Giudizio: 6/10
Yoav scappa da Israele, suo paese Natale, e approda a Parigi; stanco del militarismo spinto e del nazionalismo che fortificano la società israeliana, terminato il servizio militare, decide di lasciarsi tutto alle spalle, di cancellare la sua memoria nazionale al punto di rifutare di parlare la propria lingua.
La Francia non è che lo accolga tanto bene: viene infatti derubato di tutto quello che aveva con se nel suo zaino, ma per fortuna si imbatte in una coppia di giovani che lo accolgono in casa e con i quali stabilisce un rapporto di amicizia; Emile è un facoltoso nullafacente, con velleità letterarie che si trova subito attratto da Yoav, non solo per le storie , più o meno vere o millantate che il ragazzo racconta della sua vita da militare in Israele, ma anche come persona , lasciando chiaramente intendere una attrazione sessuale; Caroline è una musicista dall'apparenza un po' snob-parigina e suona l'oboe in una orchestra , di frequente si accompagna ai due uomini creando un atmosfera da menage a trois.
Yoav vive con il suo forte senso di ribellione e con la volontà di cancellare il passato, ma, soprattutto quest'ultimo desiderio è difficile da realizzare trovandosi spesso a contatto con connazionali che lavorano per un servizio di sicurezza presso cui anche lui trova lavoro.
Acquisire una nuova identità è insomma difficile, anche perchè il passato, la famiglia, la fidanzata sembrano in qualche modo inseguirlo senza tregua; inoltre pian piano si rende irrimediabilmente conto che quel paradiso che pensava fosse la Francia presenta problemi di integrazione addirittura insormontabili a causa del ben noto sciovinismo francese.
Una vita irrequieta insomma che nel finale imbocca un vicolo cieco, una visione pessimistica del futuro in un paese che respinge o richiede una aprioristica assimilazione di tutto , a partire dalla Marsigliese.
Synonymes, titolo che rimanda chiaramente alla presunta uguaglianza tra Israele e Francia rispetto alla integrazione a al concetto espresso di nazione, vincitore dell'Orso d'Oro all'ultima Berlinale per il migliore film, è lavoro che rimanda per larghi tratti all'esperienza diretta del regista Nadav Lapid, anch'egli emigrato in Francia subito dopo il servizio militare ma tornato poi in patria per portare a termine gli studi alla scuola cinematografica di Gerusalemme.
Il personaggio di Yoav è ben strutturato, mostra chiaramente quella che è la sua irrequietezza e la sua inquietudine per un passato che vorrebbe dimenticare e per un presente che però propone numerose difficoltà, addirittura viene fatto nascere quasi ex novo con quel furto che subisce per il quale è costretto a girare nudo, prima di essere rivestito di abiti "francesi" , compreso un soprabito che rimanda smaccatamente a quello di Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci, autore al quale sembrano anche ispirarsi certe ambientazioni e certi dialoghi; ci viene mostrato mentre gira per Parigi ripetendo in continuazione vocaboli su vocaboli in un'esercizio lessicale maniacale e nel suo rapporto con la coppia di giovani francesi , Emile e Caroline, nella quale si insinua.
Lapid sembra avere appreso la lezione della Nouvelle Vague facendo scorrere nelle pieghe del racconto molte atmosfere care a quella corrente, innestandole su un racconto che molto di sovente sembra astrarsi dalla realtà fino a presentare momenti surreali e soprattutto sembra volere inseguire con costanza e tenacia una certa cifra stilistica che il più delle volte appare abbastanza di maniera oltre che compiaciuta.
Ma al di là di tutto ciò quello che appare il difetto più grosso del film è la sua scarsa coerenza: mettere sullo stesso piano la società israeliana e quella francese è onestamente esercizio piuttosto arduo oltre che non molto onesto, se non altro perchè se le cose fossero realmente come il regista lascia intendere (soprattutto in quelle scene nella scuola per immigrati) questo film e anche alcuni dei precedenti di Nadav Lapid non ci sarebbero stati; la realtà ci dice invece che il regista di Tel Aviv non solo ha ricevuto appoggi produttivi potenti, ma è diventato il classico cineasta adottato da Cannes e quindi dalla cinematografia francese.
Mettere sullo stesso piano il nazionalismo e il militarismo israeliano con il proverbiale sciovinismo francese che porta i transalpini a sentirsi sì la patria delle democrazia in Europa grazie alla Rivoluzione Francese e ai suoi valori, ma al contempo però a permettere al regista stesso di ottenere successi artistici notevoli proprio in Francia e con tanto di appoggio produttivo, è francamente esercizio scorretto che veicola inoltre un messaggio falso.
Inoltre altri aspetti ( le ridondanti citazioni dell'Iliade imparata da bambino da Yoav, alcuni flashback al limite dell'incomprensibile) appesantiscono in diverse occasioni un percorso narrativo che fatica a mantenere una sua linearità.
In considerazione di questo aspetto che può apparire secondario ma che invece non lo è, perchè la tematica è una di quelle costitutive lo scheletro narrativo del film, Synonymes è lavoro che sebbene ben diretto , è lungi dall'essere una opera pienamente riuscita.
Va segnalata come uno degli aspetti positivi del film la prova dell'esordiente Tom Mercier ( Yoav) . bravo nel conferire il giusto grado di irrequietezza e di illusione al protagonista.
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