martedì 26 maggio 2020

Ode to the Goose ( Zhang Lu , 2018 )




Ode to the Goose (2018) on IMDb
Giudizio: 8/10

Il film si apre con un uomo e una donna che guardano una pianta stradale di Gunsan , città costiera della Corea del Sud: Yoonyoung ha invitato per quel viaggio l'amica Songyun, dopo aver appreso che lei è divorziata da poco dal marito che lui conosce; è chiaro che all'uomo la donna non è indifferente, anzi si può francamente dire che ne è innamorato, ma lungi dal dichiararsi si comporta anche in modo scontroso; lei da parte sua si aspetterebbe qualche avances ma oltre che stuzzicare l'amico non riesce a fare.
I due prendono alloggio in un B&B indicato dalla proprietaria di un bar che li mette però in guardia sulla stranezza del proprietario; questi è un nippo-coreano con una giovane figlia autistica che evita il contatto con gli ospiti della pensione, un doloroso passato lega padre e figlia, la morte della madre avvenuta in un drammatico incidente davanti i loro occhi.
Sebbene Yoonyoung e Songyun decidano di alloggiare nella medesima stanza, l'unica cosa che si verifica è la certificazione di una sorta di incomunicabilità cronica , motivo per cui la donna non solo decide di passare in una stanza singola ma inizia a sentirsi in qualche modo attratta dall'albergatore triste.
Da parte sua Yoonyoung sembra quasi in grado di riuscire a stabilire un contatto con la giovane ragazza autistica ma solo perchè questa, che passa il tempo in una stanza a guardare le telecamere a circuito chiuso, risulta paradossalmente l'unico personaggio in grado di tentare un approccio comunicativo.


I due protagonisti passano così le giornate nella graziosa città che porta i segni di una influenza nipponica e che ricorda in una mostra all'aperto le atrocità dell'invasione giapponese; ma i poli che sembrano funzionare di più sono quelli che attraggono Songyun e l'albergatore e Yoonyoung e la giovane autistica, fino ad un ambiguo ed inquietante episodio che non riusciamo a capire se è immaginario o reale.
Tornati a Seoul Yoonyoung torna nella sua casa dove vive con l'anziano padre, un reduce di guerra, e la governante sino-coreana.
Da qui in poi le lancette del tempo tornano indietro e scopriamo come i due protagonisti si incontrino dopo tanto tempo, si inizino a frequentare, lui scopre che lei è ormai divorziata ( grandiosa la scena fuori del bar della nuova donna del marito di Songyun), vanno a cena e si ubriacano ovviamente, lui dimostra la sua vena artistica che ne fa un poeta.
La circolarità del tempo ci riporta nel finale alla scena iniziale in strada, davanti alla pianta della città di Gunsan.
Ci sono due o tre spunti che risaltano immediatamente durante la visione del film: le tematiche legate all'etnie miste (sino-coreana, nippo-coreana) retaggio di un passato storico ricco di divisioni e di drammi nazionali cui il regista, un sino-coreano, è particolarmente sensibile , soprattutto nell'ottica del problema di discriminazione cui sono spesso sottoposte e della ricerca delle radici ( " la nostra casa è dove ci sistemiamo"); un magistrale utilizzo del tempo e dello spazio, in cui il primo rovescia la storia che parte da metà e si sposta verso i due poli inizio-fine dilatando il racconto e dando quel senso armonico di circolarità e il secondo , grazie a delle scelte di ripresa molto ben congegniate, ci regala prospettive multiformi, utilizzando specchi, giochi di prospettiva e angolature profonde; e poi c'è la tematica principale del film che sembra essere quella profonda e insuperabile incomunicabilità che paralizza i personaggi e che diventa la causa di equivoci, di momenti immaginati, quasi di dissociazione tra realtà e fantasia, una incomunicabilità che inesorabilmente inaridisce gli animi, lacera, paralizza e alla fine allontana irrimediabilmente uno dall'altro.

Come già detto non è un caso che il personaggio che più degli altri cerca di comunicare, nonostante l'autismo venga considerato l'esempio massimo di carenza di comunicazione, è proprio la giovane figlia dell'albergatore che , con i suoi modi, cerca un legame con il protagonista.
Da più parti in Ode to the Goose si tende a veder un riferimento a certe opere di Hong Sangsoo e se alcuni aspetti come l'uso particolare dello spazio e del tempo, l'utilizzo dei piani fissi, la tematica dell'incomunicabilità che indubbiamente sono proprio dei lavori di quest'ultimo si riscontrano anche qui, manca però quell'aspetto fondamentale che presentano le storie di Hong: l'empatia coi personaggi, quel sincero affetto venato di sarcasmo con cui ci racconta i loro vizi, le difficoltà, la solitudine , le bassezze che sono poi lo specchio della nostra civiltà.
Ode to the Goose è comunque lavoro bello, che rimane sempre sotto le righe, non cerca mai di stupire piuttosto di raccontare in una forma molto accattivante e soprattutto che stimola l'introversione , il guardarsi dentro per riconoscere in quei personaggi qualcosa che nel bene e nel male  appartiene a tutti noi; Zhang Lu con una costruzione originale ma molto armonica e grazie ad una regia  pulita anche nelle sue scelte più inconsuete punta il suo sguardo sulla ricerca delle radici, sulla incomunicabilità e sul superamento del dolore e delle avversità.
Se Park Haeil ci mette tutto se stesso per entrare nei panni di un personaggio difficile , che dice più coi silenzi che con le parole, Moon Sori è semplicemente e deliziosamente straordinaria, una prova all'altezza delle sue più pregevoli.


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