domenica 31 maggio 2020

Maggie ( Yi Okseop , 2018 )




Maggie (2018) on IMDb
Giudizio: 6/10

Grazie ad un esordio clamoroso al Festival di Busan che è valso ben tre riconoscimenti, Maggie, opera prima della giovane regista Yi Okseop, è diventato ben presto uno dei film più osannati del panorama indipendente coreano degli ultimi due anni, oltre a riscuotere riconoscimenti anche in altre rassegne cinematografiche.
In effetti se una cosa non manca di certo a Maggie è l'originalità grazie ad una abbondante dose di surrealismo e di ironia quasi demenziale, che lo rende lavoro che incuriosisce.
La storia prende via in un ospedale privato di Seoul ( nonostante il lascito ne prevedesse l'uso per tutti) in una sezione di radiologia dove una tecnica e il suo ragazzo consumano un atto sessuale che viene però anonimamente immortalato da una radiografia; quando la foto inizia a girare per l'ospedale l'infermiera Yoonyeong che ha da poco anch'essa  consumato un incontro sessuale col suo fidanzato nella stessa sala , pensando di essere lei quella raffigurata nella radiografia inizia a meditare sulla opportunità di abbandonare il lavoro, spinta in questo anche da Kyeongjin una delle dirigenti dell'ospedale.


Ma quando la mattina dopo al lavoro si presentano solo loro due ( tutti si sentono colpevoli per un atto che evidentemente in molti praticavano ?...) Yoonyeong ritorna sulla sua decisione e siccome Kyeongjin è certa che quelle assenze siano tutti fasulle decidono di far visita ad un paio di dipendenti per accertarsene: un confronto insomma tra chi crede nella fiducia  e nell'onestà e chi invece vive del cinismo del dubbio.
Da qui in poi il film è un continuo di scene che spesso sembrano essere totalmente slegate tra di loro e che seguono un labile filo narrativo, ma soprattutto tutto ciò che sentiamo raccontato viene dalla bocca di un pesce gatto che un paziente si è portato in ospedale, un esser dotato forse di doti vaticinatorie che anticipano dei singolari incidenti che si verificano a Seoul con improvvise aperture di gigantesche buche.
Senza andare troppo oltre nel racconto, a parte accennare al fatto che la fiducia che nutre Yoonyeong subisce dei duri colpi soprattutto riguardo al rapporto col fidanzato, è facile intuire come Maggie sia film tutt'altro che convenzionale nel quale però la regista cerca di infilare un po' tutto e spesso anche alla rinfusa: la tematica dell'onestà e della fiducia nei rapporti interpersonali, la forza del dubbio che si insinua nelle esistenze e di fronte al quale c'è come rimedio solo la verità, qualche tema sociale sulla società capitalistica e un aforisma che sentiamo ripetere spesso nel film e che in effetti sembra un po' il filo conduttore: " Quando cadiamo in una buca quello che dobbiamo fare non è scavare ulteriormente , ma cercare di uscire subito fuori".

sabato 30 maggio 2020

Father to Son / 范保德 , 2018 ( Hsiao Ya-Chuan / 蕭雅全 , 2018 )




Father to Son (2018) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Il regista e sceneggiatore taiwanese Hsiao Ya-Chuan  ha diretto dal 2001 ad oggi tre lavori e un cortometraggio inserito nel film corale 10+10; nel suo background professionale spicca la collaborazione avuta con Hou Hsiao-Hsien il quale a sua volta si è posto come nume tutelare del regista essendo il produttore di tutti i lavori diretti da questo.
Quanto del Cinema di Hou ci sia in quello di Hsiao non è facile da dire, a livello di percezione però è chiaro che soprattutto il concetto di tempo e il suo sviluppo sembra molto vicino a quello del grande maestro.
Father to Son è infatti lavoro che ha proprio nel tempo, nella sua labilità concettuale, nel suo diradarsi e restringersi , nell'accavallarsi e  contorcersi il pilastro fondamentale.
In una piccola città della provincia taiwanese vive Fan Pao-Te un sessantenne ancora aitante e  in forza che gestisce insieme al figlio una ferramenta, inoltre l'uomo è anche un inventore dilettante e la sua capacità di risolvere problemi tecnici gli vale la stima di tutti; proprio durante un intervento in un ospedale diretto da un suo amico dai tempi della scuola, Fan , colto da violenti dolori, viene visitato dall'amico e gli viene diagnosticata una grave malattia al pancreas (non sapremo mai che tipo di patologia) che richiederebbe degli ulteriori accertamenti da eseguire però a Taipei.


Lungi dal seguire il consiglio dell'amico medico Fan continua a passare le serate in compagnia dell'amico spensierato ed edonista Hou, paladino del carpe diem e soprattutto progetta di effettuare un viaggio in Giappone, insieme al figlio, alla ricerca di notizie sul padre che 50 anni prima lasciò lui e la madre per tentare fortuna, una separazione che ancora oggi, dopo tanto tempo fa sorgere tante domande nella mente di Fan.
Proprio questo partire , a volte tornare e rimanere, altre volte no, è  la chiave di lettura di Father to Son, a maggior ragione nel momento in cui da qualche parte nella storia spunta l'affermazione che " le storie del futuro si nascondono nel passato" ; sotto questa prospettiva assume una visione diversa l'ambiente dove il film è ambientato, un quartiere che sembra fermo nel tempo, dove basta giocare col bianco e nero e col colore per cambiare epoca e saltare negli anni inseguendo personaggi e vicende: non solo Fan , anch'esso pensò di mollare la famiglia ma ebbe la forza di tornare, ma anche una affascinante , misteriosa  proprietaria di un albergo, carica di rimpianto e nostalgia, una proprietaria di una lavanderia malata , una giovane fotografa, un misterioso giovane che viene da Hong Kong e che sembra una reincarnazione giovane di Fan.
Tutto si miscela in un continuo cambiare registro temporale, spesso senza averne la piena consapevolezza, non fosse per il bianco e nero o per gli oggetti divenuti ormai lo spartiacque tra il passato ed il presente e cioè gli smartphone.

martedì 26 maggio 2020

Ode to the Goose ( Zhang Lu , 2018 )




Ode to the Goose (2018) on IMDb
Giudizio: 8/10

Il film si apre con un uomo e una donna che guardano una pianta stradale di Gunsan , città costiera della Corea del Sud: Yoonyoung ha invitato per quel viaggio l'amica Songyun, dopo aver appreso che lei è divorziata da poco dal marito che lui conosce; è chiaro che all'uomo la donna non è indifferente, anzi si può francamente dire che ne è innamorato, ma lungi dal dichiararsi si comporta anche in modo scontroso; lei da parte sua si aspetterebbe qualche avances ma oltre che stuzzicare l'amico non riesce a fare.
I due prendono alloggio in un B&B indicato dalla proprietaria di un bar che li mette però in guardia sulla stranezza del proprietario; questi è un nippo-coreano con una giovane figlia autistica che evita il contatto con gli ospiti della pensione, un doloroso passato lega padre e figlia, la morte della madre avvenuta in un drammatico incidente davanti i loro occhi.
Sebbene Yoonyoung e Songyun decidano di alloggiare nella medesima stanza, l'unica cosa che si verifica è la certificazione di una sorta di incomunicabilità cronica , motivo per cui la donna non solo decide di passare in una stanza singola ma inizia a sentirsi in qualche modo attratta dall'albergatore triste.
Da parte sua Yoonyoung sembra quasi in grado di riuscire a stabilire un contatto con la giovane ragazza autistica ma solo perchè questa, che passa il tempo in una stanza a guardare le telecamere a circuito chiuso, risulta paradossalmente l'unico personaggio in grado di tentare un approccio comunicativo.


I due protagonisti passano così le giornate nella graziosa città che porta i segni di una influenza nipponica e che ricorda in una mostra all'aperto le atrocità dell'invasione giapponese; ma i poli che sembrano funzionare di più sono quelli che attraggono Songyun e l'albergatore e Yoonyoung e la giovane autistica, fino ad un ambiguo ed inquietante episodio che non riusciamo a capire se è immaginario o reale.
Tornati a Seoul Yoonyoung torna nella sua casa dove vive con l'anziano padre, un reduce di guerra, e la governante sino-coreana.
Da qui in poi le lancette del tempo tornano indietro e scopriamo come i due protagonisti si incontrino dopo tanto tempo, si inizino a frequentare, lui scopre che lei è ormai divorziata ( grandiosa la scena fuori del bar della nuova donna del marito di Songyun), vanno a cena e si ubriacano ovviamente, lui dimostra la sua vena artistica che ne fa un poeta.
La circolarità del tempo ci riporta nel finale alla scena iniziale in strada, davanti alla pianta della città di Gunsan.
Ci sono due o tre spunti che risaltano immediatamente durante la visione del film: le tematiche legate all'etnie miste (sino-coreana, nippo-coreana) retaggio di un passato storico ricco di divisioni e di drammi nazionali cui il regista, un sino-coreano, è particolarmente sensibile , soprattutto nell'ottica del problema di discriminazione cui sono spesso sottoposte e della ricerca delle radici ( " la nostra casa è dove ci sistemiamo"); un magistrale utilizzo del tempo e dello spazio, in cui il primo rovescia la storia che parte da metà e si sposta verso i due poli inizio-fine dilatando il racconto e dando quel senso armonico di circolarità e il secondo , grazie a delle scelte di ripresa molto ben congegniate, ci regala prospettive multiformi, utilizzando specchi, giochi di prospettiva e angolature profonde; e poi c'è la tematica principale del film che sembra essere quella profonda e insuperabile incomunicabilità che paralizza i personaggi e che diventa la causa di equivoci, di momenti immaginati, quasi di dissociazione tra realtà e fantasia, una incomunicabilità che inesorabilmente inaridisce gli animi, lacera, paralizza e alla fine allontana irrimediabilmente uno dall'altro.

domenica 24 maggio 2020

Ramen Shop ( Eric Khoo , 2018 )




Ramen Shop (2018) on IMDb
Giudizio: 7/10

Fra i tanti modi di intendere il cibo , il regista singaporiano Eric Khoo, la voce cinematografica probabilmente più importante e stimata anche  in occidente del piccolo paese-città dell'estremo oriente, sceglie la sua capacità di contenere la memoria storica; cibo quindi non solo come sostentamento, passatempo , passione o piacere, bensì qualcosa attraverso cui si può ripercorrere la propria storia personale e le pietre miliare della memoria.
Ramen Shop è un delicato racconto dai toni pacati e dai colori tenui che vede protagonista il giovane Masato, figlio di un cuoco giapponese con cui gestisce un ristorante di ramen e di madre di Singapore, prematuramente scomparsa ormai da un decennio. Il ragazzo si impegna con passione nel suo lavoro di cuoco seguendo le gesta del padre e sperimentando nuovi piatti; ma quando il padre, che ci appare subito come una persona che ha ormai abbandonato ogni entusiasmo nella vita, muore improvvisamente, Masato decide di chiudere il negozio, dove lavorava anche il fratello del padre ,  e stimolato dalla scoperta di alcuni ricordi e di vecchie fotografie appartenuti al defunto, decide di partire per Singapore alla ricerca della sue radici materne.


Guidato da Miki, una food blogger cui si rivolgeva per procurarsi le spezie e gli ingredienti, Masato inizia così un viaggio della memoria e della sua storia personale guidato solamente da poche fotografie che lo riprendono allorquando bambino viveva a Singapore con la madre e il padre, incontra il fratello della madre che non vedeva da quando era ragazzino e un po' alla volta viene a conoscenza del dramma vissuto dalla madre , ferocemente criticata e di fatto ripudiata dalla nonna per la sua decisione di sposare un giapponese , dopo che il nonno fu ucciso proprio dagli invasori nipponici durante la guerra; ogni tentativo di Masato di avvicinarsi alla nonna e di capire il perchè di quell'atteggiamento ostile verso la madre cade nel vuoto, anche se poi , grazie al potere taumaturgico del cibo e alla sua grande potenza di unione e di serenità che infonde, la ferita viene sanata nel nome della memoria della madre.
Sebbene il film soprattutto nella seconda parte si affidi a toni fortemente drammatici, sia per la storia personale del protagonista , sia per il ricordo della dominazione giapponese e le efferatezze che ne conseguirono di fronte alle quali il giovane Masato rimane turbato e commoso, Ramen Shop è film che non cede mai ad atmosfere pesanti, scegliendo viceversa Eric Khoo una narrazione sempre piuttosto leggera e anche allegra.

mercoledì 20 maggio 2020

Sheep Without a Shepherd / 误杀 ( Sam Quah Boon-Lip / 柯汶利 , 2019 )




Sheep Without a Shepherd (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Il 2019 cinematografico cinese ha visto, con una certa dose di sorpresa in vero, brillare ai botteghini e sistemarsi tra i dieci film di maggior incasso dell'anno Sheep Without a Shepherd del regista malesiano Sam Quah, ultimo di una corposa lista di remake del film indiano Drishyam.
Al di là dell'importanza di un cast di primo ordine il film in effetti ha tutto per piacere al grande pubblico, dalla suspance al melodramma passando anche per tematiche sociali di denuncia che non riguardano ovviamente la Cina visto che la pellicola è interamente girata in Thailandia.
La storia si incentra su una famiglia di origini cinesi trasferitasi ormai da molti anni in Thailandia; il capofamiglia Weijie gestisce una piccola compagnia che si occupa di connettività , possiede una bella casa, un po' macabra perchè confina con il cimitero, dove vive con la moglie e le due figlie An-an , ancora in età fanciullesca e Pingping che invece sta vivendo la adolescenza con tutte le piccole problematiche connesse; comunque Weijie è a capo di una famiglia che infonde simpatia e che lascia trasparire un grande affiatamento.


Inoltre il protagonista ha la grande passione  del cinema, soprattutto i thriller e i gialli che cita spesso e volentieri, quasi a sfoggiare una cultura che impressiona gli astanti.
La vita della famiglia subisce un improvviso evento traumatico che cambierà il suo destino: Pingping ad un campo scuola di alcuni giorni fuori città viene drogata e violentata dal bulletto di turno che è anche il figlio del capo della polizia della città e del candidato sindaco; oltre tutto il bruto vorrebbe tenere in scacco la ragazza con un filmato che la riprende durante la violenza.
Da quel momento in poi una serie di eventi sconvolgeranno la vita della tranquilla famiglia con Weijie che dovrà attingere alla sua cultura cinematografica per mettere in piedi il delitto perfetto.
Finale che vira sul melodramma e che sistema un po' tutti gli aspetti rimasti sospesi, muovendosi tra vendetta, giustizia, pentimento e perdono.
Sono molti i titoli dei film che Sam Quah cita, soprattutto il coreano Montage, e non è una citazione casuale ( e meglio non aggiungere altro), e questo citazionismo è un po' l'aspetto più curioso del racconto : il cinema inteso come chiave di volta per risolvere i problemi, basta attenersi a quello che la finzione racconta e applicarlo alla realtà, ed in effetti tutta l'inchiesta che seguirà lo stupro e gli eventi immediatamente successivi a tratti sembra proprio un film nel film, proprio perchè c'è qualcosa da dimostrare nonostante tutte le prove siano contrarie.

martedì 19 maggio 2020

Ema ( Pablo Larrain , 2019 )




Ema (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Se con l’opera precedente , Jackie, con cui aveva affrontato di petto il cinema hollywoodiano attraverso il ritratto di una delle icone femminili della Storia del XX secolo Pablo Larrain si era inevitabilmente allontanato dal suo cinema di forte impronta storica e politica intimamente legata  al suo paese di origine, con la sua ultima fatica il regista cileno fa un ulteriore passo di allontanamento da quelle tematiche per approdare su ambientazioni e tematiche piuttosto distanti da quelle del suo cinema .
Ema infatti è un’opera indubbiamente ambiziosa, per certi versi ardita, che cerca nel linguaggio cinematografico e nell’immagine la chiave di volta per portare sullo schermo una storia ordinaria , libera da prospettive politiche esplicite, in cui è il personaggio femminile della protagonista a trainare il peso della narrazione e del racconto.
Ema è infatti una giovane ballerina, sposata con Gaston , il direttore della compagnia di ballo sperimentale per cui lavora; i due hanno avuto un figlio in adozione, Polo, ma la scelta è stata talmente fallimentare e tragica che il ragazzino, all’ennesimo gesto inconsulto, è stato riconsegnato ai servizi sociali e affidato ad un altra famiglia.



I due , divisi da un certo divario di età (lui è più anziano di 15 anni) vivono il fallimento della loro esperienza di genitori in maniera quasi rabbiosa: continue accuse di incapacità, sensi di colpa insuperabili, tentativi tristi di affermare la loro inadeguatezza nella crescita del figlio, il concetto , quasi ancestrale , per cui secondo Ema, madri , nel senso più corporeo e carnale si diventa anche se non si ha concepito il figlio.
La ragazza decide di lasciare il tetto coniugale, lanciandosi in una avventura anarchica nella quale c’è spazio per qualsiasi cosa che la incendi, nel senso proprio del termine; spinta da una folle vitalità egoistica lascia il lavoro, gira per Valparaiso con alcune sue amiche-colleghe-amanti,  incarnando la filosofia del reggaeton, il ballo più istintivo e ribelle; intreccia storie d’amore con uomini e donne, insomma una vita vissuta in ogni sua spigolatura , quasi alla giornata, nutrendosi solo di quel furore che nasce dal tentativo di superare il suo fallimento precedente.
Ad un certo punto però una serie di tasselli che giravano come impazziti sullo schermo cominciano a prendere posto nella trama complessiva dell’opera e l’immagine di Ema cambia: quella che sembrava ribellione anarchica alimentata da una folle vitalità non è altro che parte di un disegno personale finalizzato al riportare a casa il figlio prima adottato e poi abbandonato.
In effetti assistere alla visione di Ema sapendo che di lavoro di Pablo Larrain si tratta, in più di una circostanza può generare stupore e incredulità, soprattutto pensando alle tematiche affrontate, anche se l’impianto del film mostra comunque da subito la mano di un grande regista , impegnato questa volta più sulla ricerca dell’immagine e del linguaggio che nell’analisi storica.
Le tematiche politiche legate alla storia recente del Cile non sembrano essere quelle dominanti del film, sebbene Larrain sembra voler descrivere, ricorrendo a volte addirittura al videoclip,  una generazione che dei drammi degli anni passati non ha la minima testimonianza diretta, una generazione vitale, feroce nella sua forza di affermare se stessa, una generazione che si affida al ballo per esprimere la sua ribellione.

lunedì 18 maggio 2020

G Affairs / G殺 ( Lee Cheuk Pan / 李卓斌 , 2018 )




G Affairs (2018) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

Salutato da più parti, anche sull'onda delle numerose nomination all'Hong Kong Film Awards del 2019, come un esordio che rivisitava le atmosfere e le tematiche di Made in Hong Kong di Fruit Chan a distanza di più di vent'anni e con le turbolenze sociali e politiche recenti nell'ex colonia britannica che sembrano derivare da quell'handover del 1997 anno di uscita del film di Fruit Chan, G Affairs dell'esordiente Lee Cheuk Pan, sostenuto dalla esperienza sapiente di Herman Yau in veste di produttore esecutivo, è lavoro che indubbiamente getta una sferzata di aria nuova e di drammatico pessimismo sul cinema odierno di Hong Kong , storicamente e cronicamente in crisi , incapace di mantenere la sua identità per la impari lotta contro i colossi mainlander che attirano registi e personale del mondo cinematografico in genere; da qui a paragonarlo in qualche modo al capolavoro di Fruit Chan, ancora oggi uno dei film basilari della cinematografia HKese, sembra più un estremo tentativo di esorcizzazione di una situazione di profonda crisi, nella speranza che un lavoro che comunque ha il suo impatto possa in qualche modo fare girare le sorti di un ambiente che mostra sempre più  difficoltà quasi insormontabili.


Fatta questa premessa va detto che G Affairs è comunque un lavoro che guarda, sarebbe forse meglio dire scava, sotto la coltre che ricopre la società di Hong Kong mettendone in luce tutta la lordura presente.
L'inizio del film è di quelli da che rimangono impressi ed è un po' la chiave di volta di tutta la trama intricatissima: in una stanza un giovane suona il violoncello, la Suite per Violoncello n.1 in sol ( G) maggiore di J.S.Bach, una donna mezza nuda passa davanti a lui e va alla porta, sullo sfondo in formato 4:3 immagini di uccelli, un uomo prende per i capelli la donna e la getta su un divano dove ha un rapporto sessuale, la macchina da presa gira e dal balcone una testa mozzata rotola dentro la stanza.
La scena è un po' la sintesi della storia , una specie di allucinazione ottica che al suo interno ha un racconto fatto di mille storie che si incrociano.
G Affairs infatti ruota intorno ad una serie di personaggi tutti più o meno direttamente legati: la studentessa Yu Ting, tanto brava a scuola quanto malvoluta dai compagni, la madre è morta di cancro e il padre , il poliziotto Lung è un laido corrotto, violento, puttaniere e colluso con i gangster, la sua nuova donna è una prostituta cinese mainlander ,Mei, che dovrebbe prendersi cura della sua figliastra, i due compagni di classe di Yu Ting, Tai, il violoncellista , anche lui preso di mira dai bulli per la sua altezzosità culturale e l'autistico Don, che con il suo gioco di scegliere una lettera dell'alfabeto occidentale ( ovviamente la G) dà il significato al film e l'insegnante di Yu Ting che con lei ha in piedi una relazione sessuale illecita.
Quella maledetta G scelta da Don da il via ad un funambolico racconto con capitoli che hanno per titolo tutti una parola che inizia con G; un racconto senza un filo temporale, narrato con varie prospettive e voci fuoricampo, una miriade di frammenti lanciati sul tavolo che poi in quella scena finale( iniziale) si risistemano magicamente al loro posto.
Lee Cheuk Pan dirige un thriller sui generis insomma, dietro al quale è forte la tematica che riguarda i destini di Hong Kong e dal quale trasuda un certo pessimismo scaturito dalle lotte politiche intraprese negli ultimi anni che hanno generato solo delusioni e illusioni; la città che descrive il regista è traboccante di egoismo, di aberrazioni, di cattiveria, priva di qualsiasi etica e moralità nella quale i giovani subiscono le violenze non solo psicologiche degli adulti, una città che disprezza i cinesi mainlander, tematica molto ben sviluppata attraverso il personaggio di Mei; una città e una società che sembra sull'orlo di un baratro che difficilmente riuscirà ad evitare.

sabato 16 maggio 2020

Life of Zhang Chu [aka My Town] / 桃源 ( Lu Yulai /吕聿来 , 2019 )




Life of Zhang Chu (2019) on IMDb
Giudizio: 8/10

Dopo 15 anni di onesta carriera come attore Lu Yulai esordisce dietro la macchina da presa con il dramma famigliare Life of Zhang Chu, un racconto di ambizioni ed aspirazioni personali distrutte e svanite nel nulla.
Zhang Chu vive in una piccola città  nel nord della Cina insieme a Li Hong, la sua attuale compagna dopo che la moglie Cao Shujuan se ne è andata a cercare gloria a Pechino piantandolo in asso e portandosi dietro il figlioletto della coppia.
Zhang Chu non ha nè arte nè parte, vive nella casa di Hong Li e della figlioletta di questa, vorrebbe comprarsi una casa sua per potere parmettere al figlio di potere vivere per qualche periodo con lui, ma non ha soldi; l'amico di una vita col quale è cresciuto dai tempi della scuola gli propone un lavoro all'apparenza banale che gli farà guadagnare però una bella somma di denaro; pur con qualche dubbio Zhang accetta e il film si apre proprio col lavoretto che il protagonista compie e che ben presto lo mette nei guai.


Da qui il film è un viaggio a ritroso anche di svariati anni con piani temporali che si mescolano e si confondono creando soprattutto all'inizio una certa confusione; in questo racconto a ritroso vediamo come Zhang e Cao si conoscono e si sposano, le problematiche della coppia con lei che mostra subito una smodata ambizione e una impellente voglia di lasciarsi alle spalle la realtà provinciale in cui vive; la separazione traumatica anche per i tradimenti di lei col riccone presso cui lavora , il rapporto di Zhang col figlio , l'unico aspetto che sembra conferirgli un minimo di vitalità; e poi l'incontro con Hong Li , anch'essa rientrata a casa dopo il tentativo di sfondare nel campo della musica a Pechino miseramente fallito e per finire la ricomparsa misteriosa di Cao Shujuan.
Il finale, enigmatico, lascia però almeno aperto uno spiraglio di ottimismo anche in base all'interpretazione che se ne vuole dare, in un film che comunque vive su una certa dose di pessimismo e di rassegnazione dolorosa.
Il dramma famigliare raccontato da Lu si arricchisce però anche di tanti piccoli drammi personali che sono quelli di chi insegue una ambizione in maniera illusoria ritrovandosi con la delusione tra le mani e con un senso di sconfitta.
Nel dramma della coppia Zhang-Cao c'è un passato scomodo da sostenere: lui era un ex giocatore di pingpong , grande promessa , lei una ragazza che ha sempre avuto , come confessa nel finale l'ex marito, il terrore di rimanere povera e ha quindi inseguito la ricchezza ed il benessere in ogni maniera; ma l'illusione di trovare "La terra dei fiori di pesco" , come viene chiamata nel film quella aspirazione personale a trovare una sorta di terra promessa in cui si realizzano le ambizioni e gli ideali è anche quella di Hong Li che insegue la sua passione per il canto emigrando nella megalopoli , salvo dover tornare con la coda tra le gambe nella sua città natale di provincia e aprirsi un salone di bellezza; persino l'amico di Zhang, che eppure non si è mai mosso dalla sua città, non ha trovato la sua ideale sistemazione proprio perchè, forse, non ha mai voluto lasciare la terra dove è nato.

mercoledì 13 maggio 2020

Favolacce ( Damiano D'Innocenzo , Fabio D'Innocenzo , 2020 )




Bad Tales (2020) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Spazzata via la stagione cinematografica dall’emergenza sanitaria planetaria ben nota, Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, uno dei lavori su cui si nutriva maggior attesa , alla luce anche del prestigioso premio ottenuto alla Berlinale ( Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura), trova la sua distribuzione sul circuito on demand attraverso alcune tra le più importanti piattaforme streaming, a dimostrazione di come questo settore, almeno per qualche tempo in attesa che la buriana passi, possa diventare la salvezza per lo meno per certo Cinema.
Il film di Damiano e Fabio D’Innocenzo, alla loro opera seconda dopo il buon esordio con Il paese dell’abbastanza, è un’opera per certi versi durissima, un lavoro che non sembra di certo uscito da una cinematografia come quella italiana, sempre attenta a rassicurare e a nascondere lo sporco sotto il tappeto.
“Questo film è ispirato a una storia vera, a sua volta ispirata a una storia falsa, la quale storia falsa non è molto ispirata” : queste parole recita una voce fuori campo che fungerà da narratore discreto per tutta la durata del film il quale riferisce di avere trovato un diario scritto da una ragazzina tra l’immondizia e che, incuriosito, ha deciso di proseguire dal punto in cui si interrompeva.
Questo prologo, quindi , per mettere in chiaro subito che Favolacce rimane aderente al titolo , nel senso che seppur ben calato nella realtà dei fatti non manca di presentare momenti quasi fiabeschi o surreali.


La storia si impernia su un gruppo di famiglie che vivono in un quartiere periferico di Roma, lungo il litorale , o ad esso vicino, un piccolo nucleo  dove tra finta ed ostentata eleganza e abusivismo edilizio le esistenze dei personaggi si consumano  all’interno di quelle villette a schiera molto pretenziose, dove la privacy non esiste e dove tutti sanno tutto di tutti e dove tutti sono (finti) amici e dove la sera si cena a volte assieme nel giardino.
Ma è soprattutto quella dei ragazzini delle famiglie la prospettiva scelta dai fratelli registi  per raccontare una estate come tante ma nella quale vengono inesorabilmente e drammaticamente alla luce le problematiche nascoste come polvere sotto il tappeto che devastano le famiglie: la carrellata di personaggi è disturbante nella sua mostruosa ovvietà, uomini e donne in cui forse un passato difficile ed un presente che non si riesce a celare completamente dietro la finta esistenza piccolo borghese generano un abbrutimento carico di anaffettività , di rabbia e di livore pronto ad esplodere in ogni momento, avendo spesso come obiettivo i figli, tutti in età preadolescenziale, che cercano di scimmiottare i genitori e che non hanno probabilmente nessuna guida morale nella loro vita.
Lentamente ed inesorabilmente l’esplosione devastante si avvicina, nonostante le piscine gonfiabili piazzate nel giardino, i fuoristrada parcheggiati in garage, le feste di compleanno semplice concentrato di volgarità e cattiverie gratuite. 
In questo ambiente tanto inutilmente falso e carico di frustrazione per  i ragazzini il burn out cova sotto le ceneri, basta solo trovare il “cattivo maestro” o, parafrasando una immagine fiabesca, il giusto pifferaio magico e l’esplosione, silenziosa e tragica diventa tangibile e terribile.
Favolacce, è bene dirlo subito, è lavoro che spiazza, disturba, angoscia e folgora in maniera accecante , come un lampo inaspettato , in un ambiente cinematografico quale il nostrano sempre attento a conformarsi ai modelli televisivi rassicuranti, consolatori, forzatamente lacrimosi , votati al buonismo più insulso; il cinema italiano è poco propenso a raccontare lo sporco, il cattivo, il distorto che abita tra di noi, perché mettere uno specchio nel quale riconoscersi  e probabilmente , ci si augura, a volte vergognarsi , non è rassicurante , anzi è profondamente destruente, meglio guardare altrove.
Favolacce fa invece proprio questo lavoro sporco, non nasconde nulla, non rassicura, non comprende né giudica, semplicemente racconta alcuni aspetti della nostra civiltà, delle nostre vite, esistenze turbate, minate dalla rabbia, dal rancore, dalla cattiveria, dall’incapacità di comprendere e soprattutto assolutamente prive di empatia reale per i nostri figli, sempre più valvole di sfogo e cimeli da portare in parata per dare lustro a se stessi; nel film i fratelli D’Innocenzo, come detto, scelgono la prospettiva dei ragazzini, la loro curiosità , la loro voglia di normalità , il loro desiderio di conoscere quello che accade nella realtà famigliare, tutte aspettative che vanno regolarmente deluse.

venerdì 8 maggio 2020

Nina Wu / 灼人秘密 ( Midi Z / 趙德胤 , 2019 )




Nina Wu (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

La presenza sul prestigioso palcoscenico di Cannes, seppure nella sezione Un Certain Regard, ha permesso al film di Midi Z, regista birmano di nascita e naturalizzato taiwanese, ospite abituale di rassegne prestigiose, di avere una visibilità enorme a maggior ragione perchè, un battage pubblicitario in buona parte però fazioso,  ha inteso presentare Nina Wu come un film naturale conseguenza ed evoluzione del movimento #metoo, creatosi in seguito alla scoperta e alla denuncia delle malefatte pietose di Weinstein e compari nel mondo dello spettacolo e del cinema in particolare.
Va detto subito che appiccicare una etichetta simile al film lo mortifica semplicemente perchè Nina Wu è ben altro, seppur con tutti  i limiti legati in maniera intrinseca all'opera, pellicola di spessore e di respiro decisamente più ampio , in cui i maltrattamenti piscologici e sessuali subiti dalla protagonista sono solo una piccola fetta della tematica generale veicolata dal racconto.
Nina Wu infatti è la storia di una ragazza, quella il cui nome dà il titolo al film, che per seguire la sua passione per la recitazione, abbandona la compagnia provinciale in cui si esibisce nella campagna taiwanese per tentare il grande balzo verso le vette cinematografiche di Taipei.


Pe molti anni Nina lavora in filmati pubblicitari  o in corti di poca importanza prima di finire ad interpretare una di quelle ragazze on line che intrattengono un pubblico di solitari disadattati in cerca di compagnia seppur virtuale.
Quando tutto sembra avviato verso la certificazione di una sconfitta cocente, Nina riceve una offerta di grande importanza: il provino per una parte di primo piano in un film di livello; unico problema è la necessità di dovere girare una scena di nudo integrale con atti sessuali espliciti oltre tutto con due uomini.
Spinta dal cinico agente che le fa capire che per lei è l'ultima spiaggia Nina si presenta al provino ed ottiene la parte, ma da quel momento in poi  inizia un inferno che si accende dentro lei stessa e che ne mina la stabilità emotiva e psicologica; inoltre girare il film è una sorta di prova ad eliminazione , vessata da un regista cinico e senza scrupoli e sempre più immersa in una ossessione che si ripete proprio come la frase che reitera spesso nel film che sta girando ma che è lo specchio della sua realtà: " Non stanno distruggendo il mio corpo, ma anche la mia anima; farò qualcosa che tutti rimpiangeranno".
Per Nina , diventata finalmente attrice di grido, inizia però la discesa in un incubo che appare senza fine e che si coagula intorno alla sua ossessione di essere perseguitata da una donna che sembra una delle sue colleghe che parteciparono al provino, inoltre il suo ritorno a casa per andare a trovare la madre porta un carico di angoscia ancora superiore non solo per le condizioni della madre ma anche per i problemi economici del padre, un patetico imprenditore che produce buste di palstica, prodotto ormai in via d'estinzione.
Tornata a casa Nina ritrova anche la sua amante, una collega che al contrario di lei, è rimasta nella piccola compagnia di provincia ad interpretare Il Piccolo Principe per bambini e con la quale ha dovuto interrompere la relazione che vorrebbe ricucire.
Insomma il mondo di Nina Wu , raggiunto il successo, diventa un incubo, nel quale è difficile  distinguere tra realtà, finzione cinematografica e immaginazione, quasi una dissociazione permanente della propria esistenza.

mercoledì 6 maggio 2020

Better Days / 少年的你 ( Derek Tsang Kwok-cheung / 曾國祥 , 2019 )




Better Days (2019) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Better Days del regista figlio d’arte di Hong Kong Derek Tsang è stato uno dei lavori più lodati soprattutto dalla critica asiatica a dar credito alla lunga lista di riconoscimenti ricevuti tra Festival e Associazioni di Critici di vario tipo; il motivo , oltre a risiedere in indubbi pregi che la pellicola ha, è soprattutto legato alla tematica che tratta, quella del bullismo scolastico, ma forse sarebbe da dire della società in genere, che anche in Cina viene vissuto come una preoccupante piaga sociale cui il governo sta tentando di porre un freno con numerose iniziative, come diligentemente ci informano, in maniera fin troppo rassicurante, i titoli di coda.
Il film che presenta una sua circolarità temporale ben esplicitata dalla breve scena iniziale che ritroveremo sul finale, racconta la storia di Chen Nian una adolescente impegnatissima nello studio visto che il Gaokao (il temibilissimo e selettivo esame nazionale per accedere alle università più prestigiose) è alle porte; l’unica compagna con cui Chen Nian aveva un minimo di rapporto muore suicida nel cortile della scuola sopraffatta dal bullismo delle sue compagne teppiste.


In virtù della conoscenza seppur superficiale della ragazza morta, Chen Nian viene interrogata dalla polizia e questo scatena la furia delle bullette che non vedevano l’ora di trovare un altro bersaglio alle loro malefatte.
Diventata bersaglio di atti di bullismo Chen Nian cerca di tirare avanti come può, sobbarcandosi anche la preoccupazione per una madre che cerca di sbarcare il lunario, anche con mezzi truffaldini, pur di poter assicurare alla figlia la possibilità di studiare.
Ma sarà soprattutto l’incontro casuale con un teppistello di strada , Xiao Bei, tanto per cambiare pestato a sangue da una banda di delinquenti, che cambierà la sua vita per sempre, il ragazzo diventerà il suo guardaspalle in uno strano rapporto di mutua assistenza e lei diventa quella che cura le sue ferite , come non ha mai fatto nessuno.
Il finale che si tinge di thriller e che vede i due finalmente sentirsi legati anche da un sentimento forte scivola poi nel melodramma e nel racconto morale dove sacrificio, amore e vendetta che diventa voglia di rivalsa anzitutto sociale si fondono insieme.
Derek Tsang, figlio del grande Eric , tra i più rappresentativi attori del cinema di Hong Kong, anche in questa sua seconda opera come regista, dopo svariate prove come co-regista, affronta il tema della adolescenza e del passaggio alla vita adulta attraverso la carriera scolastica e le scelte compiute; anche Soulmate riscosse un ragguardevole successo che con Better Days viene bissato.
L’aver scelto una tematica tanto forte quanto abusata nel cinema contemporaneo è indice di grande maturità da parte del regista, soprattutto in considerazione che nel suo complesso la pellicola non scade mai nel drammatico gratuito o nella ricerca affannosa delle situazioni da lacrima facile; il tema del bullismo viene affrontato in maniera decisa ma senza fronzoli, concentrandosi soprattutto sulle conseguenze che questo può avere sulla protagonista, sulla sua crescita interiore e sul suo difficile rapporto col mondo esterno.

lunedì 4 maggio 2020

Zombi Child ( Bertrand Bonello , 2019 )




Zombi Child (2019) on IMDb
Giudizio: 6/10

Uno dei pupilli preferiti del Festival di Cannes ritorna sulla Croisette tre anni dopo il gran rifiuto patito nel 2016 con Nocturama che oltre ad essere un lavoro tutt'altro che memorabile ha subito la terribile coincidenza degli attentati terroristici che colpirono la Francia e Parigi in particolare: un film francese che racconta di ragazzini bombaroli che mettevano a ferro e fuoco la capitale francese non poteva avere in una contingenza storica simile una gran fortuna e così fu.
Seppur nella rassegna collaterale della Quinzaine Bonello torna quindi nell'accogliente grembo materno di Cannes con un lavoro che per certi versi prosegue l'osservazione dell'adolescenza e delle sue esplosioni emotive e sentimentali.
La storia ha un breve prologo nel 1962 ad Haiti, dove un uomo, dato per morto, vittima invece della magia nera, viene dissotterrato , zombificato e mandato a lavorare come schiavo nelle piantagioni di zucchero.


Più di 50 anni dopo, Melissa, una adolescente di origini haitiane, frequenta il prestigioso Collegio della Legion d'Onore di Parigi dove accedono solo i rampolli delle famiglie che possono vantare il riconoscimento dell'importante titolo rilasciato dalla Repubblica francese; la ragazza per essere accolta in seno ad uno dei tanti gruppi di ragazze che si configurano quasi come sette segrete , deve passare una specie di esame: in quella circostanza, attraverso un racconto, svela il segreto che opprime la sua famiglia e cioè quello di essere la nipote di un'uomo zombificato dai riti voodoo; i suoi genitori sono morti e lei vive a Parigi con la zia che pratica i riti vodoo come sacerdotessa.
Naturalmente la cosa crea eccitazione e curiosità nelle ragazze soprattutto in Fanny quella che sembra più tormentata dalle pene amorose col suo fidanzato spagnolo che a breve rincontrerà, ma soprattutto sarà quella che deciderà di abbracciare la magia nera non sapendo di andare incontro a conseguenze inimmaginabili.
Prologo compreso Zombi Child ha un buon incipit, suscita curiosità, alterna , seppur diradandoli, i piani temporali tra il presente e il passato di cinquanta anni prima, crea insomma un substrato interessante, anche con la descrizione dell'ambiente elitario del collegio e delle allieve che lo popolano, altre adolescenti da osservare per carpirne i reconditi segreti e i pensieri a cavallo di una età che spesso porta con sè sconvolgimenti fragorosi.
Poi però quando subentra il tema della magia nera il film scade violentemente, riducendo quella che a tutti gli effetti è comunque una forma culturale del Centro America ed in particolare di Haiti ad un banale mezzo in mano a degli occidentali viziati per ottenere quello che desiderano e che hanno perso.

domenica 3 maggio 2020

Baby / 宝贝儿 ( Liu Jie / 刘杰 ) , 2018 )




Baby (2018) on IMDb
Giudizio: 8/10

Ogni situazione che si presenta ( o si svela) e si perpetua nella Cina moderna assume sempre i caratteri di qualcosa di enorme , inimmaginabile, soprattutto a causa della sterminata popolazione che abita quel paese e per la sua trasformazione inarrestabile a ritmi vertiginosi che porta con sè sempre delle aberrazioni: il problema dei neonati disabili abbandonati, ci informano i titoli di coda di Baby, ha assunto le dimensioni di una vera e propria piaga sociale intorno alla quale il regista cinese Liu Jie, attivo nel cinema ormai da quasi venti anni, costruisce il suo ultimo lavoro.
Baby è infatti il coraggioso tentativo di affrontare la tematica senza tinte melodrammatiche e senza troppi risvolti sociali pretestuosi e per farlo Liu Jie decide di utilizzare la prospettiva della protagonista Jiang Meng una ragazza che fu abbandonata per le sue gravi malattie alla nascita  e che dopo aver subito numerosi interventi si salvò e fu affidata ad una famiglia.


La ragazza ormai diciottenne , per le leggi cinesi che regolano l'affido, deve lasciare la famiglia che la ha adottata sebbene sia lei che la anziana e paretica madre vorrebbero continuare a vivere assieme.
Avendo trovato lavoro presso l'ospedale, Jiang Meng scopre che c'è una neonata i cui genitori hanno deciso di non dare l'autorizzazione all'intervento chirurgico che potrebbe salvarla, preferendo per lei la morte piuttosto che una vita tribolata e infelice; Jiang Meng vede in quella piccola se stessa e intraprende una lotta contro tutto per cercare di salvarle la vita anche a rischio di pagare conseguenze penali gravissime, perchè salvare la neonata sarà per lei come salvare sè stessa di nuovo.
Lungi dall'essere un film che sfrutta un problema sociale molto serio e che crea emozione e sdegno per costruire la sua struttura narrativa, Baby è invece un coraggioso esempio di cinema civile, quello che una volta si definiva cinema socialmente impegnato; la scelta di scrutare nella coscienza cinese attraverso gli occhi di una giovane che ha percorso il calvario comune solo ai più fortunati tra i neonati abbandonati, permette al regista di poter prendere di petto le problematiche legali, quelle più tipicamente sociali, l'atteggiamento della società verso i disabili, la difficoltà dei disabili stessi (espressa attraverso quelle che sono le difficoltà che incontra la protagonista ) a trovare un lavoro e a realizzarsi, la tendenza a ghettizzarsi da parte dei giovani disabili dalla nascita , come quelli presso cui Jiang Meng trova ospitalità una volta costretta a lasciare la casa della madre adottiva, il concetto molto statalista e paternalista di farsi strada con i certificati che attestano la disabilità per ottenere il lavoro ; possiamo ben dire che il resoconto che fa il regista è una cascata di problematiche sociali che concorrono a creare il corposo tema nella sua interezza e complessità.

The New King of Comedy / 新喜剧之王 ( Stephen Chow / 周星馳 , 2019 )




The New King of Comedy (2019) on IMDb
Giudizio: 7/10

Stephen Chow appartiene a quel gruppo di personaggi  che più genuinamente incarna lo spirito del cinema brillante di Hong Kong del quale è stato una delle punte di diamante prima che le logiche industriali portassero ad una crisi del cinema dell'ex colonia britannica e il successivo trasferimento nella Cina mainlander di molti registi attirati dalle enormi potenzialità commerciali della Cina in campo cinematografico.
Anche Chow , a dire il vero ormai da alcuni anni si è affidato all'industria cinese , dapprima con Journey to the West: Conquering the Demons, e poi con The Mermaid , entrambi grandi successi sebbene non proprio classificabili come opere caratteristiche del regista HKese; con The New King of Comedy, che inevitabilmente, e a ragione, richiama il film del 1999 di Chow stesso dal titolo The King of Comedy, vediamo riaffiorare in maniera netta la verve brillante da fuoriclasse della commedia che è propria di Chow.
Il racconto è incentrato su una trentenne, Dreamy, che dopo numerosi anni di comparsate nel mondo del cinema, ancora non si è guadagnata un posto al sole nell'ambiente, costretta ancora a interpretare scene  che se va bene la vedono come controfigura solo per pigliare un po' di botte al posto dell'attrice protagonista.


Questa sua scelta è anche fortemente osteggiata dalla famiglia , soprattutto dall'integerrimo padre, che la vorrebbe vedere sistemata , sposata e con una famiglia ( scena memorabile la festa di compleanno del padre con Dreamy che si presenta truccata con una accetta infilata in testa); lei però non ne vuole sapere, continua con costanza a perseverare nella ricerca della grande occasione che farà di lei una attrice e naturalmente continua a raccogliere delusioni su delusioni, anche perchè la sua goffaggine unita all'insistenza con la quale cerca un lavoro nei film risulta abbastanza fastidiosa. Se a ciò aggiungiamo che il fidanzato si dimostra ben presto un personaggio deplorevole, ben si capisce come la vita di Dreamy sia tutt'altro che piena di soddisfazioni.
Qualcosa sembra andare per il verso giusto quando viene scritturata per un film diretto da un regista famoso e interpretato da Make un attore di gran fama che sembra però avviato sul viale del tramonto , incapace di rinverdire i fasti del recente passato: il film è una rilettura in forma di parodia molto, fin troppo verrebbe  da dire, libera di Biancaneve, ma anche in questa circostanza la fortuna non sembra essere dalla parte della ragazza.
Inoltre, inconsapevolmente e in maniera assolutamente involontaria, è la causa di un episodio spiacevole per Make , di cui lei e la sua famiglia sono grandissimi ammiratori; ma il mondo del cinema quando incontra quello dei social media riesce a produrre reazioni esplosive inaspettate e quindi quello che doveva segnare la fine per l'attore diventa invece il suo clamoroso rilancio, grazie proprio a quel gesto di Dreamy, verso cui Make dimostrerà subito riconoscenza.

sabato 2 maggio 2020

Blue Amber / 淡蓝琥珀 ( Zhou Jie / 周劼 , 2018 )




Blue Amber (2018) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

He Jie è una giovane donna trapiantata a Chongqing , sposata con un uomo del posto che a soli 30 anni muore investito da un auto in strada; la donna accetta un risarcimento che in un primo momento deve esserle sembrata una bella cifra anche perchè le condizioni di vita della donna non sono brillantissime , avendo da accudire anche la suocera nella piccola abitazione fatiscente in cui convivono.
Col passare del tempo però in He Jie si fa strada l'idea , basata su un conteggio aritmetico, a dire il vero piuttosto singolare, che la vita del marito è stata valutata troppo poco, qualche decina di yuan al giorno secondo i suoi calcoli; morta anche la suocera decide di cambiare vita: si licenzia dall'asilo dove era impiegata , trova lavoro a tempo pieno  in una famiglia del ceto medio in uno di quei grattacieli che occupano la sterminata skyline di Chongqing dove va anche a vivere e che si trova, non sappiamo quanto per caso, di fronte al comprensorio dove vive la coppia che investì il marito e a cui lei si era rivolta per cercare di avere altro denaro convinta della  assoluta modestia del risarcimento ottenuto.
He Jie passa il tempo libero a spiare la casa della coppia di fronte prima di passare all'azione con atti di piccolo vandalismo contro la mercedes dei due , status symbol del benessere.


Nella donna ormai è in atto un processo di ribellione silenziosa che nasce dalla convinzione che la vita del marito valesse ben più di quanto ricevuto, e il continuo fare calcoli diventa quasi una ossessione, in realtà specchio di un profondo disagio.
Attraverso una circolarità che si esplica nella scena iniziale, in apparenza enigmatica, ripetuta verso la fine, il giovane regista Zhou Jie firma una opera prima che mostra qualche aspetto non pienamente convincente, ma che nel complesso si configura come un interessante sguardo sulla moderna società cinese e che trova in una semplice e banale domanda il suo perno intorno cui il racconto si muove: quanto vale la vita di un uomo? domanda che risulta ancora più drammatica in una società come quella cinese dove ormai tutto ha un prezzo, proprio come in una qualsiasi società a totale indirizzo capitalistico; non a caso He Jie inizia la sua azione di ripensamento proprio quando viene a sapere che una antica giada può valere una cifra di molto superiore a quella ricevuta da lei per la morte del marito.
Blue Amber è film diretto in maniera molto defilata dal regista: non accentua i caratteri dei personaggi, non esprime mai giudizi, preferisce descrivere senza intromettersi nella dinamica della vicenda, afferma pesantemente con la forza delle immagini il concetto che la Cina moderna è ormai schiava del denaro e che ogni etica è sacrificata sull'altare dei soldi, di cui si sente parlare in continuazione nel film, proprio a convincerci che anche la Cina è diventata un paese dove tutto ha un prezzo.
Le disparità sociali trovano il loro punto di confronto dinamico proprio tra la protagonista e la famiglia in cui vive, appartenente alla classe media e quindi inserita nel meccanismo capitalistico al punto che il figlio della coppia, il giorno del compleanno , una volta spente le candeline afferma che il desiderio che ha espresso è che il padre possa avere finalmente una mercedes nera; di contro He Jie passa le giornate a fare i conti con la calcolatrice che emette immancabilmente con una fredda voce meccanica l'ammontare delle cifre e che aumenta il suo disagio e il suo senso di rivalsa silenziosa, i datori di lavoro fanno calcoli su mutui e acquisti da fare e lei invece va da una medium (probabilmente imbrogliona) per sapere dal marito e dalla suocera cosa deve fare.

venerdì 1 maggio 2020

The Spy Gone North ( Yoon Jongbin , 2018 )




The Spy Gone North (2018) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Ispirata ad un fatto realmente accaduto a metà degli anni 90 nella ormai infinita guerra fredda che contrappone le due Coree, The Spy Gone North è un altro di quei lavori che negli ultimi tempi hanno affrontato lo spinoso problema della divisione della Corea; il mondo cinematografico sembra quasi aver voluto raccogliere una esigenza popolare di voler affrontare e risolvere una volta per tutte l'annoso problema; se così fosse ci troveremmo di fronte ad una risposta del Cinema ad un impegno civile che viene richiesto da più parti, ed in effetti questo sub genere, ormai inaugurato da qualche anno, ha perso molto del suo spirito di retorica politica basato sulla contrapposizione tra le due visioni politiche infarcita di luoghi comuni; l'impegno degli autori cinematografici , in tal senso, sembra più rivolto ad osservare il problema sotto la prospettiva del comune cittadino appartenente magari alle molte famiglia che tutt'oggi vivono divise e smembrate a causa della divisione.
Yoon Jongbin non viene meno a questa premessa nel dirigere The Spy Gone North, presentato a Cannes , seppur fuori concorso, partendo da una figura di spia , il protagonista del film, reale, per concedersi poi qualche riflessione politica legata alla particolare epoca storica in cui avvennero gli eventi.


Park è un ufficiale  dei potentissimi Servizi di Sicurezza Nazionale della Corea del Sud una istituzione nata solo ed unicamente per far fronte al pericolo comunista del nord; preoccupati per l'escalation nucleare che la Corea del Nord ha intrapreso, i vertici dei Servizi decidono di inviare Park, ovviamente sotto copertura, a Pechino per prendere contatti con funzionari comunisti in modo da potersi infiltrare nel paese come un imprenditore che cerca di avviare lucrosi affari e poter quindi raccogliere informazioni su una centrale nucleare dove si sospetta si producano armi.
Soprattutto con Ri Myongun, il più sensibile all'aspetto economico e commerciale dell'attività di Park tra i dignitari nord coreani, si instaura , dopo una iniziale diffidenza che funziona un po' da banco di prova per entrambi, un buon rapporto e siccome il personaggio è tenuto in grande considerazione da Kim Jongil, il potentissimo dittatore nordcoreano, Park avrà addirittura l'onore di sedere al tavolo con lui.
Tra trappole, giochi da spie , imbrogli e tradimenti, tutto in perfetto stile da classica spy-story, Park, si troverà in un gioco più grande di lui che lo schiaccerà, un gioco che dimostra come la contrapposizione tra le due Coree sia qualcosa che va ben oltre la disputa politica.
Ambientato nel periodo immediatamente precedente le elezioni in Corea che dopo decenni portarono al potere il partito progressista allontanando il paese definitivamente da  quei settori reazionari vicini ai militari sempre pronti a cadere alle loro lusinghe, il film ha un solidissimo impianto narrativo che si basa come detto sulla figura di Park, nome in codice Black Venus  e intorno al quale si impernia la storia con i canoni classici del genere spionistico declinati però senza cadere nel manierismo e tanto meno nella ovvietà.
Accanto a questo aspetto il regista ha voluto affiancare sia il profilo di un personaggio contraddittorio come Park, abile spia, stimato nei Servizi segreti, capace di mettere in piedi una manovra di infiltrazione mirabile, ma al tempo stesso personaggio sacrificabile in favore di una logica di potere politico alla quale sembrava impossibile sottrarsi.
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