Giudizio: 7.5 /10
Giunto al suo quarto film come regista Han Han, uno tra i più poliedrici personaggi del panorama culturale (e non solo) cinese, porta sullo schermo una storia che sembra completare un percorso cinematografico già iniziato con Duckweed che vedemmo al Far East Film Festival qualche anno fa: Pegasus è infatti il film più personale, più vicino al regista proprio perché tratta del mondo del rally , sport in cui Han Han ha primeggiato, una storia quindi che il regista sente certamente molto sua e nella quale ha persino agito come stunt man.
Uscito in patria nel periodo del Capodanno Lunare, quello più propizio al botteghino, giunge sugli schermi del FEFF a poco più di due mesi dalla prima portandosi dietro i notevoli incassi, il gradimento del pubblico ed il giudizio buono ricevuto dalla critica, nonostante il film appaia decisamente più commerciale rispetto ai precedenti.
Il protagonista è un pilota di rally, Zhang Chi, la cui carriera trionfale si è miseramente interrotta sei anni prima per aver partecipato ad una corsa clandestina ( anche se scopriremo che non era stata una idiozia gratuita) che gli ha portato il ritiro della patente e la sua rapida caduta in disgrazia. Ora vive in un modesto appartamento su un terrazzo con veduta spettacolare su Shanghai con un figlio di sei anni che si è messo sulle spalle avendolo trovato in fasce sulla sua macchina sei anni prima pensando che ciò ne indicasse la paternità e che lo vede ancora come un eroe seppure in disarmo.
Considerandosi ancora un asso del volante, soprattutto per il suo credo filosofico sullo sport e su come affrontarlo, Zhang chiede alle autorità di poter tornare alle gare e cimentarsi con le nuove leve di piloti che hanno preso il suo posto; ha quindi inizio la trafila tragicomica per riottenere la patente, trovare una macchina , richiamare a sé il copilota che vive facendo il pupazzo in un parco divertimenti, riallacciare vecchi rapporti.