Giudizio: 8/10
L’opera prima di Robert Eggers , The VVitch , è stata uno degli eventi cinematografici più sorprendenti del decennio appena concluso , motivo per cui i quattro anni intercorsi prima che l’opera seconda vedesse la luce hanno creato un clima di forte attesa nel pubblico e anche tra la critica, soprattutto perché col suo primo lavoro Eggers aveva in maniera roboante rivisitato, riscritto e rilanciato il cinema horror; non a caso da allora svariate sono state le opere cinematografiche che hanno avuto in The VVitch un più o meno dichiarato modello d’ispirazione.
L’attesa per The Lighthouse non è andata delusa, essendo riuscito Eggers a creare un’altra opera di forte impatto e che fa di tutto per rinsaldare i canoni dell’horror , magari filtrati attraverso una prospettiva autoriale molto personale che faccia uscire il genere da quel limbo da B-movie in cui sembra essere relegato.
Se in The VVitch era la New England del XVI secolo lo sfondo del racconto, The Lighthouse è ambientato in una remota isola al largo della Nuova Scozia nel XIX secolo, un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini dove l’unico segno di vita è il grande faro che aiuta le imbarcazioni in navigazione.
A vivere nel faro ci sono Thomas, vecchio uomo di mare scorbutico e greve e il suo assistente Ephraim giunto nell’isola per un periodo di quattro settimane che gli consentirà di guadagnare un bel gruzzolo di soldi. Da subito il vecchio Thomas mette in chiaro le regole: per il giovane attendente la vita non sarà facile impegnato nei compiti più pesanti e disagevoli ( pulizia delle latrine, pittura del faro, trasporto di pietre etc), ma non solo, dovrà subire le angherie da vecchio bisbetico e dispotico anche quando hanno finito il turno di lavoro.
L’iniziale convivenza improntata sull’ignorarsi reciproco diventa lentamente più opprimente, scandita da lunghe bevute , da racconti marinareschi , da leggende e da storie di vita personale, da violenti alterchi; Thomas da vecchio lupo di mare è legatissimo alle superstizioni tramandate mentre il giovane Ephraim non sembra disposto a sottostare alle regole che queste superstizioni impongono.
Comunque il tempo passa nell’isolamento più totale, qualcosa inizia ad incrinarsi nella sanità mentale dei due personaggi, gli scontri diventano sempre più frequenti e violenti, l’alcool scorre a fiumi e soprattutto la tempesta infinita impedisce alla nave di portare rifornimenti e a Ephraim di lasciare l’isola una volta giunto al termine del periodo stabilito.
Il confronto tra i due diventa quindi una lotta senza quartiere, in uno stato di totale assenza di lucidità dettato dall’alcool, scopriremo che Ephraim in realtà è un’altra persona che ha preso quel nome rubandolo ad un morto, infatti anche lui si chiama Thomas (aspetto che potrebbe guidare verso una chiave di lettura del film…), ma soprattutto oltre alla violenza verbale e non solo , i due iniziano ad avere anche visioni di esseri che appartengono alla mitologia marinara; su tutto domina quella enorme lampada che campeggia in cima al faro, dove al giovane Thomas è tassativamente proibito avvicinarsi.
L’escalation avrà un finale coerente, raggiungendo il climax di violenza e di follia.
Se The VVitch era fondamentalmente il racconto del rapporto dell’uomo con il demonio, in The Lighthouse Robert Eggers centra la sua storia sul rapporto dell’uomo con la divinità , con il mito, con Dio.
In numerosi frangenti il racconto si rivolge alla mitologia , soprattutto quella marinaresca, che detta le sue leggi ammantate di superstizione ( su tutte quella sui gabbiani che essendo le anime dei morti in mare non debbono essere maltrattati),ma non solo a quella bensì anche alla mitologia classica ( il finale richiama in maniera nettissima il mito di Prometeo) che si interseca con quella religiosa ( la luce della lampada che stordisce e che è preclusa al giovane Thomas, quasi fosse una immagine divina).
Ma The Lighthouse, lavoro che richiede un certo background culturale per essere recepito nella maniera migliore , è anche il racconto di una deriva umana verso la follia dettata dall’isolamento, dalla convivenza forzata, dal sopruso e dall’obnubilamento della ragione, sentiero sul quale si avviano sin dall’inizio i due (unici) protagonisti.
L’impianto narrativo che mette in piedi Eggers è di certo raffinato e potente, elegante e oscuro, in tutti i suoi aspetti: anzitutto dalla scelta di utilizzare la pellicola 35 mm ed un formato (1.19:1) che in un bianco e nero cupo e penetrante danno all’opera una veste da film d’annata, uscito quasi da qualche magazzino in abbandono; inoltre per tutta la durata l’audio fa da cornice irrinunciabile scandito dal vento, dai rumori del mare, e da quelli degli alloggi del faro, dalle voci alterate dei due protagonisti; l’ambiente aspro tipico delle isole dei mari del nord viene reso ancor più tetro e cupo dalla esaltazione che il bianco e nero dona al paesaggio dal cielo sempre coperto e sferzato dal vento e della pioggia; per finire il regista opta per una forma di inglese piuttosto arcaica, tipica del gergo marinaresco , che contraddistingue soprattutto l’eloquio del vecchio Thomas.
Insomma una livrea di grande effetto ideata e costruita da un regista che sa Il fatto suo e che conferma quanto di buono si era visto con The VVitch proprio nella sua attenzione alla costruzione dell’ambiente e delle atmosfere.
Molti aspetti, soprattutto quelli più allegorici o quelli che richiedono una attenta analisi per ben comprendere il senso della pellicola, si prestano a molteplici interpretazioni, così come il finale: di certo The Lighthouse è film stimolante, colto, che esprime una violenza bruta recondita ma pronta sempre ad esplodere in ogni suo aspetto, un lavoro che dietro i canoni dell’horror nasconde una serie di tematiche che richiedono una certa attenzione oltre che una buona predisposizione nel riuscire a coglierle.
Con questo secondo lavoro Robert Eggers conferma le sue qualità sia tecniche che narrative imponendosi come uno dei registi più interessanti dei questi ultimi anni.
Cenno finale dovuto ai due protagonisti che quasi in una battaglia senza esclusione di colpi e all’ultimo sangue rivaleggiano sullo schermo anche in quanto a bravura: Wiillem Dafoe è bravissimo nei panni del vecchio e spregevole Thomas e sembra veramente una sorta di reincarnazione del Capitano Acab, mente invece Robert Pattinson regala una prova nella quale dimostra inequivocabilmente le sue doti , soprattutto perché il suo personaggio è quello che va incontro in maniera più netta ad una serie di trasformazioni nel corso del racconto tali da renderlo quasi un’altra persona.
Straordinariamente coinvolgente. I protagonisti, poi, superlativi. A me è piaciuto davvero oltre ogni aspettativa. Lo reputo tra i migliori film dell'anno appena trascorso.
RispondiEliminasì sono d'accordo, un passo avanti anche rispetto a The VVitch; un film non facile con molti riferimenti da cogliere-
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