giovedì 25 maggio 2023

Alcarràs ( Carla Simon , 2022 )

 




Alcarràs (2022) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Vincitore un po' a sorpresa dell'Orso d'Oro alla Berlinale del 2022, l'opera seconda della regista catalana Carla Simon è una sentita epopea famigliare sullo sfondo di una società che cambia velocemente , anche nelle zone rurali, mettendo a repentaglio tradizioni e memorie che hanno costituito per secoli il tessuto connettivo di una civiltà contadina che in Spagna , come in Italia, è stata il motore trainante del paese.
Il racconto della Simon, a probabilissima ispirazione autobiografica, si incentra su una famiglia patriarcale tipica delle zone rurali, di quelle in cui tutto il nucleo (padre, figli con la mogli, marmocchi) vive sotto lo stesso tetto impegnato a strappare alla terra il prodotto, in questo caso le pesche, che costituisce il suo sostentamento.
Il terreno su cui cresce il bellissimo e grandissimo pescheto appartiene ad un ricco proprietario terriero che per riconoscenza verso il vecchio padre della famiglia (autore di un gesto che gli ha salvato la vita durante la guerra civile) ha donato in usufrutto gratuito , sancito con una stretta di mano , come si faceva una volta tra galantuomini.
Il giovane rampollo della famiglia però è intenzionato a dismettere la coltivazione degli alberi di pesche per ricoprire l'appezzamento di terreno con pannelli solari che "producono soldi senza fare fatica"; naturalmente non essendoci alcun documento che comprovi il patto tra i vecchi patriarchi, il proprietario risulta essere il figlio di quest'ultimo  che non ha intenzione di recedere dai suoi progetti neppure dopo che la famiglia di contadini gli ricorda l'antico patto tra i genitori.
Il racconto di Alcarras si impernia tutto intorno a quello che potrebbe essere l'ultimo raccolto e di conseguenza la fine di una era per la famiglia contadina, portando alla luce le inevitabili contrapposizioni che si presentano tra i vari componenti: una sorta di implosione di un microcosmo che vede il suo futuro oscurato dalla fine di una epoca storica.



Per raccontare gli eventi Carla Simon opta per una varietà di prospettive proprie di ognuno dei personaggi: i bambini, gli adolescenti, i due fratelli in disaccordo tra loro su cosa fare (accettare o no la svolta) le rispettive mogli e su tutti lo sguardo austero e vissuto del silenzioso patriarca.
Questa scelta che potrebbe di per sè avere numerosi vantaggi dal punto di vista narrativo, a volte mostra il limite di imporre un quadro un po' troppo schematico, quasi didascalico al racconto con situazioni che appaiono un po' troppo stereotipate.
Di contro è chiaro il messaggio ed il grido di dolore sdegnato  cui la regista intende dare voce: in nome di un progresso, seppur idealmente pulito ( l'energia solare),  si distrugge una civiltà centenaria fatta di fatica , di schiene spezzate, di lavoro faticoso , di attesa, di tempo che scorre passando attraverso le stagioni, di simbiosi con la terra alla quale ci si abbraccia e si ancora per mezzo della fatica fisica; in questo il film ha un forte valore sociale e morale, proprio di quei registi che in molti modi hanno tenuto a galla per offrirla alla memoria una civiltà contadina che rischia sempre di più di scomparire seppellendo tutta quella messe di conoscenze e di regole che spiegano il legame con la natura.
La convinzione della regista è talmente forte da far apparire il film quasi una crociata anti-progresso, nonostante di progresso sostenibile si tratti, ma in effetti la Simon vuole solo lanciare l'allarme su quanto sia importante mantenere in vita una cultura che è radicata in larga parte del pianeta e che per secoli ha consentito lo svilupparsi del progresso dell'uomo prima di ogni cosa.

domenica 21 maggio 2023

Beau ha paura ( Ari Aster , 2023 )

 




Beau Is Afraid (2023) on IMDb
Giudizio: 8/10

Con alle spalle  due opere che in qualche modo hanno lasciato un segno profondo nel cinema "horror", Ari Aster, newyorkese trentasettenne di origine ebraica ,  si impone già come uno di quegli autori che hanno reso possibile la costruzione di autentiche falangi cinematografiche votate al martirio pur di osannarlo e di contro ampie schiere di critici feroci quando non di veri e propri detrattori: questo è un po' il destino che rincorre registi che diventano quasi personaggi più importanti delle loro opere, sebbene nel caso in questione Aster ha largamente dimostrato con le due prime opere di avere dell'indubbio talento.
Appare quindi ovvio che l'uscita di ogni film del regista sarà considerato un evento, come puntualmente è successo con Beau ha paura, sua ultima fatica dalle dimensioni mastodontiche ( tre ore di lunghezza) oltrechè ben diversa dalle precedenti.
Se in Hereditary e in Midsommar mostra l'ambiziosa ricerca di riscrivere i canoni del cinema horror attingendo alle tematiche della malattia mentale e del folklore, con Beau ha paura  sembra essere più interessato a descrivere ed esplorare l'orrore che risiede dentro di noi, motivo per il quale quest'ultimo lavoro deluderà chi si aspetta ambientazioni e situazioni proprie dei primi due lavori; inoltre è bene dirlo subito, l'ultima fatica di Ari Aster non è film per tutti, e non soltanto per la sua vastità , a tratti persino ipertrofica, ma proprio perchè si presenta a noi come una lunga analisi del disagio interiore del protagonista, quasi una seduta psicoanalitica , che non a caso è la scena iniziale del film, dopo un prologo brevissimo ma fondamentale, cui seguono quattro parti ben distinte e un epilogo: a qualcuno può venire in mente una struttura da opera teatrale ed in effetti per le tematiche trattate Beau ha paura potrebbe aspirare al rango di tragedia greca.



Una premessa si rende necessaria per chi volesse proseguire nella lettura, una sorta di disclaimer dovuto: pur cercando di evitarli, nel contesto dell'analisi del film qualche spoiler potrebbe emergere, inevitabilmente, pena l'assoluta inconsistenza di quanto verrà scritto; chi vuole vedere il film senza avere neppure un accenno di spoiler meglio che abbandoni la lettura subito.
Prologo: buio pesto, lontani lamenti, qualche timido squarcio di luce che lentamente regala spiragli  nell'oscurità, voci sempre più distinte: assistiamo in soggettiva alla nascita  di un bambino partendo da dentro la cavità uterina fino al tanto agognato vagito che rassicura tutti prima di ognuno la madre del neonato. E' la nascita di Beau, accolto al mondo dalle urla isteriche della madre che temeva per la sua salute.
Primo atto: Beau ha ormai quasi 50 anni, frequenta uno psicoanalista e dai discorsi cui assistiamo si capisce che l'uomo ha un rapporto malato, contorto, al limite del tossico con la madre dalla quale si dovrà recare a breve in occasione dell'anniversario della morte del padre. Sebbene Beau viva da solo ha un legame malsano con la mamma, una dipendenza che mal sopporta ma dalla quale non riesce a liberarsi.
Il mondo che circonda Beau è surreale: città sporca, violenta, pazzi che girano ammazzando, ballerini che si dimenano per tutto il tempo sul marciapiede, battone, drogati e via di seguito, tutti con un atteggiamento ben più che ostile verso il protagonista; l'ambientazione è talmente estrema ed eccessiva che ci appare subito chiaro come essa non sia altro che la proiezione delle paure e delle ossessioni di Beau, primo punto di partenza che ci fa capire da subito che quello a cui assisteremo sarà un viaggio nella mente malata di un uomo in preda ad ossessioni , manie di persecuzione e paure.
Per una serie di assurde circostanza Beau perde il volo per raggiungere la madre , la quale informata reagisce in maniera gelida e raccapricciante, come non bastasse l'uomo viene investito e si risveglia in una casa sconosciuta.
Secondo atto: la coppia che lo ha investito si prende cura di lui nella loro casa, lui è un medico che può quindi curarlo anche tendendolo in casa; qui l'ambiente è ben diverso da dove viveva Beau, casa grande linda e pulita, persone gentili che sentono ancora il peso della morte in guerra del giovane figlio un cui commilitone , tornato impazzito dalla guerra, ospitano in un camper nel loro giardino e per finire una figlia adolescente disturbata non poco.
Una famiglia quindi dall'apparenza quieta, ma che nasconde anch'essa del disagio profondo, motivo per cui Beau si trova costretto a fuggire inseguito.
Terzo atto: Beau in fuga si ritrova in un bosco dove si imbatte in una compagnia teatrale che sta mettendo in scena un'opera basata su una storia famigliare, l'uomo si immedesima nel racconto e immagina una vita che avrebbe potuto avere costruendo una famiglia e invecchiando; l'arrivo del commilitone impazzito sguinzagliato dalla famiglia che aveva accudito Beau e che mette in atto una carneficina , obbliga quest'ultimo a fuggire ancora.
Finalmente nonostante gli ostacoli, le peripezie e le situazioni estreme, Beau riesce ad arrivare a casa della madre, e qui si apre il quarto capitolo.

domenica 7 maggio 2023

Pacifiction ( Albert Serra , 2022 )

 




Pacifiction (2022) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

E' difficile inquadrare il lavoro di Albert Serra, presentato al Festival di Cannes e premiato in svariate altre kermesse, perchè il regista portando agli estremi la struttura narrativa che contraddistingue le sue opere crea un racconto in cui è domanda pienamente coerente quella di chi si chiede quale sia il tema centrale del film.
In effetti come sinossi basti dire che la storia ha al centro la figura dell'alto Commissario De Rolland, rappresentante del governo francese nella Polinesia , di stanza a Tahiti, il quale si muove fra sala da ballo, bar e case private cercando di tastare il polso e tenere sempre sotto osservazione della popolazione locale, soprattutto nel momento in cui voci incontrollate parlano dell'avvistamento di un sommergibile nelle acque dell'oceano che ripresentano lo spettro degli esperimenti con le armi nucleari che la Francia sviluppo a Mururoa nel secolo scorso.
Su questo tenue canovaccio narrativo Serra costruisce un film di quasi tre ore nel quale è proprio il girovagare di De Rollaqnd ad irrobustire una trama praticamente assente.



De Rolland infatti, nel suo aspetto post coloniale con abito bianco e camicie a fiori sgargianti incontra la popolazione locale, raccoglie sussurri e confidenze, scambi di opinioni con americani e stranieri che a vario titolo, spesso apparentemente anche piuttosto loschi, battono l' isola, Ammiragli della Marina francese con tanto di truppa al seguito che sbarcano-forse-da un sommergibile fantasma che scatena rabbia e paura tra gli indigeni, orrido ricordo degli esperimenti atomici di qualche decennio orsono.
Ma il suo vagare è anche andare a vedere da vicino le onde gigantesche in cui si esibiscono i prodi surfisti (una delle scene tecnicamente più strabilianti del film) sempre però con la sua divisa di ordinanza, anche a cavallo di una moto d'acqua e trattenere rapporti al limite dell'ambiguo -in tutti i sensi- con personaggi che fanno della loro incerta identità sessuale il proprio fascino fluido.
Tutto ciò fa di Pacifiction un'opera dal piacevole senso di vago e di indolenza, che si lascia abbindolare dallo splendore di una isola che sembra veramente l'anticamera del paradiso sulla terra.
Ma su questa isola il nostro eroe, quasi un archetipo ottocentesco che rimanda alla memoria Gaugin, sa anche che il suo potere quasi nullo in effetti potrebbe pochissimo verso una rabbia antifrancese forse mai sopita e pronta a riesplodere per la presenza di quel manipoli di marinai che però nell'isola appaiono quasi dei soldatini in licenza alla ricerca di divertimento.
Spy-story e thriller politico che non decollano mai, lasciano solo un'atmosfera sospesa nella quale il racconto si muove quasi senza un timone che lo lo indirizzi con sprazzi di esistenzialismo che si accendono intorno alla figura del protagonista.
De Roller in effetti sembra aver decretato la sua fine ( e quella dello stato che rappresenta), restando in balia di Tahiti, porta del paradiso, alla deriva nell'oceano infinito, impersonificazione stanca di una sconfitta personale e del colonialismo, seppur nelle forme moderne; una sconfitta che diventa oblio, sempre che quel sommergibile e quel manipolo di marinai in gita non abbiano il compito di riaccendere la miccia atomica.

venerdì 5 maggio 2023

Il sol dell'avvenire ( Nanni Moretti , 2023 )

 




Il sol dell'avvenire (2023) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

L'uscita di ogni film di Nanni Moretti ripropone periodicamente la diatriba eterna ( a volte stucchevole) tra detrattori e fans del regista romano , quasi una crociata fideistica combattuta nel nome del Cinema , ma di fatto spesso, con argomenti che col Cinema hanno poco a che vedere; Il sol dell'avvenire , ultima fatica  prossima a sbarcare a Cannes , come tradizione ormai pluridecennale per Moretti, potrebbe , per una volta , non dico mettere d'accordo tutti, ma sicuramente stimolare un dibattito successivo alla visione (una volta tanto , e non prima come avviene sempre) perchè non è azzardato definire l'ultima opera un punto in qualche modo di svolta della carriera del regista, affermazione sulla quale converrà tornare sopra in seguito.
Moretti interpreta un regista ormai prossimo alla settantina, impegnato nella regia di un film ambientato nel 1956 in cui si racconta di come in una sezione periferica di Roma, venne accolta la notizia dell'invasione dell'Ungheria, proprio mentre a Roma la sezione del PCI ha come ospiti gli artisti di un circo ungherese.
Giovanni ( Moretti naturalmente) vive da decenni con la moglie Paola, produttrice, ha una figlia  fidanzata con un uomo molto più grande di lei, mostra una stanchezza sia fisica che psicologica incipiente e soprattutto ha un caratteraccio che lo porta ad essere polemico, dispotico sul lavoro e con la famiglia, al punto che Paola medita di mollarlo ma non trova il coraggio di compiere il gesto.



Inoltre, ulteriore stratificazione cinematografica, Giovanni in cuor suo sogna di fare un film d'amore nel quale regnino le canzoni italiane e nel quale immagina di raccontare di fatto se stesso giovane alle prese con il rapporto amoroso con la fidanzata; a dire il vero immagina anche un altro film, ispirato al racconto Il nuotatore di John Cheever, ma questo sembra più una reminiscenza che si colloca all'interno delle numerose (auto)citazioni di cui il film è infarcito.
Insomma abbiamo un regista che sta girando un film, verso il quale avrà alla fine una sorta di abiura cinematografica, che immagina però di farne un'altro , metà romantico metà musical : in mezzo la figura di Nanni Moretti che mette se stesso in tutti e tre questi livelli narrativi e lo fa questa volta con grande onestà intellettuale, quasi con mestizia e con (udite! udite! ) modestia mettendosi di fronte al pubblico in tutte le sue nevrosi, idiosincrasie, manie e ossessioni con ironia e grande sincerità: non a caso una delle scene più belle del film è lui che funge da suggeritore nei dialoghi tra il giovane (proiezione di se stesso ) e la sua fidanzata ( protagonisti del film d'amore immaginato) al culmine di una lite , mettendo in bocca a quest'ultima tutta una serie di osservazioni e giudizi che fotografano il Moretti che conosciamo più o meno da sempre.
Questo porsi al centro del racconto con quello che potrebbe apparire come un atteggiamento narcisistico, cui non di rado Moretti indugia, è invece un mettersi sul banco degli imputati e accettare serenamente il giudizio dei giurati, scelta che dà al film , e lo fa da subito, una impronta per certi versi nuova , quasi rivoluzionaria.
Alla luce di ciò anche le numerose autocitazioni ( non esiste lavoro del regista che non venga in qualche maniera citato e non sarà difficile rintracciare i riferimenti) assumono un significato differente, perchè sembra che Moretti voglia ricordare il suo excursus artistico- cinematografico per chiudere con Il sol dell'avvenire un cerchio iniziato ormai quasi 50 anni fa.
Il sol dell'avvenire non è un film politico, come si potrebbe pensare, o per lo meno non lo è nel senso più tecnico del termine: la rivolta di Budapest, l'invasione russa, la presa di posizione del PCI in favore dell'invasione, sono solo le tracce di una Storia  che con un finale sorprendente e di indubbia efficacia , grazie al potere del Cinema, il regista, vestito da Tarantino per la circostanza, cambia l'ordine degli eventi e riscrive la Storia, in quello che è un grande omaggio al potere immaginifico del Cinema che si imprime nella nostra memoria con la sfilata finale molto felliniana in cui Moretti sembra chiamare a raccolta tutti coloro che della sua casa cinematografica hanno fatto parte.

martedì 2 maggio 2023

Aloners ( Hong Seongeun , 2021 )

 




Aloners (2021) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Morire schiacciati, sepolti da una catasta di riviste porno: oltre ad essere un geniale graffio di umorismo nero inserito in un racconto che esplora invece gli angoli più dolorosi dell'animo umano, è anche il turning point nella vita di Jina , una giovane operatrice di un call center di un istituto bancario; il malcapitato rimasto sepolto dal porno è un suo vicino di casa, che scopriremo poi essere un'altro prodotto di una società che porta all'annientamento del prossimo, sia per bullismo che per emarginazione, l'unico col quale ha una minima, flebilissima interazione sociale.
Jina nel suo lavoro è bravissima e la  ultracompetitiva  cultura del lavoro che regna in Corea fa di lei un esempio (ovviamente mal digerito) per le colleghe, al punto che la sua capa la considera una sorta di addestratrice per le impiegate in prova, ruolo al quale molto poco volentieri la ragazza si presta: il call center, la cuffie e il microfono col quale interagisce coi clienti, il computer che ha davanti sono il suo mondo sociale, per il resto smartphone e auricolari perennemente in funzione, pasti consumati da sola, viaggi in autobus isolata nel suo solipsistico silenzio, cena consumata sul letto davanti al televisore perennemente acceso, costante colonna sonora della propria esistenza.



Il solo dover dividere lo spazio fisico della postazione con la nuova collega le mette addosso una ansia mista  a fastidio, se a ciò aggiungiamo che Sujin, la neoassunta, è ragazza estroversa e anche un po' goffa , sicuramente invadente per i suoi canoni, è facile immaginare come Jina eviti il più possibile ogni contatto con lei.
Persino il rapporto col padre, mediato da una webcam che lei installò nel salone di casa per controllare la mamma malata prima di morire, è qualcosa di lontano, quasi intangibile, anche perchè minato da un torto che la ragazza crede di aver subito dal genitore.
La morte del vicino di casa e l'arrivo del nuovo , che non solo non dà ascolto alle superstizioni riguardanti fantasmi assetati di giustizia, ma che con grande senso di carità organizza nella casa una sorta di funzione commemorativa in onore del defunto, che cerca di stringere con Jina un cordiale rapporto di vicinanza, porta la ragazza a riconsiderare il suo mondo fatto di solitudine, di autoreclusione e di alienazione.
Opera prima della regista coreana Hong Seongeun, per l'occasione anche sceneggiatrice e montatrice, è un interessante e per molti versi ben riuscito tentativo di esplorare da un lato i frutti di una società come quella coreana improntata alla forsennata competitività, soprattutto nel mondo del lavoro, che produce a sua volta le condizioni ideali affinchè l'alienazione e la solitudine prendano il sopravvento e conducano a danni tragici, e dall'altro lo studio psicologico di una protagonista che all'interno di questa società si trova il suo posto, chiudendosi in se stessa, in un mondo isolato e impenetrabile ,senza però riuscire a farci capire fin dove le scelte sono spontanee o in qualche modo indotte e obbligate.
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