Giudizio: 7.5/10
Ispirata ad un fatto realmente accaduto a metà degli anni 90 nella ormai infinita guerra fredda che contrappone le due Coree, The Spy Gone North è un altro di quei lavori che negli ultimi tempi hanno affrontato lo spinoso problema della divisione della Corea; il mondo cinematografico sembra quasi aver voluto raccogliere una esigenza popolare di voler affrontare e risolvere una volta per tutte l'annoso problema; se così fosse ci troveremmo di fronte ad una risposta del Cinema ad un impegno civile che viene richiesto da più parti, ed in effetti questo sub genere, ormai inaugurato da qualche anno, ha perso molto del suo spirito di retorica politica basato sulla contrapposizione tra le due visioni politiche infarcita di luoghi comuni; l'impegno degli autori cinematografici , in tal senso, sembra più rivolto ad osservare il problema sotto la prospettiva del comune cittadino appartenente magari alle molte famiglia che tutt'oggi vivono divise e smembrate a causa della divisione.
Yoon Jongbin non viene meno a questa premessa nel dirigere The Spy Gone North, presentato a Cannes , seppur fuori concorso, partendo da una figura di spia , il protagonista del film, reale, per concedersi poi qualche riflessione politica legata alla particolare epoca storica in cui avvennero gli eventi.
Park è un ufficiale dei potentissimi Servizi di Sicurezza Nazionale della Corea del Sud una istituzione nata solo ed unicamente per far fronte al pericolo comunista del nord; preoccupati per l'escalation nucleare che la Corea del Nord ha intrapreso, i vertici dei Servizi decidono di inviare Park, ovviamente sotto copertura, a Pechino per prendere contatti con funzionari comunisti in modo da potersi infiltrare nel paese come un imprenditore che cerca di avviare lucrosi affari e poter quindi raccogliere informazioni su una centrale nucleare dove si sospetta si producano armi.
Soprattutto con Ri Myongun, il più sensibile all'aspetto economico e commerciale dell'attività di Park tra i dignitari nord coreani, si instaura , dopo una iniziale diffidenza che funziona un po' da banco di prova per entrambi, un buon rapporto e siccome il personaggio è tenuto in grande considerazione da Kim Jongil, il potentissimo dittatore nordcoreano, Park avrà addirittura l'onore di sedere al tavolo con lui.
Tra trappole, giochi da spie , imbrogli e tradimenti, tutto in perfetto stile da classica spy-story, Park, si troverà in un gioco più grande di lui che lo schiaccerà, un gioco che dimostra come la contrapposizione tra le due Coree sia qualcosa che va ben oltre la disputa politica.
Ambientato nel periodo immediatamente precedente le elezioni in Corea che dopo decenni portarono al potere il partito progressista allontanando il paese definitivamente da quei settori reazionari vicini ai militari sempre pronti a cadere alle loro lusinghe, il film ha un solidissimo impianto narrativo che si basa come detto sulla figura di Park, nome in codice Black Venus e intorno al quale si impernia la storia con i canoni classici del genere spionistico declinati però senza cadere nel manierismo e tanto meno nella ovvietà.
Accanto a questo aspetto il regista ha voluto affiancare sia il profilo di un personaggio contraddittorio come Park, abile spia, stimato nei Servizi segreti, capace di mettere in piedi una manovra di infiltrazione mirabile, ma al tempo stesso personaggio sacrificabile in favore di una logica di potere politico alla quale sembrava impossibile sottrarsi.
In effetti il racconto dei legami sotterranei tra le due Coree che avevano come unico scopo quello di mantenere lo status quo in entrambi i fronti per consolidare il potere di Kim al nord e delle forze reazionarie al sud, è un po' il grimaldello per comprendere in pieno la storia di Park e aprire uno squarcio sul telo che copre le manovre segrete di quegli anni.
Park da parte sua, è personaggio che di fronte alla trama politica che ne minaccia l'operato, è disposto a proseguire da solo pur di concludere quanto aveva iniziato pungolato tra l'altro da un barlume di coscienza civile che solitamente non fa parte del bagaglio di una spia.
Quindi se da un lato, affidandosi alla storia ed evitando derive di fantasia come abbiamo visto in altri lavori sul tema, Yoon si assicura un racconto avvincente e con ritmo come si ci attenda da una spy story, dall'altro The Spy Gone North sembra voler rispondere a quella esigenza che viene da larghi strati della società coreana di vedere sanata una volta per tutte questa ferita profonda della divisione e lo fa mettendo sul piatto della bilancia non solo la buona volontà di taluni, ma anche , meno prosaicamente, l'importanza dell'aspetto economico nella eventuale soluzione del problema.
Yoon ricostruisce l'epoca con grande forza, sia nel suo continuo riferimento alle elezioni presidenziali che sono il vero motore di tutto il racconto, sia con una ricostruzione di Pyongyang, quasi tutta in CGI, e della corea del Nord, aggiungendo anche un tocco di ironia nel descrivere la corte di Kim come quella di un imperatore romano della decadenza.
Nei panni di Park troviamo , con grandissima efficacia, Hwang Jungmin, attore di grande versatilità che possiede una ampia gamma di tipologia di personaggi nella sua brillante carriera, Lee Sungmin è Ri, anche lui personaggio che mostra varie angolature cui l'attore si adatta benissimo; ma anche il resto del cast, come è tradizione nelle grandi produzioni coreane, è di tutto rispetto e livello, per un film che naturalmente in patria ha ottenuto grandi successi di pubblico e che nel contempo è stato accolto con buoni giudizi anche da gran parte della critica.
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