giovedì 30 gennaio 2020

It Comes ( Nakashima Tetsuya , 2018 )




It Comes (2018) on IMDb
Giudizio: 7/10

Nel 2010 con Confessions il regista giapponese Nakashima Tetsuya diresse uno dei lavori nipponici ancora oggi tra i più noti, sebbene il film, nonostante fosse duro e colpisse diretto allo stomaco, non poteva certo definirsi un capolavoro; a otto anni di distanza la nuova opera , distante anni luce dal punto di vista formale dal glaciale e affilato thriller che era Confessions, riprende le tematiche di fondo trattate sotto una forma che è ben più usuale al regista: It Comes infatti lascia da parte i ritmi lenti e si articola su binari più frenetici, si tinge di autentico horror ( ma non J-horror) atipico ma nel profondo il bersaglio della dura analisi sociale del regista rimane la famiglia ed, estrapolando, la società giapponese.
L'inizio di It Comes mette subito in chiaro quanto detto con una escalation visiva dal grande effetto, così come capiamo sin da subito che nel lontano passato di Hideki si annida qualche oscura presenza che getta le sue lunghe ombre fino al presente.


Si torna però indietro nel tempo: Hideki e Kona sono due giovani belli e realizzati che si sposano e hanno subito una figlia cui viene dato il nome di Chisa, nome che un misterioso personaggio consiglia a Hideki.
L'inizio della vita coniugale è brillantissimo: armonia, bella casa, amici simpatici e quindi la piccola Chisa cui Hideki dedica una sorta di diario giornaliero sotto forma di blog.
Il passato però sembra tornare , quando appare chiaro che qualche presenza spaventosa e molto ostile inizia a insinuarsi nella vita della giovane coppia.
A questo punto nella storia irrompono Nozaki un giornalista semifallito e Makoto una medium per  capire cosa sta succedendo nella sua vita famigliare; i due sono personaggi limite, un po' l'opposto, anche socialmente, di Hideki e Kona, che a loro volta però hanno un bel passato che pesa nella bisaccia sulle spalle: il primo è tormentato dal ricordo dell'aborto che impose alla ex moglie, la seconda dal ricordo di una madre che aveva abdicato al suo ruolo; "sono la figlia di una madre cattiva " ripete Makoto quasi a gettarsi addosso le colpe del genitore per espiare anche le sue colpe.
Il mostro che appare , in forme variabili tali che la tensione, seppur sottile è sempre presente nel film , dall'inizio alla fine, diventa sempre più potente, un essere che fagocita , impossessandosene  , le persone deboli che cedono , per cui nella parte finale della pellicola vediamo comparire, come un deus ex machina , la sorella di Makoto , Kotoko, una sciamana potentissima, l'unica in grado di cacciare il mostro in un duello finale rituale chiaramente eccessivo ed estremo, che costituisce però il culmine della spettacolarità di It Comes.

martedì 28 gennaio 2020

Knives and Skin ( Jennifer Reeder , 2019 )




Knives and Skin (2019) on IMDb
Giudizio: 5/10

In una anonima cittadina del Midwest americano una liceale scompare , e noi osserviamo in quali circostanze proprio nell'incipit del film; questo fatto drammatico scatena una serie di eventi nella popolazione che progressivamente diventano preminenti rispetto alla scomparsa stessa della cheerleader.
Sembra quasi che un evento così potente e tragico funga da stura nei rapporti tra le persone, nei misteri che aleggiano e nei segreti che vengono covati.
Siamo quindi a Twin Peaks ?  No, e non solo perchè la cittadina immaginaria divenuta nota grazie a David Lynch non stava nel Midwest, ma soprattutto perchè nonostante il regista venga evocato in maniera quasi parossistica in tutta la durata del film, Knives and Skin è opera che non riesce neppur lontanamente ad avvicinarsi al capolavoro di David Lynch.
Sembra però che per la regista Jennifer Reeder il far apparire il suo lavoro come una infinita citazione-omaggio lynchiana sia l'obiettivo principale tale è l' insistenza con cui cerca di rimandare al cinema del Maestro.


La scomparsa di Carolyn, come detto, dà il via ad una serie di eventi  e di situazioni nelle quali emergono gli aspetti più segreti e nascosti dei vari personaggi, a partire dai genitori della ragazza stessa per finire alle amiche , agli amici e ai genitori di questi.
Jennifer Reeder per la verità cerca anche di arricchire il film con momenti che stimolano l'emotività quali la storia saffica tra due delle amiche della ragazza scomparsa, descritta con grande tenerezza e delicatezza oppure lo sviluppo della tematica della perdita e della elaborazione della stessa cui vanno incontro tutti coloro che avevano Carolyn nel cuore, ma quello che alla fine emerge è sempre il rimando al paradigma lynchiano, non solo nella sostanza della storia, ma anche nelle tecniche di ripresa, nella costruzione dell'immagine e che si traduce in uno sterile e insistito citazionismo.
D'altronde Knives and Skin fatica a trovare posto in un genere definito: potrebbe essere un teeen movie oppure un thriller ad impronta psicologica, oppure un racconto dai toni quasi surreali e , per tale motivo, risulta ancora più prepotente e in certi frangenti addirittura fastidioso il riferimento al Lynch di Twin Peaks.

lunedì 27 gennaio 2020

The Golden Glove [aka Il mostro di St.Pauli] ( Fatih Akin , 2019 )




The Golden Glove (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

A cavallo tra il 1970 e il 1975 , Fritz Honka un inquietante personaggio solitario alcolizzato e frequentatore di postriboli nel malfamato quartiere di St Pauli ad Amburgo, uccise in maniera feroce quattro donne per poi smembrarle e conservare i pezzi di cadavere dentro casa, nelle intercapedini del sottotetto o in qualche ripostiglio.
Su questo personaggio e la sua lugubre storia Fatih Akin costruisce il racconto di The Golden Glove ( uscito nelle nostre sala con lo  squallidamente evocativo titolo di Il Mostro di St Pauli ), lavoro che ci restituisce, finalmente , un autore che ultimamente non aveva sempre pienamente convinto.
Riuscire a costruire una pellicola che avesse il giusto connubio tra cronaca, seppur ormai quasi storia, ,analisi sociologica e antropologica e costruzione dei personaggi non era per nulla facile, ma Akin, con un rigore narrativo e formale impeccabile riesce in maniera più che convincente a confezionare un film bello, durissimo , al limite dell'insopportabile in alcuni passaggi ma che non cade mai nell'autocompiacimento nemmeno nei momenti autenticamente gore che presenta.


Fritz Honka è descritto come una relitto umano alla deriva di una esistenza segnata da drammi famigliari, da solitudine e da alcolismo, un essere che già con il suo aspetto, che lombrosianamente parlando possiede i tratti del volto respingenti del folle violento; vive in una catapecchia insana, lurida dove l'unica cosa che non manca è l'alcol da quattro soldi che consuma in dosi industriali; frequenta un bar squallido e lurido altrettanto dove tra ubriachi, prostitute disperate e umanità votata alla deriva implacabile passa le sue giornate dopo il lavoro di scarsissimo livello che svolge.
Il bar è per lui il pulpito dove lanciare i suoi violenti strali carichi di odio e di avversione e soprattutto è il luogo di caccia dove recluta qualche disperata attempata in cerca di alcol disposta a offrirsi alle sue perversioni sessuali, tipiche dell'impotente maniaco.
Il film si apre proprio con la scena del primo omicidio nel 1970, una scena ripresa quasi fossimo dei voyeur  nascosti dietro la porta della ributtante alcova che culmina con la morte della poveraccia , il suo successivo smembramento e la decisione di Honka di gettare alcuni pezzi in giro per la città e di tenerne altri in una intercapedine del sottotetto in cui vive che diventa così un immondo cimitero e deposito di pezzi umani, di cui cerca di nascondere il tanfo, in maniera ridicola, usando una selva di arbre magique.
In una progressione apparentemente inarrestabile il rito messo in piedi da Honka si ripete, non sempre le sventurate finiscono fatte a pezzi, qualcuna fa in tempo a scappare, qualcun'altra se la cava solo son una bella ripassata di botte, perchè alla fine per l'uomo l'importante non è tanto ammazzare quanto annientare e umiliare le sue estemporanee accompagnatrici; le sue vere fantasie sessuali sono rivolte verso una giovane liceale che casualmente ha incontrato e che da allora immagina nelle situazioni più perverse.

sabato 25 gennaio 2020

And Your Bird Can Sing ( Miyake Sho , 2018 )




And Your Bird Can Sing (2018) on IMDb
Giudizio: 8/10

Ultimo adattamento cinematografico di una serie di romanzi dello scrittore giapponese Sato Yasushi morto suicida all'età di 41 anni agli inizi degli anni 90, And Your Bird Can Sing di Miyaki Sho è opera che si pone sui binari delle precedenti: ambientazione nella città di Hakodate in Hokkaido, città natale dello scrittore mentre il regista è originario anch'egli della stessa regione a nord del Giappone, personaggi solitari, non proprio emarginati ma quasi, spesso per scelta propria, sia dal punto di vista sociale che da quello più intimamente personale ma che comunque cercano di condurre una esistenza minimalista cercando di evitare gli affanni.
And Your Bird Can Sing vede come protagonisti, un giovane , il cui nome non sappiamo e viene semplicemente apostrofato "Me" nei titoli di coda, anche perchè è di fatto la voce narrante nonchè la prospettiva principale del racconto; lavora part time in una libreria con ben poco entusiasmo, spesso non si presenta al lavoro, ma la cosa non lo smuove più di tanto.


Vive con un altro ragazzo Shizuo con cui divide l'appartamento, che tira avanti alla giornata senza lavoro e si porta sulle spalle il dramma di una madre alcolizzata e avviata alla demenza con cui però ha deciso di non avere quasi più rapporti.
I due giovani , nonostante le premesse dette, vivono la loro vita con grande tranquillità e gioia, passando interminabili serate a bere e a sghignazzare fino al mattino, sembra insomma che lo status quo in cui si trovano li soddisfi, un ambiente ovattato ed una esistenza che sembra avvolgerli senza stritolarli.
Me una sera esce con una collega del lavoro, Sachiko, una ragazza che ha una relazione col titolare della libreria, un uomo sposato: la frequentazione diviene ben presto una relazione stabile per cui in qualche modo la coppia di amici diventa un terzetto, sebbene , per ovvii motivi qualcosa tra loro è cambiato.
I tre continuano a vivere la loro vita nel medesimo modo: lavoro, uscite notturne, serate in discoteca, chiacchierate, colazioni al mattino , insomma un piacevole tran tran quotidiano che mette però in evidenza l'esuberanza giovanile e la voglia di vivere dei giovani.
Quando poi il lento avvicinamento tra Shizuo e Sachiko porta i due ad una attrazione che appare inevitabile, è chiaro che è giunto il momento per tutti di doversi prendere le proprie responsabilità e uscire da quella confortante inconsapevolezza che aveva contraddistinto la loro vita fino a quel momento.
Un paio di modelli saltano subito all'occhio: il Truffaut di Jules et Jim per la incosciente forza propulsiva che la giovinezza regala ai protagonisti, nonostante il loro esser personaggi ai margini, non certo inseriti in una società giapponese individualista e arrivista, e i cineasti quali Okita Suichi e il Nobuhiro Yamashita di Over the Fence , tratto anch'esso da un romanzo di Sato Yasushi.

venerdì 24 gennaio 2020

The Forest of Love ( Sono Sion , 2019 )




The Forest of Love (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Dopo il folle triennio 2015-2017 caratterizzato da una pletora di lavori diretti ( otto per la precisione), che avevano spesso divagato in campi non proprio ortodossi rispetto al Cinema del suo autore, Sion Sono torna a ritmi più umani e  soprattutto sembra volere ripiegare  su quei temi e a quel cinema che è diventato con gli anni il suo inconfondibile marchio di fabbrica: The Forest of love è infatti un genuino ritorno del regista giapponese al passato sia nelle forme artistiche che nei contenuti, un compendio di un credo cinematografico di uno degli autori più originale ed estremi del cinema moderno, che dopo l'esperienza più ombre che luci con Amazon e la serie Tokyo Vampire Hotel si affida a Netflix, l'altro gigante dell'on demand.
Il film inizia con al centro del racconto la giovane Mitsuko una ragazza segnata indelebilmente da alcuni traumi della vita , soprattutto la morte dell'amica carissima di liceo con la quale aveva in piedi una relazione saffica, ora vive come una reclusa nella sua stanza  con una madre iperprotettiva e un padre tirannico; presto nella vita di Mitsuko si affaccia Taeko una ex compagna di scuola, e altri due giovani in cerca di qualche tematica interessante per girare un film.


Poco dopo nella vita di Mitsuko farà irruzione anche un'altra persona che cambierà definitivamente la sua esistenza e quella della famiglia: Joe Murata infatti è un uomo dal grande fascino che fa della manipolazione delle persone il suo modus operandi fino a giungere al plagio vero e proprio  e ad azioni chiaramente truffaldine.
Come non bastasse Murata è anche un pervertito, manipolatore anche sessuale, sadico e  violento, un soggetto però dal quale nè Mitsuko , nè altri personaggi riescono a staccarsi, come fossero magnetizzati.
Da questo nucleo narrativo la storia procede suddivisa in capitoli , a dire il vero, senza neppure una grande coerenza e un ben definito filo logico, mostrando progressivamente tutto quello che è stato il cinema più classico di Sion Sono, con rimandi alle opere precedenti e con l'affastellarsi di tematiche e di situazioni che periodicamente il regista giapponese ha inserito nei suoi lavori; per tale motivo spazio ad adolescenti viziose e morbose, reggiseni che coprono mammelle floride da adolescente , mutandine e posteriori in gran schiera,  per passare poi alla tematica dl suicidio, del cinema come specchio della vita, alla critica violenta e acida della società giapponese e della famiglia tradizionale, autentico centro di malvagità, e ancora , il sesso come affermazione violenta di se stessi, personaggi ai margini , ribelli, eccessivi, nichilisti, votati alla disperazione e al dolore, masochismo e sadismo che si intrecciano, insomma tutto il folto campionario di elementi costitutivi della idea cinematografica di Sono.

giovedì 23 gennaio 2020

Synonymes ( Nadav Lapid , 2019 )




Synonyms (2019) on IMDb
Giudizio: 6/10

Yoav scappa da Israele, suo paese Natale, e approda a Parigi; stanco del militarismo spinto e del nazionalismo che fortificano la società israeliana, terminato il servizio militare, decide di lasciarsi tutto alle spalle, di cancellare la sua memoria nazionale al punto di rifutare di parlare la propria lingua.
La Francia non è che lo accolga tanto bene: viene infatti derubato di tutto quello che aveva con se nel suo zaino, ma per fortuna si imbatte in una coppia di giovani che lo accolgono in casa e con i quali stabilisce un rapporto di amicizia; Emile è un facoltoso nullafacente, con velleità letterarie che si trova subito attratto da Yoav, non solo per le storie , più o meno vere o millantate che il ragazzo racconta della sua vita da militare in Israele, ma anche come persona , lasciando chiaramente intendere una attrazione sessuale; Caroline è una musicista dall'apparenza un po' snob-parigina e suona l'oboe in una orchestra , di frequente si accompagna ai due uomini creando un atmosfera da menage a trois.
Yoav vive con il suo forte senso di ribellione e con la volontà di cancellare il passato, ma, soprattutto quest'ultimo desiderio è difficile da realizzare trovandosi spesso a contatto con connazionali che lavorano per un servizio di sicurezza presso cui anche lui trova lavoro.


Acquisire una nuova identità è insomma difficile, anche perchè il passato, la famiglia, la fidanzata sembrano in qualche modo inseguirlo senza tregua; inoltre pian piano si rende irrimediabilmente conto che quel paradiso che pensava fosse la Francia presenta problemi di integrazione addirittura insormontabili a causa del ben noto sciovinismo francese.
Una vita irrequieta insomma che nel finale imbocca un vicolo cieco, una visione pessimistica del futuro in un paese che respinge o richiede una aprioristica assimilazione di tutto , a partire dalla Marsigliese.
Synonymes, titolo che rimanda chiaramente alla presunta uguaglianza tra Israele e Francia rispetto alla integrazione a al concetto espresso di nazione, vincitore dell'Orso d'Oro all'ultima Berlinale per il migliore film, è lavoro che rimanda per larghi tratti all'esperienza diretta del regista Nadav Lapid, anch'egli emigrato in Francia subito dopo il servizio militare ma tornato poi in patria per portare a termine gli studi alla scuola cinematografica di Gerusalemme.
Il personaggio di Yoav è ben strutturato, mostra chiaramente quella che è la sua irrequietezza e la sua inquietudine per un passato che vorrebbe dimenticare e per un presente che però propone numerose difficoltà, addirittura viene fatto nascere quasi ex novo con quel furto che subisce per il quale è costretto a girare nudo, prima di essere rivestito di abiti "francesi" , compreso un soprabito che rimanda smaccatamente a quello di Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci, autore al quale sembrano anche ispirarsi certe ambientazioni e certi dialoghi; ci viene mostrato mentre gira per Parigi ripetendo in continuazione vocaboli su vocaboli in un'esercizio lessicale maniacale e nel suo rapporto con la coppia di giovani francesi , Emile e Caroline, nella quale si insinua.

martedì 21 gennaio 2020

Midsommar [aka Midsommar-Il villaggio dei dannati] ( Ari Aster , 2019 )




Midsommar (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

A 33 anni e con due opere alle spalle il trentatreenne regista newyorkese Ari Aster è già un personaggio capace di condizionare il panorama cinematografico a livello planetario globale.
Con Hereditary, pur non raccogliendo solo plausi ma anche qualche pernacchia, aveva dato una frustata non indifferente al genere horror, affidandosi soprattutto alle leggende su divinità pagane demoniache.
Era quindi inevitabile, un po' come successo per altro genere di film a Robert Eggers, che il suo secondo lavoro fosse atteso con grande trepidazione e interesse; Midsommar rispetta in pieno l'attesa, perchè comunque lo si voglia leggere e giudicare è un film che va visto, perchè senza dubbio il giovane regista americano ha costruito un'altra pellicola di quelle che rischiano di riscrivere la storia di un genere cinematografico; che vada visto è fuori di discussione, che debba piacere per forza è tutt'altro discorso, perchè Midsommar pur rientrando senza dubbio nel genere horror, spesso considerato B-Movie per eccellenza è tuttavia un lavoro colto , che nasconde tra le sue pieghe uno studio quasi ossessivo antropologico ed etnologico.


Il film inizia subito in maniera tale da creare quel substrato ansiogeno, venato di tensione che sarà un po' il collante di tutto il racconto: Dani è una giovane studentessa di psicologia, frequenta ormai da un paio di anni Christian che invece studia antropologia, ha una sorella che presenta dei chiari disturbi comportamentali, motivo per cui nel momento in cui a Dani arriva una strana telefonata della sorella, cresce in lei la preoccupazione che qualcosa possa essere accaduto; infatti la sorella si è tolta la vita e ha ucciso anche i genitori lasciandola da sola al mondo, da quel momento il suo legame con Christian diventa quasi morboso per sconfiggere la paura della solitudine e dell'abbandono.
Il ragazzo pur soffrendo l'ossessiva presenza di Dani e pur non provando più nulla per lei, per pura pietas non chiude la relazione ed anzi decide di portare con sè la ragazza in un viaggio in Svezia dove , al seguito di uno dei suoi colleghi di università originario di quelle parti, intende studiare il comportamento di una piccola comunità di cui l'amico svedese fa parte.
L'immersione in un mondo che sembra all'inizio bucolico, dove tutti sono raggianti e felici , ben presto, quando Dani , Christian e gli altri ragazzi americani iniziano a frequentare strani riti ed usanze, inizia a mostrare aspetti inquietanti.
Rituali in cui si concretizza il legame degli abitanti del villaggio con il ciclo della vita, canti e balli, esperienze allucinate grazie a bevande a base di funghi allucinogeni avvolgono i ragazzi ospiti in quella che è una festività rituale che si verifica ogni 90 anni nel villaggio in occasione del solstizio d'estate, una festa lunga nove giorni dedicata alle usanze pagane e alle credenze del posto.
Pur continuando ad osservare il tutto con gli occhi di chi sta conducendo uno studio ,  inevitabilmente gli ospiti si lasciano coinvolgere nei riti che animano la festa e quando qualcuno di loro inizia a sparire lasciando di fatto solo Christian e Dani nel villaggio è chiaro che quel clima di armonia che sembrava aleggiare sulla comunità nasconde invece una violenza e una atavica difesa ossessiva della propria identità al punto che agli estranei è ammesso entrare solo per introdurre geni nuovi che impediscano la selezione di una razza derivata dalla stessa linea genetica.

lunedì 20 gennaio 2020

Remain Silent / 保持沉默 ( Zhou Ke /周可 , 2019 )




Remain Silent (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

La famosa cantante Wan Wenfang viene uccisa nel proprio camerino pochi attimi prima del suo spettacolo ad Hong Kong,viene subito sospettato un giovane visto fuggire dal luogo del delitto.
Il procuratore che segue il caso, Wu Zhengwei,  è convinto della colpevolezza del giovane  che appare fin troppo ovvia sin dall'inizio a dire il vero e soprattutto si trova di fronte come avvocato difensore Lan Duanmu con la quale ebbe qualche anno indietro una  intensa storia d'amore finita male, allorquando la donna decise di trasferirsi a Pechino per esercitare la professione.
Lo scontro tra i due quindi si concretizza su più piani, non solo professionali e , soprattutto, man mano che le indagini vanno avanti si capisce che il caso appare ben più complicato di quanto si potesse pensare: anzitutto perchè c'è un altro personaggio, Tian Jingcheng, agente e confidente della cantante nonchè ad essa legato da una sorta di adorazione, che sembra poter conoscere qualcosa che potrebbe risolvere il caso.


E soprattutto c'è un passato anche lontano tutto da decifrare al quale immancabilmente si legano gli eventi contemporanei.
Seguendo la tecnica del colpo di scena cui segue il controcolpo e grazie al mosaico che lentamente mette ogni tessera la suo posto, si giunge al termine del racconto nel quale appunto è il passato doloroso che torna a galla a scrivere definitivamente la parola fine su una storia nella quale, seguendo quasi i dettami di un oscuro burattinaio nulla avviene per caso.
Curiosamente e stranamente rimasto tre anni in naftalina ( il film era pronto già nel 2016) l'opera prima di Zhou Ke è un buon thriller, solidamente costruito, con uno sviluppo avvincente, che per buona parte si trasforma nel più classico dei courtroom movies dal buon ritmo e che mescola la storia personale  e professionale dei due protagonisti a quella tragica e dolorosa che sta alla base del delitto.
Il regista si affida  molto spesso a validi e rapidi flashback per intessere il substrato narrativo che affonda negli anni della giovinezza della cantante  Wan, quando per potere accedere al mondo della musica si trovò costretta a compiere atti dolorosi che la hanno segnata per tutta la vita.

Bacurau ( Juliano Dornelles , Kleber Mendonca Filho , 2019 )




Bacurau (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Siamo in un futuro prossimo, ma non aspettiamoci effetti speciali o momenti distopici e stranianti, sono pochissime le concessioni che ci ricordano di rado che stiamo parlando di un futuro seppur prossimo.
Bacurau è un piccolo villaggio  del Sertao del Nordest del Brasile, tristemente noto per la  interminabile siccità che ha colpito la regione, che cerca di vivere con le semplici regole della convivenza, nonostante la siccità, le bande e una situazione politica nazionale caotica in cui uno dei programmi televisivi è la diretta giornaliera per trasmettere le esecuzioni pubbliche a San Paolo.
Sembrerebbe insomma un luogo che cerca di far fronte all'avanzare del caos, che resiste alla violenza del Potere centrale, quasi un villaggio ultima frontiera prima dell'apocalisse.
La morte della patriarca della comunità Carmelita , 94 anni, sembra far precipitare il villaggio nel più completo terrore, perchè iniziano a verificarsi morti violente che assomigliano a veri e propri stermini.


Per Bacurau è giunto forse il momento di soccombere e di rientrare nei ranghi nei quali i poteri forti vogliono tenerlo: il paese scompare dalle mappe, il rifornimento d'acqua diventa complicatissimo, gli stermini si susseguono e il politicante  della zona , tutte promesse e ben pochi fatti, arringa il paese con la sua demagogia.
Con il passare del tempo qualcosa viene alla luce: una banda di americani a metà strada tra i mercenari e i folli guerrafondai  ha intrapreso un gioco mortale con la complicità dei poteri politici.
La parte finale, che rimanda allo splatter tarantiniano, chiude il cerchio su un racconto che si fa metafora.
Bacurau infatti è anzitutto una lunga digressione allegorica che abbraccia varie tematiche essenzialmente legate alla violenza del potere, che strizza l'occhio a vari generi (fantascienza, horror, thriller, storie di cangaceiros che nel nord est del Brasile nacquero) ma che nel suo intimo è un lavoro di aperta critica sociale e politica, la descrizione di un potere che sopprime i deboli, appiana le diversità e non si fa scrupolo alcuno a rivolgersi ad autentici sicari professionisti, persino dei nazisti fuori tempo massimo.

giovedì 16 gennaio 2020

Us [aka Noi] ( Jordan Peele , 2019 )




Us (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Geremia 11:11 : " Perciò dice l'Eterno: Ecco, faccio venire su di loro una sventura alla quale non potranno sfuggire. Allora grideranno verso di me , ma io non li ascolterò " ; svariate volte nel corso di Noi ci si imbatte in questa citazione biblica estrapolata dal Libro del Profeta Geremia, una minaccia di sventure di cui il Vecchio Testamento, in ottemperanza alla parola del Dio severo e vendicativo, è ridondante.
E la minaccia di sventura aleggia prepotente in tutta l'opera seconda di Jordan Peele, che dopo il grandissimo successo di Get Out culminato con l'oscar come migliore Sceneggiatura originale , si cimenta nuovamente con un horror dai forti connotati allegorici che, seppur sotto forme diverse , torna ad occuparsi di tematiche simili, o comunque molto vicine, a quelle contenute nel precedente lavoro, violenta sebbene misurata, satira politico-sociale dell'America post Obama alle prese con il problema mai sedato dell'ineguaglianza sociale soprattutto a carico della popolazione afroamericana.
In Noi, apparentemente , il regista sembra essere maggiormente interessato ad una critica su più vasta scala, riguardante più la totalità della società americana nel suo insieme , soprattutto per quanto riguarda le opportunità offerte ai vari strati sociali della popolazione.


La storia si apre con un prologo ambientato in un Luna Park negli anni 80: Adelaide , una ragazzina afroamericana in vacanza coi genitori a Santa Cruz , si allontana dal padre e entra in uno di quei labirinti di specchi che si trovano in ogni parco giochi: Trova te stessa c'è scritto all'entrata e Adelaide si imbatterà infatti in un'altra se stessa identica; per lo shock la ragazzina avrà una infanzia e una adolescenza tribolata , riuscendo comunque alla fine a superare il trauma.
Ora Adelaide ha una bella famiglia con un marito amorevole e due bei figli adolescenti, Jason e Zora e li vediamo in vacanza nuovamente in quella Santa Cruz che tanto segnò l'infanzia della ragazzina Adelaide; in effetti ,seppur dopo molti anni, la Adelaide adulta prova qualche sensazione strana nel ripensare a quanto successo quella sera di molti anni prima.
Ma quando in piena notte nel giardino di casa si presenteranno le copie esatte di Adelaide e dei componenti della sua famiglia, animati da intenzioni tutt'altro che pacifiche, non solo il passato traumatico della donna piano piano tornerà a galla , ma soprattutto avrà inizio un gioco al gatto e topo dai connotati terribili e violenti.
Quando poi scopriranno che i cloni apparsi non sono solo i loro alter ego ma che ovunque uomini donne e bambini vestiti di tute rosse e armati di forbici sono alla ricerca dei loro doppioni per eliminarli, si renderanno conto che quello che sta accadendo è qualcosa ben più grande di loro.
L'evoluzione,  e qui dobbiamo fermarci per non spoilerare ( a tal proposito segnalo che in rete sono reperibili svariati articoli in cui in maniera quasi analitica vien analizzato tutto il film fin nei minimi particolari, ovviamente infarciti di spoiler), ci mostrerà una rivolta di cloni tenuti nascosti e decisi a prendersi il loro posto nel mondo, ovviamente facendo fuori gli originali.

martedì 14 gennaio 2020

The Souvenir ( Joanna Hogg , 2019 )




The Souvenir (2019) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Siamo a Londra, nei primi anni 80, Julie , una giovane studentessa di Cinema, prepara il suo lavoro di diploma , lavorando intorno a una storia di legame madre-figlio fortissimo e inscindibile; attraverso il cinema la giovane cerca di aprirsi al mondo e di comprendere se stessa e quanto la circonda; ad una festa incontra un uomo più grande di lei , Anthony, che si presenta come impiegato del Foreign Office e che mostra subito dell'interesse per la giovane aspirante cineasta e per la sua arte.
Ben presto però questa relazione che tanto sembra essere capace di donare a Julie si tinge di fosco e di drammatico a causa della dipendenza da eroina che affligge Anthony.
Il racconto, in buona parte autobiografico, si impernia decisamente sul rapporto di Julie con Anthony e sulla funzione di filtro che funge rispetto all'esistenza della ragazza, al suo rapporto con la scrittura e con la ripresa cinematografica e con l'arte in genere; non a caso il titolo prende spunto da un quadro che Anthony fa vedere a Julie, The Souvenir appunto di Jean-Honorè Fragonard.


E' indubbio che la relazione con Anthony, persona di fascino, più grande di lei, per molti aspetti misteriosa, almeno finchè scoprendo la sua dipendenza Julie non squarcia un velo che nasconde un baratro, funge da traino , da ispirazione quasi per la ragazza; poi pian piano tutto si trasforma in una inumana lotta contro un mostro, come spesso sentiamo dire dai due. 
Ma il mostro è la dipendenza di Anthony, o il suo sfruttare la ragazza o Julie che guarda l'uomo con severità e pronta a giudicare?
Accanto al tema fondamentale del rapporto malato tra i due, Joanna Hogg, inserisce nel film continue riflessioni sul senso dell'arte cinematografica, sul suo rapporto con la realtà, sulla capacità di saper sviluppare una storia: il risultato è un film che ha una certa cifra stilistica, rigoroso, in alcuni tratti vicino alle forme cinematografiche del cinema britannico di Terence Davies, anche se i modelli dichiarati che hanno influenzato il suo cinema sono altri.

lunedì 13 gennaio 2020

The Lighthouse ( Robert Eggers , 2019 )




The Lighthouse (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10


L’opera prima di Robert Eggers , The VVitch , è stata uno degli eventi cinematografici più sorprendenti del decennio appena concluso , motivo per cui i  quattro anni intercorsi prima che l’opera seconda vedesse la luce hanno creato un clima di forte attesa nel pubblico e anche tra la critica, soprattutto perché col suo primo lavoro Eggers aveva in maniera roboante rivisitato, riscritto e rilanciato il cinema horror; non a caso da allora svariate sono state le opere cinematografiche che hanno avuto in The VVitch un più o meno dichiarato modello d’ispirazione.
L’attesa per The Lighthouse non è andata delusa, essendo riuscito Eggers a creare un’altra opera di forte impatto e che fa di tutto per rinsaldare i canoni dell’horror , magari filtrati attraverso una prospettiva autoriale molto personale che  faccia uscire il genere da quel limbo da B-movie in cui sembra essere relegato.
Se in The VVitch era la New England del XVI secolo lo sfondo del racconto,  The Lighthouse è ambientato in una remota isola al largo della Nuova Scozia nel XIX secolo, un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini dove l’unico segno di vita è il grande faro che aiuta le imbarcazioni in navigazione.

A vivere nel faro ci sono Thomas, vecchio uomo di mare scorbutico e greve e il suo assistente Ephraim giunto nell’isola per un periodo di quattro settimane che gli consentirà di guadagnare un bel gruzzolo di soldi. Da subito il vecchio Thomas mette in chiaro le regole: per il giovane attendente la vita non sarà facile impegnato nei compiti più pesanti e disagevoli ( pulizia delle latrine, pittura del faro, trasporto di pietre etc), ma non solo, dovrà  subire le angherie da vecchio bisbetico e dispotico anche quando hanno finito il turno di lavoro.
L’iniziale convivenza improntata sull’ignorarsi reciproco diventa lentamente più opprimente, scandita da lunghe bevute , da racconti marinareschi , da leggende e da storie di vita personale, da violenti alterchi; Thomas da vecchio lupo di mare è legatissimo alle superstizioni tramandate mentre il giovane Ephraim non sembra disposto a sottostare alle regole che queste superstizioni impongono.
Comunque il tempo passa nell’isolamento più totale, qualcosa inizia ad incrinarsi nella sanità mentale dei due personaggi, gli scontri diventano sempre più frequenti e violenti, l’alcool scorre a fiumi e soprattutto la tempesta infinita impedisce alla nave di portare rifornimenti e a Ephraim di lasciare l’isola una volta giunto al termine del periodo stabilito.
Il confronto tra i due diventa quindi una lotta senza quartiere, in uno stato di totale assenza di lucidità dettato dall’alcool, scopriremo che Ephraim in realtà è un’altra persona che ha preso quel nome rubandolo ad un morto, infatti anche lui si chiama Thomas (aspetto che potrebbe guidare verso una chiave di lettura del film…), ma soprattutto oltre alla violenza verbale e non solo , i due iniziano ad avere anche visioni di esseri che appartengono alla mitologia marinara; su tutto domina quella enorme lampada che campeggia in cima al faro, dove al giovane Thomas  è tassativamente proibito avvicinarsi.
L’escalation avrà un finale coerente, raggiungendo il climax di violenza e di follia.
Se The VVitch era fondamentalmente il racconto del rapporto dell’uomo con il demonio, in The Lighthouse Robert Eggers centra la sua storia sul rapporto dell’uomo con la divinità , con il mito, con Dio.
In numerosi frangenti il racconto si rivolge alla mitologia , soprattutto quella marinaresca, che detta le sue leggi ammantate di superstizione ( su tutte quella sui gabbiani che essendo le anime dei morti in mare non debbono essere maltrattati),ma non solo a quella bensì anche alla mitologia classica ( il finale richiama in maniera nettissima il mito di Prometeo) che si interseca con quella religiosa ( la luce della lampada che stordisce e che è preclusa al giovane Thomas, quasi fosse una immagine divina).

venerdì 10 gennaio 2020

Bangla ( Phaim Bhuiyan , 2019 )




Bangla (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

In un panorama cinematografico italiano sempre più asfittico in cui ogni anno sono solo i pochi autori di provata bravura che si impongono ( quest'anno Garrone , Bellocchio etc), mentre i nomi nuovi faticano tremendamente ad emergere, un lavoro come Bangla diretto dal giovanissimo Phaim Bhuiyan, italiano di seconda generazione con genitori bengalesi, rifulge di luce vivissima ,  a dimostrazione che quando c'è l'idea giusta e qualcosa da raccontare il risultato può essere brillante.
Basato sull'esperienza personale del regista (oltre che sceneggiatore e attore), Bangla è il racconto autobiografico di un giovane come ormai sono molti , che fanno parte di quella generazione di nati in Italia da genitori stranieri, quegli italiani ( alla faccia di chi ancora fa finta di non capirlo) di seconda generazione insomma che sono la dimostrazione chiara che ormai l'integrazione, volenti o nolenti è avvenuta e che non si può fermare un fenomeno sociale che ha interessato prima di noi altre società anche più evolute (la Francia ad esempio).
Phaim ambienta il suo racconto autobiografico nel quartiere romano che più di ogni altro testimonia l'avvenuta integrazione, Torpignattara, dove ormai  convivono svariate anime culturali in maniera tutto sommato armonica.


Phaim spesso nel racconto si impone come voce narrante che sovrasta gli eventi, si rivolge al pubblico direttamente dal set, insomma tinge la pellicola delle sfumature più congeniali al racconto autobiografico.
Il protagonista , di nome Phaim, manco a dirlo, vive coi genitori , immigrati dal Bangladesh e la sorella  nel quartiere periferico di Torpigna(ttara), lavora come steward in un museo, suona in una band che si guadagna qualche soldo nei matrimoni, frequenta la moschea e ascolta l'imam come ogni buon musulmano, ha amici che come lui sono figli di immigrati nati in Italia ( e il contrasto tra i tratti francamente orientali , la parlata romanesca e il gergo giovanilistico è a tratti esilarante), vorrebbe lasciare l'Italia per andare a Londra  che è un po' la mecca di tutti gli immigrati, insomma un ventenne come  ce ne sono molti in ogni grande città.
Il suo vivere da musulmano osservante contrasta ovviamente con quello che è il modo di vivere di ogni  giovane occidentale creando dubbi amletici nel protagonista.
Quando poi incontra Asia una giovane studentessa universitaria spigliata, emancipata, tipico esempio di ragazza italiana indipendente e si innamora di lei, ricambiato, il problema del contrasto culturale che ribolle in lui esplode in pieno: per la sua famiglia è inammissibile che abbia una fidanzata italiana, la legge di famiglia prevede: lavoro, matrimonio e figli, e ovviamente astinenza sessuale fino alle nozze, secondo i dettami religiosi islamici ( che poi sono anche quelli cattolici...).

La ragazza d'autunno [aka Beanpole aka Dylda] ( Kantemir Balagov , 2019 )




Beanpole (2019) on IMDb
Giudizio: 8.5/10


La Leningrado appena uscita dalla guerra e dall’interminabile assedio subito , ridotta ad un cumulo di macerie e abitata da una umanità annientata e priva di ogni certezza fa da sfondo, ma forse sarebbe da dire che è la protagonista silenziosa del film, all’opera seconda del giovane e talentuosissimo regista russo Kantemir Balagov che ci folgorò con Tesnota, uno degli esordi più potenti degli ultimi anni; in questa atmosfera da dopoguerra appena iniziato nel quale gli orrori della guerra continuano ad esseri presenti e ad atterrire la popolazione La ragazza d’autunno (altra libera interpretazione del titolo originale piuttosto rivedibile) racconta la storia di Iya , la spilungona cui allude il titolo originale ( Dylda), una giovane che presta servizio in un ospedale affollato di reduci di guerra e che ha lasciato il fronte della guerra perché affetta da una grave forma di stress post trauma che si si manifesta con delle assenze in cui il suo corpo diventa una pezzo di legno informe incapace di ogni movimento.
Iya accudisce Pashka il piccolo figlioletto di Masha una sua amica con la quale ha condiviso l’esperienza al fronte; tratta il ragazzino come fosse suo figlio donandogli un affetto smisurato.


Il suo aspetto particolare ( altissima, biondissima, di una bellezza un po’ androgina ma in certi frangenti irresistibile) sembra sposarsi alla perfezione col suo essere discreta e posata, ancora annientata nello spirito da una guerra che ha lasciato segni profondissimi e che ha cancellato ogni certezza sul futuro.
Un giorno Masha torna dal fronte, ma Iya non potrà restituirle il figlio, un destino che si accanisce infatti lo ha strappato alla vita; Masha riponeva in Pashka tutta le sue speranza per ricominciare una vita, vorrebbe avere un altro figlio ma non può perché divenuta sterile in seguito alle ferite riportate e allora chiede a Iya di fare un figlio per lei , di fungere da surrogato materno affinché quella speranza che nutriva in Pashka possa trasferirsi in una nuova vita.
Il senso di colpa di Iya e quello di Masha, il rapporto in cui quest’ultima tenta di manipolare l’amica la quale tenta di resistere, danno alla storia l’impronta da tragedia, perché il futuro sembra non avere nulla in serbo per le due donne che affrontano la dura realtà in modo diverso: Iya in un sofferto silenzio, racchiusa nella sua fortezza inespugnabile, che vede nell’amica l’unica che possa penetrare nel suo universo, Masha più estroversa, propensa ad approfittare di un giovane figlio di una dirigente di partito che si infatua di lei e della cui generosità nei doni fatti di alimenti si serve per rendere la sua vita e quella dell’amica meno tragica e pesante.
Ma soprattutto quello che lentamente cresce è una tensione dapprima sottile quindi sempre più tangibile tra le due donne che vedono la via d’uscita dalla situazione presente piena di incertezze in maniera diversa; Iya acconsentirà a fungere da madre surrogata accoppiandosi con un ufficiale medico che Masha con la sua capacità manipolatoria aveva messo nelle condizioni di accettare la proposta, vorrebbe sentire la vita crescere dentro di sé , anche per accondiscendere l’amica ma i tentativi cui dovrà sottoporsi saranno più d’uno, accompagnati dal solito dolore silenzioso (magistrale la scena in cui accetta di accoppiarsi con l’uomo solo a patto che Masha rimanga lì a tenerle la mano).

martedì 7 gennaio 2020

Human,Space,Time and Human ( Kim Kiduk , 2018)




Human, Space, Time and Human (2018) on IMDb
Giudizio: 4/10

Piccola premessa indispensabile: per chi scrive Kim Kiduk è stato forse il più importante  cineasta nel condizionare i suoi gusti cinematografici successivi, il vero Virgilio che lo ha condotto nel mondo del cinema asiatico, l'autore che lasciava a bocca aperta coi suoi capolavori.
Poi ad un certo punto qualcosa è cambiato, i capolavori sono diventati lavori ordinari fino all'incredibile e per certi aspetti sconvolgente Arirang che per molti ha decretato la fine artistica di Kim.
Chi scrive ha serbato la speranza che qualcosa potesse ancora cambiare, ed in effetti con Pieta, non da tutti apprezzato nonostante il Leone d'Oro a Venezia , la speranza che il peggio fosse passato diventava tangibile, ma poi arrivò la mazzata Moebius, anche per  questo fortemente controversa è stato il giudizio della critica, che riportò indietro le lancette dell'orologio artistico di Kim.
La speranza non è mai morta ma l'escalation successiva è stata sconcertante, nonostante The Net che un minimo salvava la faccia, fino a questo Human, Space,Time and Human che già nel titolo doveva far pensare a qualcosa di terribilmente pericoloso: con questo lavoro il regista coreano, purtroppo, certifica in maniera incontestabile che il suo tramonto artistico è probabilmente definitivo.


La premessa era necessaria per poter rendere credibile la recensione di questo lavoro, anche perchè i giudizi della critica  sono stati  tutti estremamente negativi , oltrechè , probabilmente anche prevenuti.
Sta di fatto che l'ultima fatica di Kim Kiduk è un film brutto, raccapricciante per la superficialità e il pressappochismo che lo pervade, un puro esercizio didascalico che sembra essere diventato il marchio di scarsissima qualità dei lavori di Kim a partire da Arirang, con la unica eccezione del citato Pietà.
Come detto già la quadripartitura del titolo che è anche nello sviluppo del racconto, richiama con molta furbizia  quel Primavera, estate,autunno , inverno e ancora primavera, una delle grandi opere dell'epoca di splendore del cinema del regista coreano, con molta presunzione tra l'altro, quasi a voler creare un nesso con questa scialba pellicola.
Il racconto si volge su una ex nave da guerra trasformata , chissà perchè, in una nave da crociera, su cui prendono posto tutti personaggi che fanno chiaro e patetico riferimento alle varie classi sociali di cui è composta una società , non solo quella coreana: il politico di nome col suo giovane rampollo, giovinastri teppisti, un paio di coppie di neosposi e di fidanzati, una gang di delinquenti, un manipolo di prostitute , uno strano e silenzioso personaggio anziano che raccoglie terra sulla nave, e ovviamente l'equipaggio; insomma una immagine mataforica che più didascalica e scontata non si può.
Ben presto a bordo i problemi cominciano ad affiorare: il politico mangia un pasto ben più ricercato che gli altri viaggiatori, per di più gli viene assegnato un alloggio più comodo e spazioso, il capo della banda di gangster decide di porsi come guardia del corpo del politico e di suo figlio e li difende dalle proteste degli altri viaggiatori; le battone trovano ben presto lavoro e soldi, gira pure la droga , i teppisti decidono che è ora di divertirsi a stuprare qualcuna delle passeggere e pure il politico decide dietro consiglio del gangster di violentare la neosposina  dopo che già anche lui si era servito.
Unico personaggio che guarda in silenzio e non agisce è l'anziano.

lunedì 6 gennaio 2020

Still Human / 淪落人 ( Oliver Siu Kuen Chan / 陳小娟, 2018 )




Still Human (2018) on IMDb
Giudizio: 7/10

Lavoro tra i più apprezzati nel panorama cinematografico dell'anno in Asia, e indiscusso trionfatore per il 2019 del cinema di Hong Kong ( ha riscosso premi da pubblico e critica in maniera convinta), Still Human è l'opera prima della giovane regista di Hong Kong Oliver Chan, trionfatrice, tra l'altro anche del Gelso d'Oro al Far East Film Festival di Udine del 2019.
Ogni anno il cinema della ex colonia britannica ci consegna qualche lavoro che ha dominato la scena e si è imposto in maniera quasi plebiscitaria e quasi sempre sono lavori che mostrano delle tematiche sociali particolarmente sentite nella popolazione.
Still Human ci racconta di un uomo disabile, ridotto sulla sedia a rotelle perchè paralizzato dal busto in giù, solo, dato che la ex moglie è migrata anni prima negli Stati Uniti col figlio, ora prossimo alla laurea, dove si è costruita una nuova vita; l'unico a prendersi cura di lui è un ex collega che prova  un forte senso di riconoscenza e che gestisce anche il traffico di badanti che si susseguono perchè  Cheong Wing, il protagonista, è giusto dirlo, è un bel rompiscatole bisbetico, abbrutito dalla solitudine e da una vita senza prospettive.


L'ultima badante assunta è una giovane immigrata filippina, fuggita da un matrimonio fallimentare e che come tutte le lavoratrici all'estero lavora anche per racimolare un po' di soldi per la sua famiglia rimasta in patria.
La ragazza, Evelyn, capisce subito che il suo sarà un impegno duro e difficile, anche se dopo un iniziale periodo di belligeranza i due riescono a trovare qualche punto di contatto; in effetti Evelyn è ragazza di grande sensibilità che mal volentieri ascolta i consigli delle sue connazionali che incontra tutte le domeniche nel giorno libero che la mettono in guardia dal datore di lavoro; anzi è una donna che vive la sua vita rincorrendo ancora un sogno, quello di poter diventare una fotografa.
Il tema del sogno da inseguire è uno degli assi portanti del racconto, perchè anche Cheong Wing ne ha uno: quello di rivedere il figlio, finalmente laureato in America.
I due insomma partendo da una base di diffidenza reciproca instaurano invece un rapporto di affetto, che rende meno solitaria la loro vita, Evelyn diventa fondamentale per l'uomo e a sua volta questi è capace di regalare un affetto vastissimo alla sua badante.

sabato 4 gennaio 2020

Pinocchio ( Matteo Garrone, 2019 )




Pinocchio (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10


L’incipit  per un attimo sembra voler creare un collegamento magico con quello che è il modello principe di tutte le versioni cinematografiche dell’opera di Collodi: il flauto che intona il motivo iniziale  rimanda in maniera talmente netta alla musica del Pinocchio di Comencini che la cosa non può che essere considerata sin da subito come una chiara e rispettosa citazione; per il resto , al di là di questo attimo che crea fugacemente  quasi una asimmetria temporale, la nuova opera di Matteo Garrone è un Pinocchio verrebbe da dire agli antipodi , che esclude qualsiasi paragone possibile nonostante sia praticamente inevitabile fare riferimento, seppur si spera fugacemente, al suo illustre predecessore.
Era un film questo che Garrone aveva probabilmente nel cassetto da molto tempo, perché se c’è un aspetto che emerge nettissimo dopo la visione della pellicola è il profondo rispetto che nasconde un amore viscerale per l’opera letteraria da parte del regista soprattutto perché , con i limiti temporali imposti dalla durata idonea alle sale, questa versione garroniana è tremendamente fedele allo scritto, un omaggio filologico allo scrittore toscano e alla sua straordinaria fiaba che rimane di certo una delle opere letterarie più conosciute non solo in Italia ma anche nel resto del mondo.


La fedeltà al testo insomma come premessa fondamentale che spazza via ogni possibile dubbio su interpretazioni personali ; Garrone , caso mai, e sappiamo quanto bravo sia in questa operazione, fortifica la sua prospettiva dell’opera attraverso tutto ciò che è di contorno , ma anche nella sostanza dei vari personaggi.
Il Pinocchio del regista romano è un’opera che si libera del moralismo col quale spesso è stata interpretata la fiaba del burattino: Pinocchio agli occhi di Garrone è il fanciullo che si affaccia al mondo e che mosso dalla sua grandissima curiosità è disposto anche ad infrangere qualche regola pur di conoscere ogni angolo di quel mondo nel quale si ritrova , da ciocco di legno ad essere senziente che viene gettato in un mondo dove regna la povertà , dove il padre Geppetto, il falegname che lo crea, non ha un soldo neppure per mangiare; un mondo di deboli quindi , uno scorcio su una umanità rurale che è però  lo specchio stesso di un’epoca.

giovedì 2 gennaio 2020

Joker ( Todd Phillips , 2019 )




Joker (2019) on IMDb
Giudizio: 5/10

Già il Leone d'Oro incredibilmente assegnato dalla giuria a Venezia lascia a bocca aperta anche in considerazione del fatto che siamo ben fuori dal seminato di quel cinema d'autore che una Mostra cinematografica dovrebbe promuovere (e premiare), ma ancor più lascia senza parole il tono dei giudizi che Joker di Todd Phillips ha riscosso, alcuni al  limite del deliquio di scrittura, altri talmente iperbolici da apparire assurdi ("il Cinema può anche morire adesso perchè nulla di più grande di Joker potrà mai essere concepito") in un'epoca in cui si grida al capolavoro con una sconcertante facilità e superficialità; tutto ciò perchè la pellicola di Todd Phillips è tutt'altro che film indimenticabile e soprattutto è un'opera che vive su un fraintendimento, un equivoco strutturale: Joker è un film costruito addosso ad un attore, straordinario certamente ( e lo sapevamo già senza pericolo di essere smentiti) che il regista vuole però spacciare come un'ampia riflessione socio-antropologica confusa, ridondante di ovvietà che appare il più delle volte posticcia.


Joker è di certo uno dei villain più celebri sia della letteratura fumettistica che del Cinema, storico avversario di Batman, di cui Phillips vuole raccontarci il percorso che lo porta ad  essere l'essenza del male e della criminalità violenta nichilistica.
Arthur (alias Joker prima di diventare il criminale che sappiamo) è un poveraccio emarginato e malato che lavora per quattro soldi travestendosi da pagliaccio, vive in una fatiscente abitazione con una madre anziana e malata anch'essa, ha un background orribile ricco di violenza e soprusi che ci si appaleserà  davanti nel corso della storia e di cui prenderà improvvisamente coscienza egli stesso.
Arthur però ha un sogno (ovviamente frustrato...) quello di diventare un  comico da stand-up comedy, come il suo idolo Murray Franklin che segue tutte le sere in TV.
Dopo gli ennesimi soprusi ( una baby gang che lo pista di botte, il datore di lavoro che lo licenzia e un gruppo di yuppies che lo aggredisce  nella metropolitana di Gotham City, mentre ancora vestito da clown sta tornando sconsolatamente a casa) Arthur si ribella tentando con ciò un riscatto: fa fuori con una pistola che un collega gli aveva regalato i tre e scappa iniziando la sua carriera da criminale in una escalation senza freni.
Il riscatto ( o presunto tale di Arthur-Joker) diventa il simbolo della rivolta degli abitanti di una Gotham City sempre più degradata, schifosa e alienante che trovano in lui il simbolo (autodistruttivo) con cui combattere la corruzione dei politici e dei magnati che dominano la città.
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