giovedì 16 febbraio 2023

The Northman ( Robert Eggers , 2022 )

 







The Northman (2022) on IMDb

Giudizio: 6/10

Giunto alla sua terza opera che segue The VVitch e The Lighthouse, film che hanno contribuito a delineare in maniera netta i contorni di un cineasta tra i più interessanti apparsi negli ultimi anni, Robert Eggers con una robusta dose di ambizione sceglie un racconto che già di per sè si presta, come vedremo, a molteplici approcci narrativi ; in più, trattandosi di produzione a budget cospicuo il confronto con il blockbuster diventa praticamente inevitabile per un autore che invece aveva fatto del cinema d'autore e di nicchia il suo spazio artistico.
Con shakespiriano piglio Eggers si confronta con il racconto epico-tragico che portò il grande drammaturgo inglese   a scrivere l'Amleto, ispirandosi alla saga nordica contenuta nel racconto danese di Saxo Grammaticus: una storia di vendetta e di violenza ambientata sul finire del primo millennio.
Il principe Amleth , ancora giovinetto, assiste al brutale assassinio del padre-re e al rapimento della madre-regina per opera del truce fratello del sovrano, riuscendo a sfuggire alla morte grazie alla sua astuzia e alla sua innata capacità di sopravvivenza cui il padre lo aveva allenato sin da giovane tra danze macabre, scorregge, rutti e tutto il corollario tribale imposto dalle tradizioni e dalla religione.
Riparato presso una popolazione vikinga, Amleth medita la vendetta ogni minuto della sua vita fino a quando ispirato da spiriti a lui benevoli viene a sapere che lo zio usurpatore è fuggito in Islanda perchè deposto da un re norvegese: il destino pone quindi davanti ad Amleth l'occasione giusta per placare la sua ossessione di vendetta.



Pur rimanendo nel solco del folklore e della leggenda iniziato a tracciare con le opere precedenti, The Northman è opera che si discosta molto da questa, non tanto per il tema trattato e per i riferimenti storico-culturali, ma soprattutto per la costruzione del film stesso: laddove il cinema di Eggers si caratterizzava per una funzionalissima originalità sia di scrittura che di messa in scena, alimentata fondamentalmente da una rivisitazione autoriale dell'horror, subentra con l'ultima fatica una attenzione verso il pubblico ed in ultima analisi verso il botteghino che caratterizza quella che appare come la vera sfida contenuta nella pellicola e cioè costruire un blockbuster conservando una autorialità sofisticata e francamente individuabile subito, operazione difficile ambiziosa e che molto spesso ha prodotto danni inenarrabili nel Cinema.
Che The Northman sia opera che porti la firma di Eggers è abbastanza chiaramente comprensibile, che la spettacolarità di ampia presa abbia il sopravvento sullo stile e sulla filosofia cinematografica dell'autore lo è altrettanto, col risultato che la pellicola rimane nel guado per tutta la sua cospicua durata, tralasciando troppo spesso aspetti fondamentali come il tratteggio dei personaggi, la riflessione sulla forza dirompente e destruente della ricerca della vendetta che non sia soltanto ruggiti animaleschi ed efferati gesti, la trattazione quasi filosofica che la scelta di Amleth comporta , impregnata di intimismo e di riflessione aspetto che invece privilegiò Shakespeare.
Il risultato è una opera spettacolare, roboante in alcuni momenti, ma che troppo spesso si ferma alla superficie di una violenza truce che non trova quasi spiegazione se non in superficiali descrizioni di riti e di tradizioni primordiali, quasi un compendio storico-flokloristico di una civiltà  che all'occhio di noi occidentali appare primitiva e sanguinaria.

lunedì 6 febbraio 2023

Decision To Leave ( Park Chanwook , 2022 )

 




Decision to Leave (2022) on IMDb
Giudizio: 9.5/10

Vincitore del Premio per la regia all’ultimo Festival di Cannes, doppiando quindi i riconoscimenti ottenuti negli ultimi 18 anni dapprima con Old Boy e quindi con Thirst, inspiegabilmente lasciato fuori dalla cinquina finale degli Oscar, nonostante sia largamente superiore a tutti quelli inseritevi, Decision to Leave , ultima fatica di Park Chanwook ,grazie alla Lucky Red, trova una distribuzione italiana stranamente tempestiva, segnale , forse, che, soprattutto per l’opera di alcune case di distribuzione un po’ più lungimiranti e meno ossessionate dal botteghino, i tempi stiano finalmente cambiando con l’idea che anche cinematografie che storicamente hanno meno penetrazione nel panorama italiano possano finalmente trovare lo spazio che meritano.
L’opera del regista coreano ci consegna una figura di cineasta definitivamente ed inequivocabilmente tra le più grandi del Cinema moderno, un autore che ha saputo percorrere sentieri variegati, a volte addirittura divergenti pur di sperimentare e di consolidare il suo concetto di cinema classico, pur partendo da opere ( si pensi alla Trilogia della vendetta) che sono state al contempo tra le più deflagranti del cinema del nuovo millennio e che hanno creato una scia di ammiratori , al limite del fanatismo, in ogni angolo del mondo.
Ma sul discorso dell’idea di Cinema di Park converrà tornare in seguito, con più attenzione , perché è uno degli argomenti più importanti che emerge da Decision to Leave in particolare, ma dall’opera omnia del regista in generale.



Il racconto del film si snoda intorno alla figura di Haejoon, stimato detective della polizia di Busan, insonne e spesso impegnato in appostamenti notturni, ossessionato dai cold case irrisolti che gli pesano sul collo come macigni, rammentati in maniera macabra da una parete  di casa interamente tappezzata di foto di cadaveri di persone che cercano ancora giustizia; il detective ha anche una vita privata, a sua volta molto ordinaria ( la moglie lo accusa di avere bisogno di omicidi su cui indagare per sentirsi vitale), in cui tutto sembra ordinato e piatto ed una moglie che si preoccupa che il loro rapporto comunque non vada in crisi.
Quando si trova ad indagare sulla morte di un uomo dal passato non proprio cristallino avvenuta per una caduta durante una scalata in montagna, Haejoon si convince subito che non si è trattato di incidente, a maggior ragione quando incontra la giovane moglie dell’uomo,Seorae, una cinese immigrata da alcuni anni in Corea, che a suo dire non maneggia ancora a pieno la lingua.
L’incontro è un fulmine a ciel sereno per il detective, anche perché , oltre alla repentina attrazione per la donna , cresce altrettanto rapidamente la convinzione che questa non sia totalmente estranea alla morte del marito.
Da qui parte un racconto che si sviluppa su vari binari, tra i quali emergono quello puramente da thriller procedurale e quello più torbido di una attrazione che si trasforma immancabilmente in una storia d’amore dove disperazione e melodramma si accavallano.
Inutile dire, come hanno fatto tutti, visto che è innegabile , che il punto di partenza di Decision to Leave è il cinema di Alfred Hitchcock, sebbene Park abbia smentito qualsiasi forma di citazione o riferimento; se è vero che la tematica in effetti ha prodotto centinaia di opere cinematografiche, è anche vero che il film di Park nel suo insieme va confrontarsi coi capolavori di stampo antico, quel cinema classico, senza tempo che rimane un archetipo cui pochi possono tendere.
Se il punto di partenza è quindi Hitchcock inteso come modello ancestrale, Decision to Leave regala in alcuni momenti le stesse emozioni del miglior Wong Karwai, quello di In The Mood For Love per intenderci, capace di raccontare come pochi un amore proibito, tribolato, sussurrato quasi con pudore ma al contempo animato da una forza e da una sensualità dirompenti.

Argentina,1985 ( Santiago Mitre , 2022 )

 




Argentina, 1985 (2022) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Una delle prime decisioni adottate da Raul Alfonsin, primo presidente democraticamente eletto in Argentina dopo 7 anni di dittatura da parte di una giunta militare tra le più sanguinarie che la storia recente ricordi, fu quella di mettere alla sbarra i protagonisti scellerati di quegli anni di terrore; al rifiuto da parte dei tribunali militari di processare i vertici delle tre armi, tutti protagonisti della giunta, l'incombenza fu demandata ad un tribunale civile appositamente costituito in cui l'accusa fu affidata a Julio Cesar Strassera, magistrato esperto, coadiuvato da un team di giovani avvocati, alcuni dei quali neolaureati, e da Luis Moreno Ocampo, un giovane magistrato, come suo collaboratore più stretto.
Con pochissimo tempo a disposizione rispetto all'inizio del processo, una mole imponente di documenti raccolti e da analizzare, un clima misto di paura e sfiducia riguardo ad una società argentina ben lungi dall'essersi lasciata alle spalle le sue simpatie per i militari, Strassera riesce a mettere in piedi il processo che porterà in carcere buona parte dei militari coinvolti.
A questo periodo storico preciso, appunto il 1985 , anno dell'inizio del processo che darà al paese una nuova dimensione, guarda il racconto di Argentina, 1985 , sesto lungometraggio del regista argentino Santiago Mitre, selezionato nella rosa finale dei candidati all'Oscar come miglior film in lingua straniera.



Pur riferendosi ad uno degli eventi storici più straordinari del secolo, l'opera di Mitre non ha alcuna pretesa di ergersi a documento storico appunto, strutturandosi come un film processuale in senso stretto, anzi, in buona parte, soprattutto quando il racconto si svolge al di fuori dell'aula giudiziaria , o comunque dai palazzi  della giustizia, il tono assurge quasi a quello di una commedia, sia nelle parti in cui Strassera viene presentato in famiglia, sia in quelle in cui deve barcamenarsi tra minacce, "consigli" e interminabili riunioni col suo team.
Lungi dal credere che il regista abbia voluto alleggerire le atmosfere di una storia che non può non avere tinte drammatiche visto il coinvolgimento che ha avuto su larga parte della popolazione, viene più logico pensare che forse Mitre è uno di quei ragazzini che all'epoca del processo aveva 5 anni, aveva vissuto solo i colpi di coda della tragedia della dittatura e può quindi considerarsi più libero di interpretare gli eventi senza l'oppressione profonda del ricordo.
La scelta comunque funziona perchè nonostante le quasi due ore e mezza Argentina,1985  raramente presenta momenti di stanca o inciampi di ritmo narrativi; quello che al regista interessa maggiormente, non è l'agiografia di Strassera e del suo team, bensì il meccanismo che animava la società argentina attraverso il quali poter interpretare come una catastrofe come la dittatura abbia potuto avere luogo nel paese: poteva bastare la minaccia terroristica dei Montoneros a giustificare l'appoggio più o meno esplicito ad un regime di chiaro stampo autoritario e sanguinario? perchè tanta parte della società argentina, soprattutto il ceto medio, girava la testa altrove e non vedeva quello che per stette anni ha insozzato un paese dalle grandi tradizioni? perchè solo davanti al racconto in prima persona dei sopravvissuti, trasmesso dal tribunale in diretta tv e quindi accessibile a tutti, gli animi hanno iniziato a smuoversi e a lasciarsi alle spalle una ignavia sulla quale il regime ha pascolato beatamente?

venerdì 3 febbraio 2023

Gli spiriti dell'isola [aka The Banshees of Inisherin] ( Martin McDonagh , 2022 )

 




The Banshees of Inisherin (2022) on IMDb
Giudizio: 8/10

Padraic e Colm sono vecchi amici, vivono la loro tranquilla esistenza sull’isola immaginaria di Inisherin, dove la vita scorre pacifica, solo da lontano disturbata dai colpi di cannone che provengono dalla terra ferma e  che ricordano che siamo sul finire della guerra civile irlandese nel primo ventennio dello scorso secolo.
Una vita che sotto lo sguardo vigile e protettivo di una statua della Madonna che troneggia sul villaggio offre solo pomeriggi al pub che spesso finiscono in sbornie colossali, la messa domenicale,la cura degli animali per Padraic e le ispirazioni musicali per Colm, suonatore di violino.
Quando una mattina Colm comunica al suo amico che non ne vuole più sapere di lui e di spendere il suo tempo con una persona noiosa rompendo quindi una amicizia durature, Padraic non si riesce a darsi pace , non comprendendo il perché di ciò e tenta con tutti i modi di poter parlare con l’amico per spiegarsi e per conoscere le vere motivazioni di quella decisione; questi , di contro, minaccia azioni di rivalsa (persino l’automutilazioe) qualora l’ex amico continui ad importunarlo.



Ben presto il rapporto tra i due diventa di aperta contrapposizione portando , in un crescendo a tratti quasi grottesco, a conclusioni drammatiche.
La storia che si dipana in Gli spiriti dell’isola, quarta opera di Martin McDonagh, subissata di Golden Globe e probabile razziatrice anche ai prossimi Oscar, oltre che vincitrice a Venezia del premio come migliore sceneggiatura, è un racconto sostenuto da incombenti tinte drammatiche, che però grazie ai dialoghi e a certe situazioni narrative scivola spesso nella commedia  nera abitata da un tipico black humor .
Se da un lato il film appare come la disamina di un dramma personale che scaturisce da una separazione traumatica in cui il sempliciotto e pacifico Padraic, uomo solo che vive con una sorella che spera di lasciare presto l’isola e il suo piattume,  legato al suo asinello e alle sue mucche in una sorta simbiosi naturalistica, e che si lascia trascinare da una esistenza grigia , sempre uguale a se stessa, priva di ambizioni e di slanci, si trova a dovere accettare una decisione inspiegabile, motivata poi da Colm, uomo invece più rude e tormentato, con una forza propulsiva a voler lasciare traccia di sé nel mondo abbandonando quella vita monotona e priva di spunti emozionali, paragonandosi quasi a Mozart, emblema dell’immortalità della sua genialità e vivacità di ingegno, dall’altra l’opera del regista irlandese, anche attraverso  una serie di personaggi di secondo piano, va a scavare nei rapporti interpersonali che si costruiscono nelle comunità chiuse e nelle quali sono presenti con molta forza anche  le tradizioni attraverso il folklore e le leggende.
La banhsee del titolo originale è una tipica figura della tradizione irlandese che prende le forme ibride un po’ di fata e un po’ di strega e che compare ad annunciare la morte di qualcuno; è una immagine questa che potrebbe anche apparire tutto sommato fuori luogo nel contesto del film, ma l’ambientazione sospesa che sembra sovente scivolare verso toni fiabeschi contribuisce in effetti a costruire un clima nel quale anche il grottesco sembra ammantarsi di fiabesco. Tale scelta da parte del regista di creare una ambientazione che fluttua nel tempo, quasi isolata dalla realtà (persino la guerra sembra lontanissima, un’eco fastidiosa quasi) è rafforzata dall’utilizzo degli scenari naturali che vanno oltre il verde abbagliante che è solitamente un topos dei film ambientati in Irlanda, grazie ad una fotografia sapiente infatti, i giochi di luce e di colori indotti dal passaggio dagli squarci di sole alle nebbie fanno dell’atmosfera dell’isola un palcoscenico appunto quasi da favola. 
Il crescendo narrativo sempre più carico di dramma in cui l’amicizia si trasforma ben presto in contrapposizione carica di odio soprattutto da parte di Padraic, trova nel finale un epilogo che per alcuni versi appare persino ambiguo, nel quale è chiara e nitida l’incapacità di entrambi i protagonisti della faida di liberarsi dal giogo della solitudine che l’isola infonde in chi ci vive, e da quel legame ancestrale che risulta impossibile da troncare.
Gli spiriti dell’isola è un ritorno all’antico per Martin McDonagh, un rivolgere lo sguardo a quei toni più intimistici  che avevano contribuito nel suo film d’esordio In Bruges ad un’opera di grande valore, a tutt’oggi probabilmente ancora il suo miglior lavoro; di certo il regista irlandese dà ancora una volta prova di una grande capacità di scrittura, grazie ai dialoghi e a quella maniera molto abile che ha nel passare dal dramma alla commedia nell’arco di poche battute, che è in Gli spiriti dell’isola una delle caratteristiche più valide, supportata peraltro splendidamente da una regia poderosa.
L’aver ricostituito la coppia di attori protagonista di In Bruges, Collin Farrell e Brendan Gleeson, si è dimostrata infine una scelta azzeccata, soprattutto riguardo al primo, premiato a Venezia con la Coppa Volpi per il migliore attore e candidato all’Oscar per il premio come miglior attore protagonista, dà una definitiva ed inappellabile prova della sua grande versatilità e della sua bravura che non sempre hanno trovato estimatori; con Gli spiriti dell’isola ogni dubbio viene definitivamente fugato riguardo alla bravura e alla classe dell’attore irlandese.
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