sabato 14 settembre 2013

Amen ( Kim Ki-duk , 2011 )

Giudizio: 5.5/10
Sprazzi di Cinema in filmino vacanziero

Incastonato nel tempo tra il patetico Arirang e il premiato Pieta, emblema di una apparente rinascita artistica, Amen sembra voler disegnare il punto di svolta: un ritorno al linguaggio cinematografico, abbandonando l'autocommiserazione e gli sproloqui che avevano contraddistinto il precedente lavoro di Kim Ki-duk.
Affermare che Amen sia propedeutico a Pieta è probabilmente azzardato, ma senza dubbio nel breve racconto di un girovagare europeo della protagonista c'è senz'altro la volontà di tornare al concetto cinematografico che è proprio del regista coreano.
Qualche sprazzo delle sue tematiche è effettivamente accennato, gettato nel marasma di un film che somiglia tanto a quello di un qualsiasi vacanziere alla ricerca delle bellezze di Parigi, Venezia ed Avignone: il rapporto amoroso intriso di dolore, l'assoluto ermetismo, un certo misticismo che va tingendosi sempre più di tinte cristiane, il minimalismo tecnico,
La storia della protagonista, rigorosamente senza nome, alla ricerca del suo amante in Europa si configura però a ben vedere come una ulteriore analisi interiore allegorica, in cui Kim pone al centro se stesso, in maniera quasi più sdegnata di quanto fece in Arirang; la giovane protagonista è una proiezione del regista stesso che , sotto le spoglie di un misterioso uomo con maschera antigas, insegue, pedina e pressa da vicino la donna.

Un film in cui l'essenzialismo regna sovrano: Kim regista e attore e la protagonista, alter ego di lui stesso, persa in paesi che non conosce , alle prese con una gravidanza apparentemente indesiderata, dialoghi nulli, montaggio confuso in cui predomina un suono fastidiosissimo , proprio come quello dei filmati di una vacanza con il vociare dei turisti sulle scalinate di Montmartre o lungo le calli veneziane.
Se lo sforzo di uscire da un autoesilio interiore per tornare al linguaggio cinematografico va apprezzato, non altrettanto si può dire per le strade intraprese, in cui troppo spesso emergono degli sterili simbolismi (la madonna col bambino) o delle riflessioni quasi imbarazzanti (le immagini dei bambini giocosi che contribuiscono a sgretolare le convinzioni della ragazza) e soprattutto crea quasi fastidio ed imbarazzo questo porre sempre se stesso al centro di un mondo confuso e alienato.
Considerato alla luce del successivo Pieta , il film assume una luce diversa, probabilmente visto prima del lavoro che lo fece vincere a Venezia lo scorso anno, sarebbero stati molto di più i dubbi e lo sconcerto.
Naturalmente le schiere degli adoratori di Kim a priori hanno gridato all'ennesimo capolavoro; noi, invece, entusiasti estimatori del Kim prima de L'arco abbozziamo ancora e aspettiamo con fiducia.

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