Kim si da alla commedia demenziale
Lei è una alcolizzata frustrata dai tradimenti del marito, lui se la spassa con l'amante, il figlio si eccita a guardare di nascosto il padre in azione; lei tenta di evirare lui e non ci riesce, quindi ripiega sul figlio che ha il torto di masturbarsi nottetempo ripensando alle gesta del padre, lei sparisce dopo il fattaccio e lui si fa staccare il pene in attesa di poterlo donare al figlio in un funambolico intervento di trapianto; nel frattempo l'amante ci prova col ragazzotto e il padre si fa venire le occhiaie per trovare su internet un rimedio alla mancanza dell'organo (sua e del figlio); alla fine il trapianto si fa , tecnicamente riuscito, ma l'organo non si erge nonostante le stimolazioni; ricompare lei e , sorpresa, il ragazzotto ha la prima impetuosa erezione al solo tatto delle mani materne.
Concentrato di durezze Kimkidukkiane o pecoreccia dark comedy demenziale?
Neppure le reazioni raccolte a Venezia hanno potuto risolvere il quesito: si va da chi grida al capolavoro assoluto a chi abbandona la sala inveendo, a dimostrazione che sicuramente stavolta il regista ha scatenato il putiferio , dopo che già la censura in patria aveva stroncato il film.
In realtà Moebius è un film che vorrebbe essere drammatico e che per larga parte offre spunti da B Movie dozzinale, di quelli da cinema di periferia: se Kim ha voluto fare un film commediaiolo demenziale, ci è riuscito, se invece, come è molto più probabile, voleva affondare la lama nelle carni dello spettatore è fallito miseramente, cosa che ahimè succede da ormai parecchio tempo, escludendo quel miracolo, perchè così alla luce di tutto va interpretato, che è stato Pieta.
Certo il compendio di tematiche che hanno accompagnato tutta la carriera cinematografica del regista ci sono tutte, dallo stupro alla famiglia, dalla violenza alla vendetta, dall'incesto all'amore sporco e all'ermetismo spinto, ma sono quasi delle ruffiane trappole sparse lungo il percorso di un racconto che brilla , oltre che per qualche momento di autentica ilarità, di autentica forzatura, di voglia di stupire usando espedienti noti ma ormai arrugginiti dal tempo; troppo forte è l'impressione di assistere ad una messiscena ad uso e consumo degli adoratori a priori del regista che puzza di finzione ispirativa lontano un miglio; vogliamo paragonare gli aghi del L'isola con le pietre usate come surrogato orgasmifero di Moebius?
Per chi ha amato Kim, questo film somiglia molto ad una pietra tombale, in misura maggiore rispetto addirittura ad Arirang che se non altro aveva lo scopo di essere uno sfogo e una lamentela senza fine; qui Kim abdica, prende in giro anzitutto se stesso, perchè, probabilmente, è convinto di avere fatto un compendio della sua arte.
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