Giudizio: 6.5/10
Salutato da più parti, anche sull'onda delle numerose nomination all'Hong Kong Film Awards del 2019, come un esordio che rivisitava le atmosfere e le tematiche di Made in Hong Kong di Fruit Chan a distanza di più di vent'anni e con le turbolenze sociali e politiche recenti nell'ex colonia britannica che sembrano derivare da quell'handover del 1997 anno di uscita del film di Fruit Chan, G Affairs dell'esordiente Lee Cheuk Pan, sostenuto dalla esperienza sapiente di Herman Yau in veste di produttore esecutivo, è lavoro che indubbiamente getta una sferzata di aria nuova e di drammatico pessimismo sul cinema odierno di Hong Kong , storicamente e cronicamente in crisi , incapace di mantenere la sua identità per la impari lotta contro i colossi mainlander che attirano registi e personale del mondo cinematografico in genere; da qui a paragonarlo in qualche modo al capolavoro di Fruit Chan, ancora oggi uno dei film basilari della cinematografia HKese, sembra più un estremo tentativo di esorcizzazione di una situazione di profonda crisi, nella speranza che un lavoro che comunque ha il suo impatto possa in qualche modo fare girare le sorti di un ambiente che mostra sempre più difficoltà quasi insormontabili.
Fatta questa premessa va detto che G Affairs è comunque un lavoro che guarda, sarebbe forse meglio dire scava, sotto la coltre che ricopre la società di Hong Kong mettendone in luce tutta la lordura presente.
L'inizio del film è di quelli da che rimangono impressi ed è un po' la chiave di volta di tutta la trama intricatissima: in una stanza un giovane suona il violoncello, la Suite per Violoncello n.1 in sol ( G) maggiore di J.S.Bach, una donna mezza nuda passa davanti a lui e va alla porta, sullo sfondo in formato 4:3 immagini di uccelli, un uomo prende per i capelli la donna e la getta su un divano dove ha un rapporto sessuale, la macchina da presa gira e dal balcone una testa mozzata rotola dentro la stanza.
La scena è un po' la sintesi della storia , una specie di allucinazione ottica che al suo interno ha un racconto fatto di mille storie che si incrociano.
G Affairs infatti ruota intorno ad una serie di personaggi tutti più o meno direttamente legati: la studentessa Yu Ting, tanto brava a scuola quanto malvoluta dai compagni, la madre è morta di cancro e il padre , il poliziotto Lung è un laido corrotto, violento, puttaniere e colluso con i gangster, la sua nuova donna è una prostituta cinese mainlander ,Mei, che dovrebbe prendersi cura della sua figliastra, i due compagni di classe di Yu Ting, Tai, il violoncellista , anche lui preso di mira dai bulli per la sua altezzosità culturale e l'autistico Don, che con il suo gioco di scegliere una lettera dell'alfabeto occidentale ( ovviamente la G) dà il significato al film e l'insegnante di Yu Ting che con lei ha in piedi una relazione sessuale illecita.
Quella maledetta G scelta da Don da il via ad un funambolico racconto con capitoli che hanno per titolo tutti una parola che inizia con G; un racconto senza un filo temporale, narrato con varie prospettive e voci fuoricampo, una miriade di frammenti lanciati sul tavolo che poi in quella scena finale( iniziale) si risistemano magicamente al loro posto.
Lee Cheuk Pan dirige un thriller sui generis insomma, dietro al quale è forte la tematica che riguarda i destini di Hong Kong e dal quale trasuda un certo pessimismo scaturito dalle lotte politiche intraprese negli ultimi anni che hanno generato solo delusioni e illusioni; la città che descrive il regista è traboccante di egoismo, di aberrazioni, di cattiveria, priva di qualsiasi etica e moralità nella quale i giovani subiscono le violenze non solo psicologiche degli adulti, una città che disprezza i cinesi mainlander, tematica molto ben sviluppata attraverso il personaggio di Mei; una città e una società che sembra sull'orlo di un baratro che difficilmente riuscirà ad evitare.
Non c'è dubbio che soprattutto all'inizio seguire in maniera compiuta il film è operazione difficile a causa della estrema frammentazione anche temporale probabilmente eccessiva e rimettere a posto i frammenti è esercizio che per larga parte risulta impossibile, anche perchè poi alla fine risolto il caso non si capisce quanto sia dovuto alla volontà dei personaggi e quanto invece sia scaturito da incidenti , equivoci o assurde coincidenze; di certo alla base di tutto c'è la profonda mancanza di una seppur minima etica personale da parte di quasi tutti i personaggi.
Più che a Made in Hong Kong quindi G Affairs sembra rimandare a Trivisa nel suo esplorare i malumori HKesi e Lee inserisce delle citazioni che appaiono quasi forzate ( ed invece non lo sono): Alexandre Dumas e La Signora delle camelie, Gustav Mahler e Bach, Klimt e Kubrick ( " film in cui c'è molto silenzio che però a volte può dire molte più cose che le parole").
Nel complesso l'opera prima di Lee va promossa, anche tenendo conto che di esordio si tratta: se avesse sincopato meno il racconto , che per tale motivo in alcuni passaggi è quesi fastidioso, probabilmente la pellicola sarebbe stata più lineare e più valida, anche perchè la fotografia di Karl Tam è veramente bella e regala immagini di Hong Kong molto intense e degli interni che mostrano un uso dei colori e un loro dosaggio armonico.
Il cast fa la sua parte con un paio di interpretazioni eccellenti: Hanna Chan nel ruolo di Yu Ting è bravissima, una autentica sorpresa, e se Chapman To nella parte del poliziotto marcio Lung dimostra di essere attore di livello anche nei ruoli non brillanti, è senza dubbio Huang Lu ( Mei) che si conferma attrice di smisurato talento dando vita ad un personaggio splendido.
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