Giudizio: 7/10
Sette anni dopo il primo capitolo vede la fine la trilogia di Outrage di Takeshi Kitano, una fine sancita da una pietra tombale che è cinematografica e probabilmente anche personale, un punto d'arrivo cui il regista giapponese doveva giungere in un modo o in un altro.
La parabola finale di Otomo, ultimo eroe stanco di una organizzazione malavitosa che sembra avere ripudiato se stessa e i suoi codici, già iniziata con il capitolo precedente arriva all'ultimo atto: scampato alla faida tra le famiglie della yakuza , messo in un angolo e costretto a diventare una scheggia impazzita, l'alter ego di Beat Takeshi si è trasferito in Corea dove gestisce per conto del potente dottor Chang, un coreano con importanti attività anche in Giappone, un giro di locali notturni e di prostituzione.
Sin dalle prime battute Otomo mostra una venatura di stanchezza quasi un tratto crepuscolare nel suo trascorrere le giornate in riva al mare pescando, un uomo che appare più stanco che sconfitto, seppur ancora saldamente in sella e animato dallo spirito più autentico e tradizionale della yakuza.
Lo scontro con un boss di piccolo calibro della famiglia che gli ha dato la caccia e il successivo omicidio di un luogotenente del clan coreano, rigettano Otomo nella mischia: la famiglia Hanabishi , dopo aver sterminato il clan di Otomo, è spinta da uno spirito di egemonia che si traduce in comportamenti violenti e privi di qualsiasi scrupolo.
Nella stessa famiglia Hanabishi le faide interne stanno prendendo piede pericolosamente, alimentate dalla smania di potere dei vari rappresentanti, spesso faccendieri privi di scrupoli ,pronti a tradire senza batter ciglio, che quasi disprezzano le regole d'onore della organizzazione.
Per Otomo è giunto il tempo di tornare in Giappone e saldare i conti, nel vano tentativo di riaffermare una etica e una morale malavitosa ormai in disfacimento.
Nel finale del film è contenuta la sconfitta e al tempo stesso il trionfo di Otomo, la dura e tragica presa di coscienza che il mondo è cambiato in maniera irrimediabile e che posto per uomini come lui non ce ne è più.
All'interno dell'episodio finale di Outrage c'è la parabola di Otomo e quella di Kitano, quella cinematografica e quella di autore, ci sono gli ultimi fuochi di un genere cinematografico di cui Kitano è stato l'indiscusso maestro, lo yakuza eiga, gli ultimi sussulti di un mondo nel quale il regista non vede più nulla da raccontare perchè il disfacimento, la decadenza, l'abiezione regnano sovrani.
Ecco perchè probabilmente dei tre capitoli, questo è il più convincente: proprio questa riflessione che è personale ma anche storico-sociale dà una sfumatura di stanchezza e di rassegnazione, persino nella rappresentazione stessa della violenza, che si ripercuote sulla storia del cinema; raccontare il mondo dei clan come ha fatto Kitano è diventato ormai quasi anacronistico, perchè quel mondo non esiste più.
Il tramonto dello yakuza eiga era insito nella struttura della trilogia sin dall'inizio e non è un caso che il lavoro precedente a questo, Ryuzo and his Seven Henchmen , altro non è che la versione ironica e nostalgia oltre che divertita di quel tramonto.
Tutta l'opera di Kitano negli ultimi anni è stata improntata a riflessioni più o meno intime ( l'arte , il cinema), quasi che il cineasta sentisse il bisogno di tirare i conti su se stesso, sul cinema e sul suo paese; in questa ottica probabilmente andrebbero anche riletti alcuni lavori che frettolosamente sono stati liquidati con troppa semplicità.
Outrage rimane comunque un racconto tripartito nel quale il tramonto di un genere cinematografico si accompagna alla riflessione sul mondo stesso che ha rappresentato per tanti anni.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.