso di stanchezza del mondo, ma anche una straordinaria lucidità formale. Le immagini, curate con rigore, sono fredde, asettiche, dominate da un bianco livido che sembra annullare ogni calore. Non c’è spazio per la catarsi, né per l’emozione esplicita: tutto è trattenuto, come se ogni sentimento fosse passato attraverso il filtro di uno schermo.
The Shrouds è un film difficile, a tratti respingente, sicuramente lungi dall’essere perfetto,ma profondamente coerente con lo stile e la visione cronenberghiana. Un’opera che rifiuta la consolazione, che esplora l’angoscia del tempo e la labilità dei legami attraverso una distopia quieta e domestica. 
Chi cerca una narrazione lineare o un dramma emotivo diretto resterà forse deluso. Ma chi è disposto ad affrontare il dolore nella sua forma più cerebrale e difficile e probabilmente più dolorosa, troverà in The Shrouds un’opera che possiede una imperfetta potenza simbolica.
Cronenberg, con la sua chirurgica freddezza, firma un film che parla della morte, ma anche del nostro desiderio di guardarla in faccia — e dell’impossibilità di farlo davvero. Perché il lutto, alla fine, è sempre uno schermo nero, anche se pieno di dati.


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